Viviamo sempre più online e anche in quel contesto i nostri diritti devono essere protetti.
La protezione dei diritti umani consente alle persone di vivere l’ambiente digitale in modo sicuro, responsabile e inclusivo, garantendo libertà di espressione, privacy, uguaglianza, antidiscriminazione e protezione dei dati.
Le innovazioni scientifiche e tecnologiche influiscono sul godimento dei diritti umani ogni giorno della nostra vita. Da un lato, la tecnologia favorisce la raccolta di nuovi e diversi tipi di informazioni utili a documentare le violazioni dei diritti umani, in particolare nelle aree insicure e inaccessibili. Amnesty International, per esempio, si è servita delle immagini satellitari per documentare la massiccia distruzione di infrastrutture civili in Siria e l’espansione dei campi di prigionia nella Corea del Nord.
Dall’altro lato, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione stanno producendo forme di controllo sempre più capillari ed invasive nella sfera privata di ognuno di noi, mettendo in discussione diritti consolidati e libertà fondamentali.
Diventa così sempre più forte un contrasto tra tecnologia della libertà e tecnologia del controllo.
Nel momento stesso in cui si è iniziato a discutere del bilanciamento tra libertà e sicurezza, le rivelazioni di Edward Snowden hanno aperto gli occhi al mondo sul livello di sorveglianza a cui siamo sottoposti quotidianamente. Lo scandalo delle intercettazioni della NSA, l’Agenzia per la sicurezza nazionale americana, e le rivelazioni sulla raccolta dei metadati da ogni parte del mondo mostrano come gli sviluppi tecnologici hanno sorpassato la capacità del sistema legale di proteggere la nostra privacy.
La nostra è un’epoca di grandi promesse e di grandi rischi per i diritti fondamentali ed è necessario vigilare sulle azioni dei governi e delle aziende che entrano nelle nostre case e nelle nostre vite attraverso le nuove tecnologie.
È importante ricordare che la privacy è un diritto. Tutti noi abbiamo il diritto di mantenere privato quello di cui parliamo e quello che diciamo se la comunicazione avviene nel nostro salotto o in una e-mail. È fondamentale stabilire dei limiti ai poteri di sorveglianza che i governi si sono segretamente concessi. È per questo che chiediamo una maggiore trasparenza rispetto all’uso della sorveglianza di massa.
La verità è che non abbiamo ancora compreso appieno l’impatto psicologico che la sorveglianza di massa può avere sulle persone, ma dire che non ha effetti negativi sulla società è semplicemente irresponsabile. Sappiamo anche che molti governi repressivi stanno utilizzano software di sorveglianza per bloccare l’opposizione.
La nostra missione è rispondere alle minacce emergenti che affrontano i diritti umani nell’era digitale e contribuire a plasmare e proteggere i diritti per il futuro.
Le tecnologie per la sorveglianza, come quelle prodotte dalle aziende italiane Area spa e Hacking team, sono molto delicate e non permettono solo di spiare e tracciare chiunque – dai sospetti terroristi ai dissidenti politici – ma possono contenere soluzioni tecnologiche che consentono all’azienda che le vende di spiare anche il cliente che le acquista. Internet si sta trasformando sempre di più in un campo di battaglia, dove governi, agenzie, hacker si fronteggiano e si muovono silenziosamente, coinvolgendo spesso persone comuni e inconsapevoli.
Il problema della sorveglianza e delle sue implicazioni per il godimento dei diritti umani non è una novità degli ultimi anni.
Le forze di polizia, le agenzie militari e di intelligence sono i principali acquirenti di spyware e clienti delle società di sorveglianza.
Potrebbero voler scoprire informazioni specifiche come la posizione di qualcuno, le fonti di un giornalista, i dettagli delle proteste organizzate, le informazioni che qualcuno potrebbe avere sulla corruzione e le prove di un comportamento criminale.
I governi sostengono di utilizzare questi strumenti per colpire “criminali e terroristi”, ma la realtà è che ad essere presi di mira dagli spyware sono più comunemente gli attivisti per i diritti umani, i giornalisti e le persone critiche verso i governi. L’uso illegale di spyware viola molti diritti umani, come il diritto alla privacy e il diritto alla libertà di espressione, opinione, assemblea e associazione.
Pegasus è un tipo di spyware altamente invasivo sviluppato dall’azienda di sorveglianza israeliana NSO Group. Per fare un esempio, Pegasus è stato usato in un contesto di repressione senza precedenti da parte delle autorità indiane della libertà di espressione pacifica e di riunione. Più di recente ha fatto scandalo l’uso di “Predator” contro la società civile, giornalisti, politici e accademici nell’Unione europea, negli Stati Uniti e in Asia.
Spyware e altre forme di sorveglianza mirata non solo influiscono sui diritti degli individui, ma stanno anche creando un effetto deterrente verso le persone che intendono aderire a movimenti sociali o parlare dei loro diritti.
Sistemi di sorveglianza di massa
Le più grandi potenze del mondo hanno investito risorse ingenti per mettere in piedi sistemi di sorveglianza capillare di massa, in totale assenza di presupposti legittimi, di trasparenza, di controlli e di garanzie: in spregio totale, in altre parole, dello stato di diritto e del principio di legalità che ne è alla base.
Le indagini di Amnesty hanno svelato che aziende con sede in Francia, Svezia e Paesi Bassi hanno venduto sistemi di sorveglianza digitale, come la tecnologia di riconoscimento facciale e reti di telecamere, a importanti agenzie cinesi di sorveglianza di massa. In alcuni casi, le infrastrutture esportate dall’Unione europea sono state utilizzate contro gli uiguri e altri gruppi etnici, prevalentemente musulmani, in tutta la Cina.
Le ricerche di Amnesty International hanno rivelato che le telecamere prodotte dall’azienda olandese TKH Security vengono utilizzate in spazi pubblici e collegate alle infrastrutture di polizia a Gerusalemme est occupata, al fine di consolidare il controllo del governo israeliano e il sistema di apartheid contro i palestinesi. Il sistema “Red Wolf” è un sistema sperimentale di riconoscimento facciale per tracciare i palestinesi e automatizzare gravi limitazioni alla loro libertà di movimento.
Gli Stati utilizzano sempre più le tecnologie digitali nei loro sistemi di protezione sociale ma quando la tecnologia viene introdotta in un panorama di sicurezza sociale già inadeguato, può servire ad aggravare e consolidare i difetti esistenti, la discriminazione e la disuguaglianza in modi che minano seriamente i diritti umani.
Il 6 marzo 2024 Amnesty International ha pubblicato un nuovo rapporto sulle tecnologie digitali, tra cui l’intelligenza artificiale, l’automazione e i processi decisionali algoritmici, che stanno esacerbando le disuguaglianze nei sistemi di protezione sociale a livello globale.
Nel 2023, una ricerca di Amnesty International, intitolata “Intrappolati dall’automazione: povertà e discriminazione nel sistema di welfare in Serbia”, ha documentato come molte persone, in particolare delle comunità rom e persone con disabilità, fossero impossibilitate a pagare le bollette, procurarsi del cibo e faticassero ad ottenere assistenza, dopo essere state escluse dal sostegno sociale a seguito dell’introduzione del registro della Social Card.
Nel 2021, Amnesty International ha documentato come un sistema algoritmico utilizzato dall’Agenzia delle entrate olandese avesse utilizzato la profilazione razziale sui beneficiari degli assegni familiari. Lo strumento avrebbe dovuto verificare se le richieste di prestazioni fossero legittime o fraudolente, ma il sistema aveva erroneamente penalizzato migliaia di genitori provenienti da famiglie a basso reddito e di origine migratoria, trascinandoli in indebitamenti ingenti e povertà.
A febbraio 2024, Amnesty International ha pubblicato un documento introduttivo sull’utilizzo rapido e diffuso delle tecnologie digitali nei sistemi di gestione di migranti e richiedenti asilo in tutto il mondo, inclusi Stati Uniti, Regno Unito e Unione europea. L’utilizzo delle tecnologie sta rafforzando l’esclusione e bloccando la libertà di movimento di migranti, richiedenti asilo e rifugiati musulmani, neri e appartenenti ad altre minoranze etniche e sta costruendo regimi di frontiera che discriminano in base a razza, etnia, origine nazionale e cittadinanza. Il documento mette in luce alcuni dei principali avanzamenti della tecnologia digitale nei sistemi di gestione delle richieste d’asilo e dei flussi migratori. In particolare, si focalizza sui sistemi che elaborano ingenti quantità di dati e sulle questioni connesse ai diritti umani che sorgono come conseguenza del loro utilizzo.
L’AI Act è il primo testo legislativo sull’intelligenza artificiale del mondo ed è quindi fondamentale capirne l’importanza.
Il 21 aprile 2021 la Commissione europea ha proposto una legge per regolamentare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Il Consiglio dell’Unione europea, ha adottato la sua posizione a dicembre 2022.
Il testo definitivo è stato approvato il 13 marzo 2024 da parte del Parlamento europeo e sebbene l’approvazione delle prime norme a livello mondiale sullo sviluppo e l’implementazione delle tecnologie di intelligenza artificiale rappresenti un traguardo, l’AI Act denota che l’Unione europea e i suoi 27 stati membri hanno scelto di dare priorità agli interessi dell’industria e delle forze di sicurezza, anziché alla tutela delle persone e dei loro diritti umani.
L’AI Act offre garanzie limitate alle persone che ne sono maggiormente colpite e alle comunità marginalizzate; non vieta l’utilizzo e l’esportazione di tecnologie di intelligenza artificiale pericolose e non garantisce protezione a migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Mancano, inoltre, disposizioni adeguate in tema di responsabilità e trasparenza, che probabilmente esacerberanno le violazioni dei diritti umani.
Il bullismo e il cyberbullismo sono una violazione dei diritti umani in quanto ledono la dignità di chi lo subisce e sono contrari ai principi fondamentali dell’inclusione, della partecipazione e della non discriminazione.
Il cyberbullismo , ossia «bullismo online», è il termine che indica un tipo di attacco continuo, ripetuto, offensivo e sistematico attuato mediante gli strumenti della rete.
Il termine cyberbullying è stato coniato dall’insegnante canadese Bill Belsey. I giuristi anglofoni distinguono di solito tra il cyberbullismo, che avviene tra minorenni, e il cyberharassment che avviene tra adulti o tra un adulto e un minorenne. Tuttavia nell’uso corrente cyberbullismo viene utilizzato indifferentemente per entrambi i casi. Come il bullismo nella vita reale, il cyberbullismo può a volte costituire una violazione del codice civile e del codice penale e, per quanto riguarda l’ordinamento italiano, del codice della privacy (D.Lgs 196 del 2003).
Lo scandalo Cambridge Analytica ha portato alla luce tutta la vulnerabilità dei nostri dati sui social network e online.
Questa vicenda ha fatto emergere in maniera evidente come la nostra privacy sia continuamente minacciata da aziende che utilizzano le nostre informazioni personali per rivenderle a società terze di pubblicità e ad aziende di data brokers.
Ma esiste un modo per tutelarsi da tutto questo?
Se da un lato è impossibile evitare del tutto la raccolta dei dati, esistono tuttavia delle azioni semplici e immediate che possiamo fare per limitare la capacità delle aziende di tracciare i nostri dati personali.
Prima di tutto, è importante capire chi sta raccogliendo i nostri dati e perché.
Google, Facebook e Twitter sono le tre aziende che raccolgono più dati online e, se utilizzi i loro servizi, è probabile che possiedano un tuo profilo dettagliato.
Nonostante la maggior parte delle informazioni che condividiamo su queste piattaforme siano accessibili solo ad amici e alle stesse aziende, le semplici impostazioni di default possono portare alla pubblicazione di informazioni o alla loro condivisione con terze parti. Ed è qui che le cosiddette aziende data broker entrano in gioco.
La raccolta di dati e la profilazione online anche se sono perfettamente legittimi, possono mettere a rischio alcuni diritti umani. Possono ad esempio minacciare il diritto alla privacy degli utenti, così come la loro libertà di espressione: chi teme di essere sotto controllo può cambiare il proprio comportamento online.
Inoltre, possono rappresentare un rischio di discriminazione, in quanto le aziende – e i governi – potrebbero facilmente abusare dell’analisi dei dati per prendere di mira le persone in base alla etnia, alle religioni, al genere o ad altri dati sensibili.
Vedere quanti dati sono stati raccolti sulla nostra identità può aprirci gli occhi.
Molte piattaforme dispongono di mezzi per consentire agli utenti di limitare il numero di dati tracciati, semplicemente non mettono queste informazioni in primo piano. Si può facilmente aggirare questo limite cercando quelle impostazioni che permettono la raccolta dei dati e, laddove possibile, disattivarle.
Facebook
Il primo luogo in cui verificare quanti dati Facebook sta tracciando su di te è la voce Controllo della privacy. Per farlo, clicca sul simbolo “?” e quindi sulla voce “Controllo della privacy”. In questo modo potrai verificare chi può vedere i tuoi post e il tuo profilo. Una volta fatta questa verifica puoi controllare tutte le applicazioni esterne a cui hai dato il consenso all’accesso dei tuoi dati.
Controllando con attenzione la lista delle app potrai rimuovere quelle che non riconosci.
Google
Google propone uno strumento simile a quello di Facebook. Per farlo devi controllare questa url myaccount.google.com/privacycheckup. In questa pagina hai la possibilità di cancellare le informazioni già raccolte e puoi evitare, da quel momenti in poi, che Google salvi le informazioni relative alle tue ricerche online e alla tua localizzazione.
Twitter
Twitter non dispone di un controllo della privacy, ma puoi accedere alla pagina relativa a Privacy e Sicurezza (all’indirizzo twitter.com/settings/safety) e controllare la lista di applicazioni che possono accedere al tuo account alla pagina twitter.com/settings/applications.
Esistono inoltre degli strumenti in grado di bloccare del tutto l’azione delle aziende che raccolgono i nostri dati.
DuckDuckGo è un motore di ricerca che permette di fare ricerche anonime su internet. DuckDuckGo infatti non raccoglie o condivide alcuna informazione personale quando lo utilizziamo.
Privacy Badger è un’app sviluppata dalla Elettronic Frontier Foundation (EFF) che blocca l’accesso ai nostri dati quando stiamo navigando in internet. Può impedire a Facebook e Google di raccogliere dati quando non sie sul loro sito, così come la maggior parte delle pubblicità e delle aziende data brokers.
Due browser da utilizzare per impedire intrusioni: Brave e Firefox.
Il primo possiede di default un’impostazione utile a bloccare le pubblicità, mentre su Firefox è necessario attivare manualmente l’opzione “Tracking Protection”.