Per i rohingya rifugiati in Bangladesh si prospetta un rimpatrio impossibile

29 Settembre 2025

Paula Bronstein/Getty Images

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Se ne parla da tempo, a causa della difficoltà del Bangladesh di ospitare da quasi dieci anni oltre un milione di rifugiati e, più recentemente, della scellerata decisione dell’amministrazione Trump di tagliare i fondi per la cooperazione estera. La narrazione sottostante è che in Myanmar la persecuzione nei confronti della minoranza rohingya è diminuita d’intensità.

A smentire tutto questo sono le organizzazioni per i diritti umani, tra le quali Amnesty International che, in occasione di una conferenza tenutasi a fine settembre a margine dell’Assemblea nazionale delle Nazioni Unite, ha denunciato che ciò che rimane delle comunità rohingya ancora residenti in Myanmar è sottoposto a lavori forzati, diniego di cibo e cure mediche e forti limitazioni della libertà di movimento, oltretutto in un crescendo di scontri tra l’esercito e gruppi armati separatisti attivi nello stato di Rakhine, che ora controllano la zona di confine col Bangladesh.

Secondo molte testimonianze raccolte da Amnesty International, il crescente controllo del territorio da parte del gruppo armato Esercito dell’Arakan ha prodotto un livello di oppressione pari a quello precedentemente causato dalla presenza delle forze armate regolari.

Le tensioni per motivi religiosi (i rohingya sono una minoranza musulmana in uno stato prevalentemente buddista) non si sono mai placate e danno luogo a gravi forme di discriminazione e di sfruttamento, sia da parte dell’esercito che dell’opposizione armata.

“Ci fanno trasportare pietre e mattoni per i loro posti di blocco. Siamo tutti affamati. Io sono anziano e vengo esonerato da questa fatica ma i miei figli devono farlo in continuazione. Se non lo fanno, ci obbligano a sdraiarci a terra a faccia in giù e ci picchiano”, ha raccontato un testimone arruolato a forza dall’Esercito dell’Arakan.

“Non ci danno nulla da mangiare, sembrano felici quando uno di noi muore. Ci dicono che non è la nostra terra, ma la loro, che tutto gli appartiene e che ce ne dobbiamo andare”, ha riferito un altro testimone.

Che non ci sia alcun modo per assicurare un rimpatrio in condizioni di sicurezza dei rohingya in Myanmar lo testimonia anche il fatto che, negli ultimi 20 mesi, altri 150.000 di loro hanno attraversato la frontiera, portando a un milione e 200.000 il totale delle persone rifugiatesi in Bangladesh.

Una donna di 25 anni, arrivata in Bangladesh nel gennaio 2025 dopo aver camminato per cinque giorni su sentieri di montagna, ha dovuto pagare l’Esercito dell’Arakan in denaro e con sacchi di riso per poter lasciare lo stato di Rakhine:

“Ogni famiglia deve mettere a disposizione sentinelle per la notte, anche chi ha 10 o 70 anni. Cinque volte al mese c’è l’obbligo di lavorare gratis per loro”.

Le rappresaglie dell’esercito di Myanmar non mancano e, invariabilmente, ci va di mezzo la popolazione civile: il mese scorso un attacco aereo ha ucciso nel sonno 19 studenti.