Italia: la protesta non deve essere un privilegio

26 Giugno 2025

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Molte sono le tematiche che emergono dalla scheda sull’Italia, contenuta nel Rapporto annuale di quest’anno, le stesse sulle quali portiamo avanti da 50 anni il nostro impegno in difesa dei diritti umani nel nostro paese: da casi di tortura e maltrattamento a episodi di discriminazione, dalla violenza contro le donne alle morti di persone migranti in mare. Aspetti cruciali però, che si intersecano con moltissime di queste altre questioni fondamentali, sono quelli della libertà d’espressione e di riunione pacifica, assunti su cui si fonda il diritto di protesta.

Negli anni abbiamo analizzato, esposto e criticato la costante e progressiva diffusione di leggi, politiche e pratiche autoritarie, tese a restringere lo spazio civico, erodere le libertà di espressione e associazione, prendere di mira organizzazioni solidali, come quelle che si occupano di migrazione.
In un contesto in cui la gestione dei fenomeni migratori è basata su un sistema nebuloso, sanzionatorio e punitivo contro le persone migranti e quelle che ne difendono i diritti, in cui l’esternalizzazione delle frontiere non tiene conto di diritti umani basilari, il monitoraggio della società civile e il lavoro di ricerca e soccorso in mare delle Ong sono tanto essenziali quanto criminalizzati.

Lo dimostra bene il procedimento durato sette anni nei confronti degli equipaggi delle Ong Jugend rettet, Save the children e Medici senza frontiere e basato sull’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. La prima, più lunga e più costosa azione penale contro le Ong di salvataggio, per altro conclusasi con una vittoria e una sentenza di non luogo a procedere.

La stessa narrazione tossica e criminalizzazione sono state messe in campo nei confronti di chi si batte per l’ambiente, contro il razzismo sistemico, il genocidio in Palestina e le crisi globali, la povertà e l’emarginazione, contro l’ingiustizia di genere e la discriminazione delle persone lgbtqia+. Sono posture e politiche figlie della cultura del patriarcato e di una supposta difesa delle tradizioni, che altro non sono se non la difesa del privilegio dei diritti di pochi a discapito di tutte le altre persone.

Abbiamo denunciato l’uso eccessivo e non necessario della forza contro manifestanti, come a Pisa dove la polizia ha fatto uso illegale dei manganelli contro studenti che protestavano in solidarietà con la popolazione palestinese, ferendone 15 (di cui 11 minorenni). Abbiamo fatto luce sul rischio di estradizione, poi sventato, in un contesto di tortura e maltrattamenti sistematici nei confronti della popolazione palestinese, come nel procedimento nei confronti di Anan Ya’eesh, un cittadino originario della Cisgiordania occupata, legalmente residente in Italia, su cui attualmente la procura ha aperto un nuovo fascicolo.

Questo lavoro di difesa strenua contro la deriva di un sistema che erode progressivamente le tutele per i diritti umani sarebbe ancora possibile oggi in Italia, con un decreto legge che mina le basi stesse della partecipazione alla vita sociale? Incurante delle mobilitazioni di massa, dell’opposizione nelle piazze e in parlamento, dei rilievi presentati dal Presidente della Repubblica, dall’Osce e dai diversi relatori speciali delle Nazioni Unite, il 4 giugno 2025 il senato ha approvato la conversione definitiva in legge.

Dalla dotazione di bodycam per le forze di polizia, senza l’introduzione dei codici identificativi alfanumerici, alla punibilità dei blocchi stradali, dall’estensione del Daspo urbano a coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti, all’introduzione del reato di rivolta in carcere, nei Cpr e negli hotspot che punirà anche chi resiste passivamente, il governo Meloni sta smontando pezzo dopo pezzo il diritto di protesta in Italia.

La protesta non può essere un privilegio. Il momento di prendere posizione è adesso.

A cura di Ilaria Masinara, responsabile campagne

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