Iran: brutale repressione delle proteste. Almeno 100 manifestanti uccisi

19 Novembre 2019

Tempo di lettura stimato: 7'

In base alle prove che abbiamo esaminato le forze di sicurezza iraniane hanno usato forza eccessiva e letale per stroncare le proteste che, con l’aumento del prezzo della benzina, si sono svolte dal 15 novembre in oltre 100 città.

Informazioni attendibili parlano di almeno 106 manifestanti uccisi in 21 città. Tuttavia, il numero effettivo potrebbe essere più alto e, in base ad alcune fonti, le persone uccise sarebbero circa 200. Gli organi d’informazione statali hanno parlato di una manciata di manifestanti uccisi e di almeno quattro vittime anche tra le forze di sicurezza.

Le autorità iraniane devono porre immediatamente fine a questa repressione brutale e mortale e mostrare rispetto per la vita umana“, ha dichiarato in una nota ufficiale Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.

La frequenza e la persistenza dell’uso della forza letale contro le attuali manifestazioni pacifiche e in precedenti proteste di massa, così come la sistematica impunità per le forze di sicurezza, fanno seriamente pensare che l’uso intenzionale delle armi da fuoco per stroncare le proteste sia diventato una politica statale“, ha aggiunto Luther.

Iran in rivolta dopo l’aumento del prezzo della benzina

Centinaia di manifestanti hanno bloccato le strade, fermando le proprie automobili come segno di protesta a seguito dell’aumento del prezzo della benzina.

Mentre la maggior parte delle manifestazioni è apparsa pacifica, in alcuni casi con l’aumento della repressione da parte delle forze di sicurezza un piccolo numero di manifestanti ha iniziato a lanciare pietre e a incendiare e danneggiare banche e altre strutture.

Anche quando una piccola minoranza di manifestanti ricorre alla violenza, la polizia deve sempre esercitare moderazione e non usare una forza maggiore di quella necessaria, proporzionale e legittima rispetto alla violenza che fronteggia. La violenza di poche persone non giustifica una reazione massiccia e sconsiderata“, ha commentato Luther.

Iran: le prove dell’uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza

Gli organi d’informazione statali hanno riferito che, alla data del 17 novembre, erano stati arrestati oltre 1000 manifestanti.

Nelle immagini video che abbiamo analizzato le forze di sicurezza, oltre a manganellare i manifestanti, usano armi da fuoco, cannoni ad acqua e gas lacrimogeni per disperdere le proteste. I bossoli rimasti sul terreno, così come l’elevato numero di vittime, fanno supporre che siano state usate pallottole vere.

In alcune delle immagini verificate si vedono agenti della polizia anti-sommossa rompere i vetri delle automobili con gli autisti ancora all’interno.

In base ad alcune testimonianze oculari, corroborate da video, i manifestanti sono stati colpiti da cecchini piazzati sui tetti e, in un caso, su un elicottero.

Alcuni testimoni oculari hanno affermato che le forze di sicurezza hanno portato via cadaveri e feriti dalle strade e anche dagli ospedali. Come già successo in passato, in molti casi le forze di sicurezza e i servizi d’intelligence hanno rifiutato di restituire le salme alle famiglie o hanno costretto queste ultime a seppellire i loro cari in tutta fretta e senza che un’autopsia indipendente avesse potuto chiarire cause e circostanze della loro morte. Ciò è contrario agli standard e alle norme internazionali sulle indagini relative alle uccisioni illegali.

Tra le persone arrestate c’è la difensora dei diritti umani Sepideh Gholian, arrestata proprio il 17 novembre mentre stava manifestando pacificamente mostrando un cartello contro l’aumento della benzina. Di lei si sono perse le tracce e temiamo possa essere sottoposta a tortura, come accade frequentemente ai danni dei difensori dei diritti umani.

Chiunque sia stato arrestato solo per aver preso parte in modo pacifico alle proteste, averle appoggiate o aver criticato le autorità dev’essere rilasciato immediatamente e senza alcuna condizione. Tutte le persone arrestate devono essere protette dai maltrattamenti e dalla tortura“, ha sottolineato Luther.

Blocco degli accessi a Internet

Il 16 novembre, meno di un giorno dopo l’inizio delle proteste, le autorità hanno attivato un blocco pressoché totale di Internet, rendendo inaccessibile quasi ogni forma di comunicazione online alle persone all’interno dell’Iran. Il black-out informativo che ne è derivato è stato voluto dalle autorità iraniane per impedire la condivisione di immagini e filmati sull’uso della forza letale da parte delle forze di sicurezza.

Secondo l’organizzazione non governativa NetBlocks, la connettività iraniana verso il mondo esterno è scesa al quattro per cento dall’inizio delle proteste. Tutte le reti mobili sono state disconnesse e permane un black-out quasi totale su Internet, sebbene alcuni utenti siano ancora in grado di collegarsi tramite reti private virtuali e con altri mezzi.

Impedire di comunicare attraverso Internet è un attacco sistematico alla libertà di espressione e lascia intendere che le autorità abbiano qualcosa da nascondere. Chiediamo che siano immediatamente eliminate le restrizioni agli accessi a Internet e ai social media in modo che le persone possano condividere informazioni ed esprimere liberamente le loro opinioni“, ha aggiunto Luther.

Le nostre richieste

In base del diritto internazionale, le forze di sicurezza possono ricorrere all’uso della forza letale solo quando strettamente inevitabile per proteggersi da immediate minacce di morte o di ferimento grave.

Chiediamo:

  • un’azione immediata della comunità internazionale, comprese le Nazioni Unite e l’Unione europea, affinché le autorità iraniane siano chiamate a render conto delle uccisioni illegali e della repressione violenta dei diritti alla libertà di espressione e di manifestazione pacifica.
  • alle autorità iraniane di rispettare i diritti alla libertà di manifestazione pacifica e alla libertà di espressione e di annullare il blocco quasi totale degli accessi a Internet, imposto per limitare il flusso di informazioni al mondo esterno sulla repressione in corso.