Libia: denunciate numerose violazioni dei diritti umani prima delle elezioni poi rinviate

22 Dicembre 2021

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Il 22 dicembre 2021 Amnesty International ha denunciato una miriade di violazioni dei diritti umani verificatesi in Libia nel periodo precedente le elezioni presidenziali, inizialmente previste il 24 dicembre e poi rinviate di un mese: un periodo segnato da contrasti sulla legge elettorale e sull’eleggibilità dei vari candidati.

Nella dettagliata analisi resa pubblica oggi, l’organizzazione per i diritti umani ha rilevato come i gruppi armati e le milizie abbiano ripetutamente messo a tacere il dissenso, limitato lo spazio per la società civile e attaccato funzionari elettorali.

“Creare un clima elettorale libero dalla violenza e dalle intimidazioni è pressoché impossibile se gruppi armati e milizie non solo beneficiano dell’impunità, ma vengono anche integrati nelle istituzioni statali, compresi i responsabili di crimini di diritto internazionale”, ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

“Per avere elezioni libere, il Governo di unità nazionale e le Forze armate arabe libiche dovranno impartire alle milizie e ai gruppi armati loro sottoposti l’ordine di cessare immediatamente le intimidazioni e gli attacchi contro i funzionari elettorali, i giudici e il personale di sicurezza e di rilasciare subito le persone arrestate solo per aver espresso il loro punto di vista sulle elezioni”, ha aggiunto Eltahawy.

Il 26 novembre Emad al-Sayeh, capo dell’Alta commissione elettorale nazionale, aveva espresso preoccupazioni sulla sicurezza in vista delle elezioni dopo che uomini armati avevano fatto irruzione in almeno quattro sedi locali, poi costrette a chiudere, interrotto la registrazione dei votanti e rubato le schede elettorali.

Molti funzionari della commissione elettorale e della struttura del ministero dell’Interno, incaricata di mantenere la sicurezza in occasione delle elezioni, hanno denunciato di aver subito minacce.

A Sabha, uomini armati hanno circondato il palazzo di giustizia per interrompere il riesame dell’eleggibilità di un candidato.

I gruppi armati e le milizie hanno rapito almeno 21 giornalisti, manifestanti e attivisti che sostenevano determinati candidati o avevano espresso le loro opinioni sulle elezioni a Tripoli, Bengasi, Misurata, Ajdabiya e Sirte.

A Sirte, il 14 novembre, uomini armati affiliati all’Agenzia per la sicurezza interna, a sua volta legata alle Forze armate arabe libiche (un gruppo armato che controlla vaste zone dell’est e del sud della Libia), hanno arrestato 13 uomini, compresi giornalisti, per la loro presunta partecipazione a una manifestazione a sostegno della candidatura di Saif al-Islam Gheddafi. Sono stati rilasciati cinque giorni dopo.

Laila Ben Khalifa ed Heneda al-Mahdi, le due candidate alla presidenza della Libia, hanno subito molestie fisiche e insulti online.  

La campagna elettorale si è svolta in un contesto di profonda rivalità tra gli attori che competono per il potere in Libia sin dal 2014. Da quando a marzo sono stati annunciati i preparativi per lo svolgimento delle elezioni, il Governo di unità nazionale ha mantenuto a stento il controllo della situazione, mentre le Forze armate arabe libiche continuavano a controllare buona parte del territorio.

Delle 96 candidature presentate, la commissione elettorale ne ha inizialmente respinte 25 a causa di precedenti condanne, doppia nazionalità, insufficiente numero di firme raccolte o motivi legati alle condizioni di salute.

Sulle tre candidature principali – quelle di Khalifa Haftar, Saif al-Islam Gheddafi e Abdelhamid Dbeibah – sono stati presentati ricorsi su ricorsi.

Il figlio dell’ex leader Muammar Gheddafi è stato poi ammesso nonostante sia ricercato dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità per aver appoggiato la repressione ordinata dal padre durante le rivolte del 2011.

Khalifa Haftar, le cui Forze armate arabe libiche hanno cercato per un anno dal giugno 2020 di estendere il loro controllo sulla capitale Tripoli e sull’ovest del paese, è stato a sua volta autorizzato a partecipare alle elezioni sebbene Amnesty International e altri abbiano accusato il suo gruppo armato ed altri alleati di crimini di guerra.

Anche la terza candidatura, quella del primo ministro del Governo di unità nazionale Abdelhamid Dbeibah, è stata accolta. Amnesty International ha documentato crimini di diritto internazionale commessi durante il suo mandato dalle forze sotto il comando del Governo soprattutto ai danni di migranti e rifugiati.