Mauritania, cresce la repressione contro i difensori dei diritti umani

22 Marzo 2018

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Rapporto di Amnesty International sulla Mauritania: cresce la repressione contro i difensori dei diritti umani e coloro che denunciano discriminazione e schiavitù.

In evidenza:
il governo continua a negare l’esistenza della schiavitù ma nel paese ci sono migliaia di schiavi;
gli attivisti rischiano l’arresto e la tortura solo per aver denunciato lo sfruttamento;
decine di gruppi anti-discriminazione restano fuorilegge.

In un nuovo rapporto sulla Mauritania, presentato questa mattina a Dakar, Amnesty International ha denunciato che i difensori dei diritti umani che denunciano la persistente pratica della schiavitù e la discriminazione nel paese vanno incontro ad arresti arbitrari, torture, detenzione in centri isolati e il sistematico divieto delle loro manifestazioni.

Il rapporto accusa inoltre il governo mauritano di negare sistematicamente l’esistenza della schiavitù.

“Nonostante la schiavitù sia stata abolita per legge quasi 40 anni fa, il governo mauritano mostra profondo disprezzo per i diritti umani continuando non solo a tollerarla ma anche perseguitando coloro che la denunciano”, ha dichiarato Alioune Tine, direttore di Amnesty International per l’Africa centrale e occidentale.

“Con l’approssimarsi, quest’anno e il prossimo, delle elezioni, il rischio di rivolte sociali sarà alto se tutte le opinioni, comprese quelle critiche, non verranno rispettate. Le autorità devono porre fine agli attacchi contro i difensori dei diritti umani e prendere misure concrete ed efficaci per fermare la schiavitù e la discriminazione”, ha proseguito Tine.

Il rapporto di Amnesty International illustra le varie tattiche impiegate dal governo per zittire i difensori dei diritti umani e gli attivisti: dal divieto di svolgimento di manifestazioni pacifiche all’uso della forza eccessiva contro i dimostranti, dalla messa fuorilegge di gruppi di attivisti all’interferenza nelle loro attività.

La diffusa persistenza della schiavitù e della discriminazione

Nel 2016 i gruppi internazionali contro la schiavitù avevano stimato in 43.000 il numero delle persone ridotte in schiavitù in Mauritania, l’uno per cento della popolazione.

La polizia, la magistratura e i giudici non intervengono in modo efficace sulle denunce di sfruttamento, non identificano le vittime né puniscono i presunti responsabili. Nel 2016 i tribunali che si occupano di schiavitù hanno ricevuto 47 denunce riguardanti 53 persone ma hanno condannato solo due imputati.

Il rapporto di Amnesty International spiega che le pratiche discriminatorie colpiscono soprattutto la comunità haratin e le comunità afro-mauritane, i cui membri raramente accedono a posizioni di vertice e subiscono ostacoli nella registrazione all’anagrafe, ciò che limita tra l’altro l’accesso a servizi essenziali.

Limitazioni alle manifestazioni pacifiche e alle associazioni

Il diritto di manifestazione in Mauritania è praticamente negato. Negli ultimi anni, 20 gruppi per i diritti umani hanno fatto sapere ad Amnesty International che le loro manifestazioni pacifiche erano state vietate o disperse, in alcuni casi con l’uso eccessivo della forza che aveva causato feriti tra i dimostranti.

Nell’aprile 2017 nella capitale Nouakchott una marcia di un centinaio di giovani attivisti che chiedevano politiche in materia d’istruzione più inclusive è stata dispersa con la violenza e 26 manifestanti sono stati arrestati.

Il 28 novembre 2017 15 aderenti all’Associazione delle vedove e degli orfani sono stati arrestati e altri picchiati dalle forze di sicurezza durante una manifestazione pacifica. Un orfano è stato colpito con un pugno al volto e ha dovuto subire un ricovero.
Ma non sono solo le proteste a essere vietate: interi gruppi che combattono contro la schiavitù e la discriminazione sono messi fuorilegge. Il rapporto documenta i casi di oltre 43 di questi gruppi che, nonostante ripetute richieste di registrazione, non hanno mai ottenuto l’autorizzazione. Tra questi gruppi vi sono il movimento per la democrazia Kavana (“È abbastanza”) e l’associazione antischiavista Iniziativa per il risveglio del movimento abolizionista (Ira).

“Non essere riconosciuti come ‘associazione autorizzata’ è come avere una spada che pende sulle nostre teste. Portiamo avanti le nostre attività ma sappiamo che da un momento all’altro le autorità possono chiuderci e portarci in galera”, ha dichiarato ad Amnesty International Yacoub Ahmed Lemrabet, presidente di Kavana.

“Benvenuto a Guantánamo”

Dal 2014, Amnesty International ha documentato 168 arresti arbitrari di difensori dei diritti umani, almeno 17 dei quali sono stato sottoposti a maltrattamenti e torture.

Negli ultimi quattro anni sono stati arrestati 63 esponenti dell’Ira e 23 del Movimento del 25 febbraio, un gruppo di giovani per la democrazia.

Almeno 15 esponenti dell’Ira sono stati condannati a pena detentiva dopo processi irregolari e alcuni di loro sono stati costretti a “confessare” mediante maltrattamenti e torture.

“Gli agenti di polizia mi hanno ammanettato e bendato. Non avevo la minima idea di dove mi stessero portando. Quando siamo arrivati a destinazione, uno di loro mi ha detto ‘Benvenuto a Guantánamo’. Prima che mi interrogassero, una guardia mi ha avvisato: “Dì loro quello che vogliono sentirti dire. Lo sai che abbiamo quello che serve per farti parlare”, ha raccontato ad Amnesty International Amadou Tijane Diop, attivista anti-schiavitù arrestato nel 2016.

Campagne diffamatorie

Campagne diffamatorie, aggressioni e minacce di morte si susseguono con totale impunità contro i difensori dei diritti umani, definiti spesso traditori, criminali, agenti stranieri, razzisti, apostati o politicanti. Queste intimidazioni provengono dai livelli più alti dello stato e da gruppi religiosi, spesso in concomitanza con riunioni internazionali in Europa.
Per esempio la difensora dei diritti umani Mekfoula Brahim è stata vittima di una campagna coordinata di diffamazioni sui social media e ha ricevuto minacce di morte solo per aver chiesto l’assoluzione del blogger Mohamed Mkhaïtir, condannato a morte per blasfemia.

“Campagne del genere, che descrivono i difensori dei diritti umani alla stregua di una minaccia alla sicurezza nazionale o ai valori culturali pongono queste persone a rischio e hanno un effetto distruttivo sulla libertà d’espressione”, ha commentato Tine.
“Le autorità mauritane dovrebbero dimostrare che intendono rispettare tutte le voci critiche iniziando a scarcerare tutte le persone arrestate solo per aver denunciato la discriminazione e riconoscendo l’importanza del lavoro dei difensori dei diritti umani”, ha concluso Tine.

Il rapporto: “A sword hanging over our heads”.

Per interviste:

Amnesty International Italia – Ufficio Stampa

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