Photo by ALFREDO ZUNIGA
Mentre i conflitti armati dell’Africa subsahariana causavano incessanti sofferenze alla popolazione civile, con crescenti livelli di violenza sessuale e di genere e morti su larga scala, le risposte internazionali e regionali rimanevano tristemente inadeguate e la popolazione civile sentiva di essere dimenticata.
La crisi del costo della vita si è accentuata con i prezzi dei generi alimentari, del carburante e di altri beni di prima necessità cresciuti vertiginosamente. Ad aggravare ulteriormente la crisi hanno contribuito gli alti livelli di tassazione, debiti pubblici insostenibili, una corruzione diffusa e incontrollata, l’escalation dei conflitti ed eventi metereologici estremi.
Protestare significava mettere in pericolo la propria vita. Le manifestazioni sono state troppo spesso disperse con brutalità e violenza letale, in un contesto di dilaganti attacchi ai diritti alla libertà d’espressione, riunione pacifica e associazione. Le tattiche repressive utilizzate dai governi comprendevano sparizioni forzate e arresti e detenzioni arbitrarie di persone come oppositori, difensori dei diritti umani, attivisti, giornalisti e altre persone critiche nei loro confronti.
Conflitti ed eventi traumatici indotti dai cambiamenti climatici sono rimasti i principali fattori di sfollamento forzato e il Sudan ha continuato a essere lo scenario della più vasta crisi di sfollati a livello mondiale. Il numero di persone rifugiate in fuga dalle zone di conflitto ha continuato a crescere; molte vivevano in condizioni squallide o nella paura di essere rimandate indietro con la forza.
Discriminazione e violenza di genere, alimentate dalle norme sociali, sono rimaste una realtà quotidiana per donne e ragazze.
I paesi ad alto reddito che hanno la principale responsabilità di causare il cambiamento climatico non sono riusciti a mettere a disposizione adeguati finanziamenti per un fondo perdite e danni e per misure di adattamento. Di conseguenza, le comunità locali hanno continuato a sopportare il peso di siccità prolungate, inondazioni ricorrenti, tempeste estreme e ondate di caldo che sono state probabilmente accentuate dal cambiamento climatico.
Una cultura dell’impunità ha continuato a incoraggiare i perpetratori di crimini di diritto internazionale e di altre gravi e diffuse violazioni dei diritti umani.
Attacchi e uccisioni illegali da parte delle forze di sicurezza e dei gruppi armati sono stati segnalati in tutta la regione, tra cui Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana (Central African Republic – Car), Repubblica Democratica del Congo (Democratic Republic of the Congo – Drc), Etiopia, Mali, Mozambico, Niger, Nigeria, Somalia, Sud Sudan e Sudan. Le operazioni condotte dalle forze governative si sono spesso lasciate dietro una scia di morte di civili. In Burkina Faso, l’esercito avrebbe ucciso almeno 223 civili, tra cui almeno 56 minori, nei villaggi di Soro e Nodin, a febbraio. Centinaia di civili sarebbero stati uccisi a maggio dall’esercito e dalle truppe di mercenari schierati al suo fianco durante un’operazione di rifornimento contro le città sotto assedio nell’est del paese. In Etiopia, a seguito degli scontri armati a gennaio tra le forze governative e le milizie nella città di Merawi, nella regione di Amhara, le forze governative hanno rastrellato decine di uomini civili casa per casa, nei negozi e per le strade e li hanno uccisi sommariamente.
In diversi conflitti, i raid aerei o gli attacchi con droni compiuti dalle forze governative hanno causato morti e feriti tra la popolazione civile. In Mali, gli attacchi con droni dell’esercito hanno ucciso almeno 27 civili, compresi 18 minori a marzo, e otto civili, di cui sei minori, a ottobre. In Niger, a gennaio, un attacco con drone dell’esercito avrebbe ucciso circa 50 civili nel villaggio di Tiawa, nella regione di Tillabéri. In Nigeria, i raid aerei dell’aviazione militare nello stato di Kaduna hanno ucciso 23 abitanti di un villaggio, tra cui fedeli in preghiera in una moschea e persone che facevano la spesa al mercato. In Somalia, a marzo, due attacchi con droni di fabbricazione turca, che affiancavano le operazioni dell’esercito somalo hanno ucciso 23 civili, tra cui 14 minori, nella regione della Bassa Shabelle.
I gruppi armati si sono resi responsabili di alcuni degli attacchi più letali contro civili. In Burkina Faso, a Barsalogho, ad agosto, il Gruppo di supporto all’Islam e ai musulmani (Groupe de soutien à l’Islam et aux musulmans – Gsim) avrebbe ucciso circa 200 persone, tra cui civili. Nella Drc, la maggior parte delle uccisioni di civili si sono verificate quando le forze governative si sono scontrate nell’est e nell’ovest del paese con i gruppi armati Movimento 23 marzo, Cooperativa per lo sviluppo del Congo e Forze democratiche (Allied Democratic Forces – Adf). A giugno, le Adf hanno ucciso più di 200 civili in due attacchi separati. In Somalia, la Missione di assistenza delle Nazioni Unite ha ravvisato che Al-Shabaab era stato responsabile per il 65 per cento delle 854 vittime civili registrate nel paese tra gennaio e settembre. In Sudan, le Forze di supporto rapido (Rapid Support Forces – Rsf) hanno continuato a colpire i civili nei loro attacchi, alcuni dei quali erano di matrice etnica. A ottobre, le Rsf hanno lanciato attacchi di rappresaglia contro le città e i villaggi dello stato orientale di Gezira, dopo che uno dei loro comandanti aveva disertato a favore delle Forze armate sudanesi, uccidendo almeno 124 civili in sette giorni, secondo fonti delle Nazioni Unite.
I gruppi armati hanno frequentemente preso di mira luoghi di culto, scuole, ospedali e altri obiettivi civili. In Burkina Faso, un gruppo armato ha ucciso fedeli in preghiera in una chiesa cattolica a Essakane, nella regione del Sahel, il 25 febbraio. Lo stesso giorno, un altro gruppo armato, Gsim, ha ucciso almeno 14 fedeli in una moschea a Natiaboani, nella regione Orientale. Ad agosto, il Gsim ha ucciso 26 civili in una chiesa a Kounla, nella regione di Boucle du Mouhoun. A febbraio, in Mozambico, i gruppi armati hanno bruciato tre chiese e due scuole e dato alle fiamme un ospedale nel distretto di Chiúre.
Le parti coinvolte nei conflitti armati devono rispettare il diritto internazionale umanitario, anche proteggendo i civili e le istituzioni religiose ed educative e altre proprietà culturali, e devono porre fine agli attacchi deliberati e indiscriminati contro civili e infrastrutture civili.
C’è stata un’allarmante impennata dei casi di violenza sessuale legata al conflitto. Nella Car, nella prima metà dell’anno sono stati riportati più di 11.000 casi di violenza di genere. Nella Drc, il numero dei casi segnalati è raddoppiato nel primo trimestre del 2024, rispetto al numero registrato nello stesso periodo nel 2023. In Sudan, la Missione d’inchiesta internazionale indipendente delle Nazioni Unite per il Sudan ha rilevato che membri delle Rsf avevano perpetrato diffuse violenze sessuali durante gli attacchi compiuti contro le città nella regione del Darfur e nell’area metropolitana di Khartoum. Hanno frequentemente sottoposto donne e ragazze a stupro e stupro di gruppo davanti ai loro familiari, in particolare nella regione del Darfur e nello stato di Gezira. La violenza sessuale legata al conflitto era diffusa anche in Somalia e Sud Sudan. In un episodio verificatosi in Somalia, due membri dell’esercito nazionale somalo avrebbero stuprato due sorelle di 15 e 16 anni.
Le parti coinvolte nei conflitti armati dovrebbero impartire ordini chiari ai loro membri o alle loro truppe, vietando gli atti di violenza sessuale e di genere.
Diritto al cibo
Ampie fasce della popolazione della regione hanno continuato a soffrire la fame. Nella regione dell’Africa meridionale, paesi come Angola, Botswana, Lesotho, Malawi, Namibia, Zambia e Zimbabwe sono stati colpiti dalla peggiore siccità degli ultimi cento anni indotta da El Niño, alla quale alcuni hanno risposto dichiarando uno stato d’emergenza. La siccità ha distrutto raccolti e mandrie, minacciando la sicurezza alimentare di milioni di persone. Ad agosto, la Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale ha annunciato che il 17 per cento della popolazione della regione dell’Africa meridionale (68 milioni di persone) necessitava di aiuti.
Gravi situazioni di insicurezza alimentare hanno colpito altre parti dell’Africa, tra cui Car, Somalia e Sud Sudan. Nella Car, sono state colpite più di 2,5 milioni di persone, con oltre la metà della popolazione di Mbomou, Haute-Kotto e altre regioni che vivevano in una situazione d’emergenza o di insicurezza alimentare critica. In Somalia, almeno quattro milioni di persone versavano in una situazione di crisi o di emergenza dovuta all’insicurezza alimentare, con circa 1,6 milioni di minori tra sei e 59 mesi affetti da malnutrizione acuta. In Sud Sudan, secondo le proiezioni, circa 7,1 milioni di persone (56,3 per cento della popolazione) sarebbero andate incontro durante l’anno a una situazione di insicurezza alimentare a livello di crisi o più grave, e più di 2,5 milioni di minori e donne versavano in condizioni di malnutrizione acuta.
Diritto all’istruzione
Mentre l’Ua si impegnava a costruire sistemi educativi resilienti, conflitti e insicurezza tenevano milioni di minori fuori dalla scuola. In violazione della Dichiarazione sulle scuole sicure (un accordo intergovernativo per la protezione dell’istruzione nei conflitti armati), centinaia di scuole in zone di conflitto sono state distrutte in attacchi o sono diventate rifugi per persone sfollate. In Sudan, più di 17 milioni di minori non hanno avuto accesso alla scuola, con Save the Children che ha denunciato a maggio che, dall’inizio del conflitto ad aprile 2023, gli attacchi alle scuole erano quadruplicati. In Africa occidentale e centrale, l’Unicef ha rilevato che a settembre risultavano chiuse a causa del conflitto più di 14.000 scuole, con conseguenze per 2,8 milioni di minori. In Burkina Faso, fino a marzo il conflitto aveva costretto alla chiusura 5.319 scuole, colpendo quasi un milione di minori.
Diritto alla salute
I governi hanno continuato a non rispettare gli impegni assunti oltre due decenni prima con la Dichiarazione di Abuja di stanziare il 15 per cento dei loro bilanci nazionali per l’assistenza sanitaria. Con i governi che spendevano in media soltanto il 7,4 per cento del bilancio nazionale in questo settore, i sistemi sanitari pubblici faticavano a erogare servizi di qualità. Oltretutto, i costi per l’assistenza sanitaria rimanevano alti, mentre l’Oms avvertiva a dicembre che i governi stavano facendo forte affidamento sulle tasche dei cittadini per la copertura delle spese sanitarie, gettando nella povertà più di 150 milioni di persone in tutta la regione. In Kenya, un nuovo sistema nazionale di copertura sanitaria ha creato difficoltà a molti pazienti per accedere alle cure mediche. Con una nota positiva, il Ghana ha ampliato la distribuzione del vaccino contro la malaria, mentre il governo del Niger ha annunciato una riduzione del 50 per cento delle tariffe a carico dei pazienti per le cure mediche, i test di laboratorio, la diagnostica per immagini e le procedure mediche e chirurgiche, e ha abolito le tariffe per il parto e la dialisi negli ospedali pubblici.
Un’epidemia di mpox (vaiolo delle scimmie), diffusasi in vari paesi tra cui Burundi, Camerun, Car, Congo, Drc e Sudafrica, ha creato allarme in tutta la regione. Al 30 luglio, erano stati registrati 14.250 casi di mpox e 456 relativi decessi in 10 paesi, con un aumento rispettivamente del 160 e 19 per cento, rispetto allo stesso periodo del 2023. La Drc ha registrato oltre il 96 per cento di tutti i casi e decessi riportati. Ad agosto, l’Oms ha dichiarato l’epidemia di mpox nella regione “un’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale”.
Sgomberi forzati
Migliaia di persone sono state rese senzatetto e in stato di indigenza, dopo che i governi avevano effettuato sgomberi forzati in diversi paesi, tra cui Congo, Costa d’Avorio e Kenya. In Congo, gli abitanti di Mpili, nel dipartimento di Kouilou, sono stati reinsediati con la forza per fare spazio all’estrazione di potassa da parte di un’azienda cinese. In Kenya, il governo ha demolito le case di almeno 6.000 famiglie negli insediamenti di Mathare e Mukuru Kwa Njenga di Nairobi, nel mezzo di forti piogge e inondazioni.
I governi devono agire immediatamente per fornire risposte concrete alle difficoltà socioeconomiche, adottando tra l’altro azioni rapide per prevenire situazioni di fame e affrontando le cause alla base dell’insicurezza alimentare; approvando e implementando la Dichiarazione sulle scuole sicure e garantendo l’accesso all’istruzione per minori nelle zone di conflitto; dando priorità alla spesa pubblica per l’assistenza sanitaria in linea con la Dichiarazione di Abuja; ponendo fine agli sgomberi forzati e adottando moratorie sugli sgomberi di massa in attesa dell’istituzione di adeguate garanzie legali e procedurali per coloro che vivono sotto la minaccia di uno sgombero.
Libertà di riunione
L’uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza della regione era prassi comune. Uccisioni della polizia e arresti di massa di manifestanti sono stati documentati in paesi come Guinea, Kenya, Mozambico, Nigeria e Senegal. In Guinea, un manifestante di 17 anni è morto per i colpi sparati durante un’azione sindacale di sciopero a febbraio. A marzo, due ragazzi di otto e 14 anni sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco, quando un’interruzione nell’erogazione di energia elettrica nella città di Kindia ha scatenato proteste. In Senegal, le forze di sicurezza hanno ucciso quattro persone, tra cui un ragazzo di 16 anni, durante le proteste innescate a febbraio dal rinvio delle elezioni presidenziali. In Kenya, l’istituto nazionale per i diritti umani ha documentato 60 morti a giugno e luglio durante le proteste contro la legge finanziaria. Più di 600 manifestanti hanno subìto arresti tra giugno e agosto. A seguito delle contestate elezioni di ottobre in Mozambico, le forze di sicurezza hanno scatenato la peggiore repressione contro le proteste degli ultimi anni, con almeno 277 persone morte, compresi minori e passanti. In Nigeria, almeno 24 persone sono state uccise durante le proteste del movimento #EndBadGovernance ad agosto, mentre oltre un migliaio di altre sono state arrestate.
La brutale repressione delle proteste da parte delle forze di sicurezza è stata riportata anche in Angola, Benin, Botswana, Costa d’Avorio, Guinea Equatoriale e Uganda. In altri paesi, tra cui Ciad, Tanzania, Togo e Zambia, le autorità hanno messo al bando le proteste. in Tanzania, più di 500 persone affiliate al partito d’opposizione Chadema sono state arrestate ad agosto con l’accusa di avere violato un divieto imposto su una conferenza giovanile. A settembre, la polizia ha annunciato la messa al bando di tutte le proteste del Chadema. In Togo, manifestazioni e riunioni organizzate dai partiti politici d’opposizione e dalla società civile per discutere delle proposte modifiche costituzionali sono state regolarmente vietate.
Libertà d’espressione
I governi hanno preso di mira coloro che esprimevano critiche nei loro confronti con intimidazioni, arresti e vessazioni giudiziarie. In Camerun, il ministro dell’Amministrazione territoriale ha vietato a ottobre “qualsiasi dibattito mediatico sullo stato del presidente” in seguito alle voci sulla salute del presidente Biya. In Eswatini, le autorità hanno continuato a invocare la legislazione antiterrorismo del 2008 per colpire le persone critiche verso il governo. In Madagascar, le autorità hanno utilizzato lo spyware Predator per monitorare esponenti dell’opposizione politica. In Senegal, il politico Ahmed Suzanne Camara è stato arrestato e accusato a luglio di “avere offeso il capo dello stato”, dopo che aveva definito bugiardi il presidente e il primo ministro. Un altro politico, Cheikhna Keita, è stato arrestato a settembre dopo avere parlato alla televisione delle tensioni tra il presidente e il primo ministro.
In Uganda, otto musicisti sono stati arrestati dalle autorità militari ad aprile, dopo che a un evento pubblico erano stati sentiti lamentarsi per il discorso del presidente Museveni. Sempre ad aprile, un tribunale ha vietato all’attivista dei social media Ibrahim Musana di menzionare sulle piattaforme social i nomi di diversi funzionari di governo, compreso il presidente Museveni, in attesa dell’esito di una causa giudiziaria contro di lui per accuse comprendenti istigazione verbale all’odio. A luglio, un tribunale ha condannato Edward Awebwa a sei anni di carcere per avere condiviso video che prendevano in giro il presidente. In Zambia, le autorità hanno presentato flebili accuse contro diversi critici che avevano fatto emergere situazioni di corruzione o criticato le autorità di governo. Per citare un esempio, Raphael Nakacinda, segretario generale del partito d’opposizione Fronte patriottico, è stato condannato a 18 mesi di reclusione per “avere diffamato il presidente”, ai sensi di una legge che era stata abrogata nel 2021.
Diversi governi hanno cercato di introdurre nuove restrizioni al diritto alla libertà d’espressione. Nella Guinea Equatoriale, il parlamento ha iniziato a discutere a marzo un disegno di legge sui reati informatici che avrebbe introdotto nuove restrizioni sull’utilizzo dei social media. In Gambia e Lesotho, ha destato preoccupazioni il fatto che i disegni di legge sui reati informatici all’esame dei rispettivi parlamenti avrebbero comportato abusi e restrizioni contro il diritto alla libertà d’espressione, se approvati senza emendamenti. In Niger, le autorità hanno ripristinato le pene detentive per diffamazione e altri reati collegati, invertendo la rotta rispetto ai progressi ottenuti in precedenza in materia di diritto alla libertà d’espressione.
I governi hanno ignorato un richiamo della Commissione africana dei diritti umani e dei popoli (African Commission on Human and Peoples’ Rights – Achpr) a marzo, che li invitava ad astenersi dall’interrompere i servizi di telecomunicazione e Internet e/o bloccare l’accesso alle piattaforme digitali. Queste pratiche sono state segnalate in paesi come Comore, Etiopia, Guinea, Kenya, Mauritania, Mauritius, Mozambico, Senegal e Sudan. In Sudan, un blackout quasi totale delle telecomunicazioni, a febbraio, ha posto seriamente a rischio il coordinamento dell’assistenza emergenziale e dei servizi umanitaria per milioni di persone intrappolate nel conflitto.
Libertà dei media
Le azioni repressive contro i giornalisti hanno favorito un clima di paura che ha portato a forme di autocensura. I giornalisti sono stati minacciati, fisicamente aggrediti e/o arbitrariamente arrestati in Angola, Ciad, Guinea, Kenya, Lesotho, Nigeria, Tanzania, Togo, Zimbabwe e in altri paesi. Secondo la Federazione internazionale dei giornalisti, al 10 dicembre, in Africa erano stati uccisi otto giornalisti, cinque dei quali in Sudan. A marzo, il giornalista ciadiano Idriss Yaya è stato assassinato, assieme a sua moglie e al loro figlio di quattro anni, dopo avere ricevuto minacce, presumibilmente legate al suo lavoro d’informazione sull’escalation del conflitto comunitario nella regione di Mongo.
A oltre due decenni dallo smantellamento della stampa libera in Eritrea, non esisteva alcuna forma di media di proprietà privata regolarmente registrato. In Benin, Burkina Faso, Guinea, Tanzania e in altre parti, le autorità hanno sospeso o minacciato di sospendere le operazioni delle agenzie di stampa e dei giornali. In Burkina Faso, le autorità hanno sospeso le emittenti Tv5 Monde, Bbc e Voice of America, oltre che l’accesso ai siti web di nove organizzazioni mediatiche burkinabé per la loro copertura sui massacri di Nodin e Soro. In Guinea, il governo ha ordinato la revoca delle licenze operative per diverse emittenti radiofoniche e televisive per presunta “non conformità con le condizioni generali di contratto”. In Tanzania, le autorità regolatorie hanno sospeso per 30 giorni le piattaforme digitali di The Citizen, sostenendo che avevano pubblicato materiale che danneggiava “l’unità nazionale e la pace sociale”, in relazione a un video riguardante persone date per disperse o assassinate. In Togo, le autorità hanno sospeso gli accrediti stampa dei giornalisti stranieri per la copertura delle elezioni di aprile.
Libertà d’associazione
La capacità delle organizzazioni della società civile di programmare e svolgere liberamente le loro attività è stata ridotta. In Costa d’Avorio, il governo ha adottato un’ordinanza che ha regolamentato le attività di queste organizzazioni, suscitando preoccupazioni per il fatto che sarebbe stata utilizzata per interferire nella loro situazione finanziaria e controllare le loro attività. Le autorità etiopi hanno arbitrariamente sospeso le licenze di cinque organizzazioni nazionali per i diritti umani e quattro delle sospensioni erano ancora in vigore a fine anno. In Guinea, il governo ha sospeso il rinnovo delle licenze operative per le Ong per quattro mesi, in attesa di una valutazione delle loro attività. In Ruanda, una nuova legislazione ha imposto restrizioni in materia di bilancio e decisioni gestionali per le Ong nazionali.
In Uganda, un emendamento alla legge sulle Ong ha spianato la strada allo scioglimento del Bureau delle Ong, un organismo semiautonomo, e la sua ricostituzione come dipartimento presso il ministero degli Affari interni, una mossa che è stata vista come un passaggio verso un processo decisionale centralizzato basato sul controllo e una più ampia supervisione del governo sugli affari delle Ong. In Zimbabwe, il disegno di legge di modifica sulle organizzazioni di volontariato private, che a fine anno era in attesa di approvazione da parte del senato, conteneva disposizioni che avrebbero potuto essere utilizzate per limitare lo spazio civico e minacciare l’esistenza, l’indipendenza e le operazioni delle organizzazioni della società civile.
I governi devono garantire che le agenzie di pubblica sicurezza agiscano in conformità con il diritto e gli standard internazionali in materia di diritti umani, comprese le norme relative all’uso della forza; porre fine a tutte le forme di vessazione contro coloro che esercitano i loro diritti alla libertà d’espressione e riunione pacifica; e creare un ambiente sicuro che permetta alle organizzazioni delle società civile di operare.
Arresti e detenzioni arbitrari di attivisti dell’opposizione e difensori dei diritti umani sono stati documentati in molti paesi, tra cui Angola, Benin, Burkina Faso, Burundi, Ciad, Guinea Equatoriale, Mali, Mozambico, Niger, Sud Sudan, Tanzania, Togo, Zambia e Zimbabwe. In Angola, la salute di Adolfo Campos e Gildo das Ruas, due attivisti detenuti, si è deteriorata drasticamente quando sono state loro negate le cure mediche. In Ciad, dopo la morte del leader d’opposizione Yaya Dillo, a febbraio, durante un assalto delle forze di sicurezza alla sede del suo partito, le autorità hanno arrestato 25 suoi parenti, la maggior parte dei quali è stata detenuta in un carcere di massima sicurezza senza accesso a una rappresentanza legale o a cure mediche. A luglio, 14 di loro sono stati condannati a 10 anni di carcere e altri 10 sono stati assolti, mentre uno è rimasto in detenzione senza accusa. Tuttavia, a novembre e dicembre, sono stati tutti rilasciati senza spiegazione. In Mali, la gendarmeria ha arrestato 11 politici a giugno per avere tenuto una riunione a Bamako, la capitale. Accusati di avere “disturbato l’ordine pubblico e complottato contro lo stato”, sono stati rilasciati a dicembre.
In altre parti della regione, le autorità hanno fatto ricorso in maniera crescente ad arresti di massa, rastrellando centinaia di persone. In Congo, a maggio e giugno sono state arrestate 580 persone, dopo che le autorità di Brazzaville avevano lanciato l’Opération Coup de Poing (Operazione pugno di ferro) per combattere il crimine. In Etiopia, centinaia di persone sono state arrestate in tutta la nazione con il pretesto di applicare uno stato d’emergenza. Nella regione di Amhara, l’esercito federale e le forze di sicurezza hanno lanciato una nuova campagna di arresti di massa a settembre, arrestando in quattro giorni migliaia di persone. In Mozambico, centinaia di persone sono state arrestate in vista delle elezioni generali di ottobre per il loro sostegno o la loro appartenenza al Partito ottimista per lo sviluppo del Mozambico, all’opposizione. Altre migliaia sono state arrestate nel periodo postelettorale. In Zimbabwe, le autorità hanno intensificato il loro giro di vite sul dissenso pacifico, arrestando più di 160 persone, tra cui esponenti dell’opposizione, leader sindacali, studenti e giornalisti, prima del vertice dei capi di stato e di governo dei paesi della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale, tenutosi il 17 agosto ad Harare, la capitale. In precedenza, a giugno, la polizia aveva arrestato 78 persone, durante un’irruzione che aveva interrotto una riunione privata nell’abitazione di Jameson Timba, leader del partito d’opposizione Coalizione dei cittadini per il cambiamento.
Le sparizioni forzate sono rimaste un fenomeno pervasivo, in paesi come Angola, Burkina Faso, Burundi, Guinea, Kenya, Mali, Sierra Leone e Tanzania. In Kenya, l’ordine degli avvocati ha denunciato che almeno 72 persone erano state sottoposte a sparizione forzata in relazione alle proteste contro la legge finanziaria. In Guinea, Omar Sylla e Mamadou Billo Bah, membri del Fronte nazionale per la difesa della costituzione, arrestati a luglio, e il giornalista Habib Marouane Camara, arrestato agli inizi di dicembre, a fine anno rimanevano sottoposti a sparizione forzata.
I governi devono cessare di ricorrere ad arresti e detenzioni arbitrarie, oltre che a sparizioni forzate, per colpire persone come difensori dei diritti umani, attivisti, giornalisti, oppositori e critici del governo; rilasciare immediatamente e incondizionatamente chiunque sia detenuto unicamente per avere esercitato pacificamente i propri diritti umani; e rivelare la sorte e la localizzazione di chiunque sia sottoposto a sparizione forzata.
Con più di 11 milioni di persone sfollate internamente al paese, di cui 8,6 milioni sfollate da aprile 2023, il Sudan continuava a subire la più vasta crisi di sfollati del mondo. Altri paesi con un numero impressionante di sfollati interni comprendevano la Drc (7,3 milioni), il Burkina Faso (due milioni), la Somalia (552.000), il Sud Sudan (due milioni), la Car (455.533) e il Mali (331.000). Le condizioni di vita nei campi per sfollati interni sono rimaste deplorevoli, con continui attacchi da parte dei gruppi armati che aggravavano la situazione. Ad agosto, le Nazioni Unite hanno dichiarato una situazione di carestia nel campo per sfollati interni di Zamzam, nella regione del Nord Darfur del Sudan.
Il numero di persone rifugiate dalle zone di conflitto ha continuato a salire vertiginosamente. Quelle sudanesi, riversatesi nei paesi vicini erano più di 3,2 milioni. Vivevano in condizioni disperate, anche in Egitto dove centinaia erano arbitrariamente detenute in attesa di essere rimpatriate con la forza in Sudan. Tra gennaio e marzo, le autorità egiziane hanno rimpatriato con la forza circa 800 sudanesi.
Più di 20.000 migranti provenienti da vari paesi hanno subìto espulsioni dall’Algeria verso Assamaka, una località nella regione di Agadez, in Niger, tra gennaio e agosto. A maggio, diverse persone sono morte apparentemente per sfinimento percorrendo a piedi il deserto per raggiungere Assamaka o al loro arrivo.
I governi devono porre fine alla detenzione arbitraria di persone rifugiate e migranti sulla base del loro status di migrazione e proteggerle dai rimpatri forzati e dalle espulsioni di massa.
Lo stupro e l’omicidio in Etiopia di Heaven Awot, una bambina di sette anni, e la morte in Sierra Leone di tre ragazze dopo che erano state loro praticate mutilazioni genitali femminili (Mgf) sono diventati casi emblematici della diffusione della violenza sessuale contro donne e ragazze nell’intera regione. Tuttavia, sono stati registrati positivi sviluppi in diversi paesi. In Costa d’Avorio, l’assemblea nazionale ha adottato un emendamento al codice penale per permettere l’aborto nei casi di incesto. Il governo della Guinea Equatoriale ha adottato una dichiarazione che delineava misure concrete per affrontare le disuguaglianze di genere e promuovere l’empowerment delle donne. Il parlamento del Gambia ha respinto un disegno di legge per eliminare il divieto sulle Mgf. La Sierra Leone ha emanato una legge che ha vietato i matrimoni precoci e infantili. In Sudafrica, l’Alta corte di Pretoria ha sancito che le sezioni di una legge sui reati sessuali e questioni correlate erano incostituzionali, poiché prevedevano un esame soggettivo per stabilire l’intento criminale, in virtù del quale la violenza sessuale non era da considerarsi un reato qualora l’autore avesse erroneamente e irragionevolmente creduto che la querelante fosse consenziente.
Mentre gli attivisti celebravano il 10° anniversario della risoluzione 275 dell’Achpr sulla protezione dalla violenza delle persone lgbti, le autorità continuavano a utilizzare gli ordinamenti giuridici come arma per prenderle di mira e discriminarle. In Mali è stato adottato un nuovo codice penale che ha reso la condotta sessuale consensuale tra persone dello stesso sesso un reato punibile con due anni di carcere e un’ammenda. In Burkina Faso, la bozza di un nuovo codice di famiglia minacciava di criminalizzare le relazioni omosessuali consensuali. Il parlamento del Ghana ha approvato un disegno di legge che avrebbe ulteriormente criminalizzato le persone lgbti. In Malawi e Uganda, i tribunali hanno convalidato i divieti contro la condotta omosessuale consensuale in età adulta. In Eswatini, il governo ha ribadito il suo rifiuto a registrare un’organizzazione lgbti. Per contro, alcuni sviluppi positivi in altre parti hanno tra l’altro riguardato l’approvazione in Botswana di un emendamento costituzionale che potrebbe tutelare le persone intersex dalla discriminazione. L’Alta corte namibiana ha invalidato una legislazione che poneva fuori legge la condotta omosessuale.
I governi devono combattere tutte le forme di discriminazione e violenza di genere contro donne e ragazze, anche affrontando le cause alla loro base, e aumentando gli sforzi per eliminare le pratiche dannose. I governi devono abrogare le norme contro le persone lgbti e astenersi dai tentativi di criminalizzare la condotta omosessuale consensuale.
I paesi ad alto reddito che hanno la principale responsabilità di causare il cambiamento climatico non hanno messo a disposizione adeguati finanziamenti per un fondo perdite e i danni e per misure di adattamento. Di conseguenza, milioni di persone hanno sofferto la siccità, mentre altre migliaia sono state colpite da piogge torrenziali e inondazioni. Decessi causati da alluvioni sono stati registrati in paesi come Camerun, Costa d’Avorio, Madagascar, Mali e Niger. In Niger e Mali, sono morte per le alluvioni rispettivamente almeno 339 e 177 persone. In Madagascar, il ciclone Gamane ha provocato 18 morti, sfollato 20.737 persone e danneggiato infrastrutture vitali come strade e ponti.
Diversi governi sono riusciti a ottenere finanziamenti per affrontare la crisi del cambiamento climatico ma al costo di un aumento degli oneri del debito. La Costa d’Avorio si è assicurata 1,3 miliardi di dollari Usa per migliorare la sua resilienza climatica e la transizione verso le energie rinnovabili. La Namibia ha ottenuto un investimento di 10 miliardi di dollari Usa per sviluppare il cosiddetto “idrogeno verde”. Nel frattempo, il governo del Sudafrica ha annunciato la creazione di un fondo per il cambiamento climatico, per rispondere agli effetti della crisi climatica e rafforzare la resilienza del paese. In Madagascar, il governo si è impegnato a ridurre del 28 per cento le emissioni di gas serra entro il 2030. Altri sviluppi positivi hanno compreso la sospensione da parte del governo congolese delle operazioni presso l’azienda di riciclaggio dei rifiuti Metssa Congo a Vindoulou, nel dipartimento di Pointe Noire, a causa dei potenziali rischi per la salute delle popolazioni circostanti e l’ambiente. Le autorità senegalesi hanno sospeso fino a metà 2027 tutte le attività minerarie lungo il fiume Falémé a causa delle preoccupazioni sanitarie e ambientali legate all’utilizzo di sostanze chimiche durante le operazioni estrattive.
I governi devono adottare misure immediate per proteggersi dagli effetti del cambiamento climatico e rafforzare la loro preparazione agli eventi metereologici estremi, anche cercando assistenza internazionale e finanziamenti per il clima dai paesi più ad alto reddito, e in particolare da quelli maggiormente responsabili del cambiamento climatico.
L’impunità è rimasta consolidata in molti paesi. In Eswatini, il governo non ha provveduto a indagare su una serie di uccisioni extragiudiziali compiute tra il 2021 e il 2024, compresa quella dell’avvocato per i diritti umani Thulani Maseko nel 2023. In Etiopia, il governo ha continuato ad archiviare i crimini documentati dagli organismi per i diritti umani, mentre la sua iniziativa di “giustizia di transizione”, limitata alla riconciliazione, è rimasta in larga parte un esercizio teorico. In Senegal, una legge di amnistia approvata a marzo ha fermato i procedimenti giudiziari per le uccisioni di 65 manifestanti e passanti avvenute tra marzo 2021 e febbraio 2024.
Tuttavia, in diversi paesi sono state registrate misure per promuovere la giustizia e l’accertamento delle responsabilità per i crimini di diritto internazionale. Nella Car, il Tribunale penale speciale ha arrestato due sospetti ed emesso un ordine di cattura per l’ex presidente François Bozizé per presunti crimini contro l’umanità collegati alle azioni della sua guardia presidenziale, tra il 2009 e il 2013. L’assemblea nazionale del Gambia ha approvato ad aprile documenti legislativi che hanno istituito il meccanismo speciale per l’accertamento delle responsabilità e l’ufficio del procuratore speciale. A dicembre, l’Ecowas ha concordato di istituire il Tribunale speciale per il Gambia, dimostrando di voler progredire verso l’accertamento delle responsabilità per i crimini commessi sotto l’ex presidente Yahya Jammeh. In Sud Sudan, sono state emanate legislazioni per l’istituzione di commissioni per la verità e la riconciliazione, ma la creazione di un tribunale ibrido per il Sud Sudan è rimasta in stallo.
In un limitato numero di casi, i procedimenti giudiziari di sospetti perpetratori hanno portato a condanne. In Guinea, la Corte penale di Dixinn ha emesso verdetti di colpevolezza contro otto persone, compreso l’ex presidente Moussa Dadis Camara, per crimini contro l’umanità in relazione al massacro allo stadio del settembre 2009. L’Icc ha condannato Al Hassan Ag Abdoul Aziz a 10 anni di carcere per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi in Mali tra maggio 2012 e gennaio 2023.
I governi devono rafforzare le misure per prevenire e combattere l’impunità intraprendendo indagini tempestive, approfondite, indipendenti, imparziali, efficaci e trasparenti sui crimini di diritto internazionale e altre serie o gravi violazioni dei diritti umani e abusi, assicurando alla giustizia i perpetratori e garantendo alle vittime l’accesso a un rimedio concreto.