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Un nuovo rapporto di Amnesty International, intitolato “Questa paura, la sentono tutti: la violenza agevolata dalla tecnologia contro le persone attiviste in Kenya”, ha denunciato che le autorità del Kenya hanno fatto ricorso anche alla violenza digitale per sopprimere le proteste della cosiddetta “Generazione Z”, che tra il giugno del 2024 e il luglio del 2025 era scesa in piazza in 44 delle 47 contee per chiedere la fine dei femminicidi e della corruzione e il ritiro di una legge che avrebbe introdotto nuove tasse.
La ricerca evidenzia come le autorità keniote abbiano reagito con intimidazioni online, minacce, incitamenti all’odio e attività di sorveglianza che hanno limitato la libertà di espressione e il diritto di riunione pacifica. Le molestie digitali e le campagne diffamatorie sono diventate strumenti chiave dello stato per minare la credibilità dei dissidenti. Alcune di queste tattiche hanno facilitato — e poi giustificato — arresti, sparizioni forzate e uccisioni di importanti organizzatori delle proteste.
“La nostra analisi dell’attività online nel corso delle diverse ondate di proteste nel 2024 e nel 2025, insieme alle interviste che abbiamo condotto con giovani difensori e difensore dei diritti umani, dimostra chiaramente l’ampiezza e la coordinazione delle tattiche adottate sulle piattaforme digitali per mettere a tacere e reprimere le proteste delle e dei giovani attivisti, comprese minacce online, commenti intimidatori, linguaggio offensivo, campagne diffamatorie e disinformazione mirata”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
Questa campagna diffamatoria è stata eseguita tramite profili troll sponsorizzati dal governo, singole persone e reti di individui pagate per promuovere e amplificare i messaggi del governo stesso o hashtag quali #ToxicActivists, in modo che risultassero quotidianamente in tendenza su X.
La campagna ha reso più facile arrestare, far sparire e uccidere le figure più in vista del movimento di protesta. In poco più di 12 mesi, la repressione ha causato 128 morti, 3000 arresti e 83 sparizioni forzate.
John*, che gestisce campagne coordinate a pagamento su X per clienti politici e commerciali, ha raccontato ad Amnesty International di far parte di una rete di circa 20 persone pagate l’equivalente di circa 400 euro per promuovere e amplificare messaggi filogovernativi, con l’obiettivo di portarli tra le tendenze principali di X in Kenya.
“La maggior parte delle cose che vedete finire in tendenza in Kenya, ci sono anch’io dietro”, ha spiegato John*.
Joshua, studente e leader studentesco sopravvissuto a una sparizione forzata, ha spiegato:
“Vogliono proteggere la loro immagine sui social media e questo significa che ogni volta che pubblichi qualcosa su un certo ministero o su una figura pubblica, mandano quelli che chiamiamo i 527 blogger. Sono blogger pagati dal governo: il loro compito è insultarti e usare un linguaggio profondamente disumanizzante e denigratorio”.
Gran parte della violenza online si manifesta attraverso post e commenti pubblici organizzati con l’obiettivo di causare danni. X è al centro delle reti filogovernative che diffondono disinformazione e campagne diffamatorie. Queste reti hanno pubblicato a ripetizione messaggi identici per manipolare l’algoritmo della piattaforma e massimizzare la visibilità dei contenuti sponsorizzati dal governo.
Il governo, attraverso il segretario agli Interni Kipchumba Murkome, ha replicato che “il governo non approva le minacce o la violenza contro i cittadini” e che “a tutte le agenzie di sicurezza è richiesto di operare nel rispetto della Costituzione e della Legge sulla polizia nazionale”, concludendo che “ogni funzionario responsabile di aver agito illegalmente ne risponde individualmente ed è sottoposto a indagini e sanzioni previste dalla legge”.
Amnesty International ha intervistato 31 persone, nove delle quali hanno riferito di aver ricevuto minacce gravi tramite messaggi privati e pubblici su X, TikTok, Facebook e WhatsApp durante le proteste del 2024.
“Persone in chat mi hanno scritto: ‘Morirai lasciando i tuoi figli. Verremo ad aggredirti’”, ha raccontato Mariam*, ventisettenne difensora dei diritti umani di Mombasa, fatta sparire per due notti dalla polizia nel 2024.
Un altro difensore dei diritti umani, Joseph*, ha ricevuto su X un messaggio che diceva: “Stiamo venendo a prenderti”.
Hanifa Adan, nota giornalista in Kenya e difensora dei diritti umani di origine somala, è stata ripetutamente descritta nei post sui social come “straniera”, “stupida” e “terrorista somala”.
“Trovare ogni giorno sconosciuti che parlano di te, essere presa di mira ogni singolo giorno, è difficile. Ti porta via la scintilla, la gioia. Ti porta via chi eri”, ha raccontato ad Amnesty International.
Dalle interviste realizzate è poi emerso che per sorvegliare le persone attiviste il governo ha fatto ricorso ai servizi di Safaricom, una delle principali compagnie di telecomunicazioni del Kenya, allo scopo di consentire l’identificazione delle persone coinvolte nelle proteste, molte delle quali poi vittime di sparizioni forzate.
Safaricom ha replicato che “fornisce dati riguardanti i clienti solo in modo legale e per obiettivi legali”.
Amnesty International chiede al governo del Kenya di porre fine alla violenza di stato, facilitata dall’uso delle tecnologie contro i manifestanti pacifici e le organizzazioni della società civile, così come alle campagne di trolling e alle narrazioni diffamatorie che dipingono le voci critiche come “attivisti pagati” o “agenti stranieri”.
Le autorità del Kenya devono inoltre avviare un’indagine sulle sparizioni forzate, gli omicidi illegali e le segnalazioni di sorveglianza illecita durante le “proteste della Gen Z”. Le vittime dell’uso indiscriminato della forza e i familiari di chi è stato ucciso devono ricevere un risarcimento adeguato.
*I nomi delle persone intervistate sono stati cambiati per proteggere la loro identità