Photo by Omar AL-QATTAA / AFP
La ricerca condotta da Amnesty International nel 2024 ha evidenziato diversi temi cruciali che influenzano le attuali tendenze globali riguardanti i diritti umani: violazioni del diritto internazionale umanitario nel contesto dei conflitti armati, repressione del dissenso, discriminazione, ingiustizie economiche e climatiche e l’uso improprio della tecnologia per violare i diritti umani. Nonostante alcuni limitati sviluppi positivi, molte di queste tendenze rappresentano battute d’arresto che rischiano di diventare ancora più gravi nel 2025 e negli anni a venire, dati i continui attacchi degli stati, in particolare quelli più potenti, al sistema di regole internazionale e le pratiche autoritarie diffuse nei vari continenti.
La popolazione civile ha subìto crimini di guerra in diversi paesi e genocidio a Gaza, e continua a subirli nel 2025. Mentre in alcuni casi i meccanismi di giustizia internazionale hanno compiuto importanti passi avanti verso l’accertamento delle responsabilità, i governi potenti hanno ripetutamente bloccato i tentativi di adottare azioni significative per porre fine alle atrocità.
I conflitti armati hanno devastato le vite di milioni di persone nel mondo, tra cui in Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana (Central African Republic – Car), Repubblica Democratica del Congo (Democratic Republic of Congo – Drc), Etiopia, Iraq, Israele e Territorio palestinese occupato (Occupied Palestinian Territory – Opt), Libia, Mali, Mozambico, Myanmar, Niger, Nigeria, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Siria, Ucraina e Yemen. Le parti in conflitto, sia le forze governative sia i gruppi armati, hanno commesso crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, come attacchi diretti contro i civili e le infrastrutture civili e attacchi indiscriminati che hanno causato morti e feriti tra la popolazione.
Molte persone, in particolare quelle provenienti da comunità marginalizzate, sono state private dei diritti all’istruzione, al cibo, a un alloggio adeguato, all’assistenza sanitaria e alla sicurezza. Ad agosto 2024, le Nazioni Unite hanno dichiarato condizioni di carestia nel campo per sfollati interni di Zamzam, in Sudan. Con 11 milioni di persone sfollate internamente nel 2024, il Sudan ha dovuto far fronte alla più vasta crisi di sfollati del mondo. Mentre la Russia ha continuato a prendere di mira civili e infrastrutture civili in centri popolati dell’Ucraina con missili e droni, le condizioni basilari di vita per la popolazione civile ucraina sono precipitate, con minori, persone anziane e altri gruppi a rischio che hanno pagato un prezzo particolarmente alto. La Russia ha anche sottoposto persone civili ucraine e prigionieri di guerra detenuti a sparizione forzata, tortura e maltrattamento.
Le azioni compiute da Israele a Gaza hanno avuto un catastrofico bilancio di vittime tra civili palestinesi e hanno costituito genocidio. Inoltre, il sistema di apartheid e occupazione illegale imposto da Israele è diventato sempre più violento nella Cisgiordania occupata, segnato da un forte aumento delle detenzioni arbitrarie, delle uccisioni illegali e degli attacchi contro civili palestinesi da parte di coloni israeliani sostenuti dallo stato.
Durante il 2024, in alcuni paesi c’è stata un’allarmante impennata dei casi di violenza sessuale e altra violenza di genere legata al conflitto. Nella Car, nella prima metà dell’anno sono stati registrati più di 11.000 casi di violenza di genere. In Sudan, la Missione d’inchiesta internazionale indipendente delle Nazioni Unite per il Sudan ha documentato che membri delle Forze di supporto rapido (Rapid Support Forces – Rsf) avevano perpetrato violenze sessuali diffuse.
Alcune violazioni in scenari di conflitto armato hanno avuto un impatto sproporzionato su donne e ragazze. A Gaza, le ripetute ondate di sfollamenti forzati hanno contribuito a condizioni di vita disumane per oltre un milione di palestinesi, ma hanno avuto un impatto particolarmente pesante per le donne in gravidanza e in allattamento. Nel nord-est della Siria, migliaia di donne e ragazze sono state detenute per oltre cinque anni senza accusa né processo, in campi o strutture di detenzione a causa della sospetta affiliazione dei loro parenti maschi con il gruppo armato Stato islamico.
Un razzismo sistemico ha alimentato i conflitti. In Israele, i leader politici hanno utilizzato contro i palestinesi una retorica disumanizzante. In Myanmar, le persone di etnia rohingya hanno continuato a subire attacchi razzisti, che hanno costretto molte di loro a fuggire dallo loro patria nello stato di Rakhine. In Sudan, alcuni attacchi delle Rsf contro civili avevano alla base motivazioni etniche. Inoltre, la Russia ha cercato di modificare la demografia dei territori ucraini che aveva occupato e ha represso l’uso della lingua ucraina e altre lingue e culture locali.
Milioni di persone in tutto il mondo hanno protestato contro i crimini commessi dalle parti coinvolte nei conflitti armati. Tuttavia, le istituzioni multilaterali, soprattutto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, hanno spesso dimostrato di essere incapaci o di non avere la volontà di esercitare pressioni sulle parti in conflitto, affinché rispettassero il diritto internazionale umanitario o garantissero che l’assistenza umanitaria corrispondesse all’entità dei bisogni della popolazione civile. Di conseguenza, queste istituzioni stanno perdendo legittimità e la loro stessa esistenza è stata messa in discussione.
Per tutto il 2024, i governi, individualmente e multilateralmente, si sono dimostrati ripetutamente incapaci di intraprendere azioni significative per porre fine alle atrocità. Gli Usa, il Regno Unito e molti stati dell’Ue hanno pubblicamente appoggiato le azioni compiute da Israele a Gaza. Gli Usa hanno fatto un uso improprio del loro potere di veto, con la conseguenza che per mesi il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non è stato in grado di intraprendere alcuna azione concreta, invocando un immediato ma limitato cessate il fuoco soltanto il 25 marzo 2024. Anche allora, gli Usa hanno indebolito il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dichiarando la risoluzione non vincolante, nel tentativo di fare da scudo al loro alleato e permettergli di non rispettarla. Un’azione più incisiva è stata intrapresa dall’Assemblea generale, che a dicembre 2024 ha adottato una risoluzione che chiedeva la fine dell’occupazione israeliana della Palestina entro 12 mesi, e a dicembre 2024 altre due risoluzioni che chiedevano un cessate il fuoco permanente a Gaza, il rilascio di tutte le persone in ostaggio e il completo, rapido, sicuro e non ostacolato ingresso degli aiuti umanitari all’interno di Gaza e dintorni, e che riaffermavano inoltre il pieno sostegno all’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente (United Nations Relief and Works Agency – Unrwa). A novembre 2024, la Russia ha posto il veto a una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva la fine degli attacchi contro la popolazione civile in Sudan e che invocava la facilitazione dell’assistenza umanitaria per milioni di persone in condizioni di disperato bisogno.
I governi dovrebbero riformare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in modo che gli stati membri permanenti non possano esercitare il potere di veto per bloccare azioni finalizzate a far cessare i crimini di atrocità e garantire un rimedio. Dovrebbero inoltre aumentare gli aiuti umanitari per la popolazione civile in condizioni di bisogno.
Se da un lato le azioni dell’Icc si sono dimostrate inadeguate in alcuni paesi, come ad esempio Afghanistan e Nigeria, importanti passi avanti verso un accertamento delle responsabilità sono stati compiuti nei casi riguardanti Israele e Opt, Libia e Myanmar. A ottobre 2024, l’Icc ha annunciato mandati d’arresto contro sei leader, esponenti di spicco e affiliati del gruppo armato al-Kaniat in Libia, con accuse di crimini di guerra. A novembre 2024, il procuratore dell’Icc ha chiesto un mandato d’arresto per il generale in capo delle forze armate Min Aung Hlaing, per crimini di guerra contro il popolo rohingya durante le operazioni militari nel 2017. Lo stesso mese, l’Icc ha emesso mandati d’arresto contro i leader israeliani e i vertici di Hamas per accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Alcuni stati hanno chiarito che avrebbero applicato i mandati d’arresto contro funzionari israeliani. Tuttavia, alcuni alleati di Israele hanno annunciato che non l’avrebbero fatto. In modo simile, la Mongolia non ha rispettato il suo obbligo come stato parte dello Statuto di Roma di arrestare il presidente russo Vladimir Putin, per il quale l’Icc aveva emesso un mandato d’arresto per crimini di guerra a marzo 2023, quando questi ha visitato il paese a settembre 2024.
Nel 2024, la Corte internazionale di giustizia ha disposto tre serie di misure provvisorie nella causa intentata dal Sudafrica contro Israele ai sensi della Convenzione sul genocidio ed emesso un parere consultivo che ha concluso che l’occupazione israeliana del territorio palestinese è illegale. Alcuni stati, tra cui il Belgio e la Spagna, si sono conformati alle richieste degli esperti delle Nazioni Unite di sospendere le esportazioni di armi verso Israele. Le cause intentate da attori della società civile hanno contestato i trasferimenti di armi nelle aule di giustizia in paesi come Danimarca, Francia, Paesi Bassi e Regno Unito. Gli Usa hanno continuato a essere di gran lunga il principale esportatore di armi verso Israele e alcuni stati europei, come Repubblica Ceca, Francia e Germania, hanno continuato a trasferire armi verso stati dove mancava un accertamento delle responsabilità per le violazioni del passato e sussisteva il rischio che queste potessero essere utilizzate per commettere o facilitare gravi violazioni, come ad esempio in Israele, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (United Arab Emirates – Uae).
I governi dovrebbero sostenere l’Icc, proteggere il suo operato e il suo staff da sanzioni e altre minacce, e applicare i suoi mandati di cattura. Dovrebbero inoltre interrompere i trasferimenti irresponsabili di armi.
I governi di un’ampia gamma di paesi hanno adottato pratiche autoritarie e introdotto nuove misure per limitare la libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica. Hanno utilizzato queste leggi e altri regolamenti esistenti per reprimere persone impegnate nella difesa dei diritti umani, voci critiche e oppositori, o come un modo per sfuggire all’accertamento delle responsabilità e consolidare il loro potere.
Nel 2024, nuove norme restrittive sul diritto di protesta sono state approvate o proposte in paesi come Argentina, Georgia, Nicaragua, Pakistan e Perù. In alcuni paesi, compresa la Turchia, le autorità hanno imposto drastici divieti di protesta.
Le forze di sicurezza hanno spesso disperso con brutalità e illegalmente le proteste, e utilizzato arresti arbitrari di massa e sparizioni forzate per reprimerle. Nel 2024, uccisioni e/o arresti di massa di decine di manifestanti sono stati documentati in paesi come Bangladesh, Egitto, Georgia, Giordania, Guinea, India, Indonesia, Kenya, Mozambico, Nepal, Nigeria, Pakistan e Senegal. In Bangladesh, contro le proteste studentesche sono state schierate le forze armate e sono stati emanati ordini di “sparare a vista”, con il risultato di provocare quasi un migliaio di persone morte e molte altre ferite.
In tutto il mondo, compresi paesi come Canada, Egitto, Figi, Finlandia, Germania, India, Italia, Malesia, le Maldive e gli Usa, chi manifestava per la fine della guerra a Gaza e i diritti dei palestinesi ha dovuto affrontare violenze, vessazioni o l’arresto.
L’impiego di armi letali e meno letali contro manifestanti ha continuato a provocare morti e feriti in tutto il mondo. Tuttavia, la campagna della società civile globale per un trattato internazionale su un commercio libero dalla tortura giuridicamente vincolante ha sviluppato la sua portata globale, attirando l’attenzione degli stati sulla necessità di un trattato di questo tipo e ottenendo il sostegno verbale di varie Procedure speciali delle Nazioni Unite.
Ci sono stati cambiamenti positivi: nel 2024, la Corte dell’Ecowas ha stabilito che la Nigeria aveva violato i diritti di manifestanti del movimento #EndSars; a maggio, nel Regno Unito, i regolamenti che avevano rafforzato i poteri della polizia di limitare le proteste sono stati annullati in quanto illegali. Quando il presidente della Corea del Sud ha sospeso i diritti fondamentali, compreso il diritto di riunione pacifica, dopo avere proclamato la legge marziale nel dicembre 2024, le proteste popolari hanno contestato con successo la decisione. L’assemblea nazionale l’ha rapidamente annullata e il presidente è stato sospeso dall’incarico.
I governi dovrebbero smettere di impiegare in modo illegale armi letali e meno letali contro chi manifesta e raddoppiare i loro sforzi verso la negoziazione e l’adozione di un trattato delle Nazioni Unite su un commercio libero dalla tortura.
Nel 2024, autorità hanno introdotto o cercato di introdurre nuove restrizioni al diritto alla libertà di espressione. Stati, tra cui Afghanistan, Bangladesh, Bielorussia, Burkina Faso, Cina (compresa Hong Kong), Gambia, Georgia, Germania, Guinea Equatoriale, India, Kirghizistan, Lesotho, Moldova, Pakistan, Papua Nuova Guinea, Russia, Sri Lanka, Tagikistan, Uzbekistan e Vietnam hanno portato avanti leggi o disegni di legge che rischiavano di soffocare la libertà di parola o mettere al bando i media.
Le autorità di paesi come Costa d’Avorio, Etiopia, Georgia, Guinea, Kirghizistan, Nicaragua, Paraguay, Ruanda, Russia, Tagikistan, Thailandia, Tunisia, Uganda, Ungheria e Venezuela, tra gli altri, hanno adottato nuove misure per limitare la libertà d’associazione. I provvedimenti includevano lo scioglimento o la sospensione di Ong o partiti politici, o il fatto di etichettarli come “estremisti”.
Più in generale, gli attacchi ai diritti alla libertà d’espressione e associazione sono rimasti dilaganti. Le tattiche repressive dei governi comprendevano la detenzione arbitraria, la tortura e l’ingiusto perseguimento giudiziario di voci critiche e oppositori, oltre che l’utilizzo di spyware. In alcuni casi, hanno implicato l’uccisione illegale o la sparizione forzata di persone critiche o anche la loro condanna a morte. Tra le persone prese di mira c’erano giornalisti, commentatori online, attivisti politici e sindacalisti, e difensori dei diritti umani, comprese quelle attive in campagne per i diritti delle donne, delle persone lgbti e delle comunità marginalizzate. Nel 2024, in paesi come Arabia Saudita, Bielorussia, Cina, Kirghizistan, Russia, Tagikistan e Turchia, ci sono stati casi di persone giudicate e condannate a pene detentive per accuse che facevano riferimento a “terrorismo” ed “estremismo”, al termine di processi iniqui, unicamente per avere esercitato i loro diritti alla libertà d’espressione e associazione, anche attraverso i social media.
I governi dovrebbero abrogare le leggi e porre fine alle pratiche che violano i diritti alla libertà d’espressione e associazione.
La discriminazione razziale e altre forme di discriminazione hanno guidato l’approccio in materia di asilo e migrazione di molti paesi e avuto un impatto sui diritti dei gruppi marginalizzati. Inoltre, i gruppi marginalizzati sono stati utilizzati come capri espiatori e presentati come una minaccia alla stabilità politica o economica, al fine di legittimare ulteriori restrizioni ai diritti umani e permettere a chi detiene il potere di rafforzare il proprio controllo. Nel 2024, ci sono stati avanzamenti e battute d’arresto nel campo dei diritti delle persone lgbti e dei diritti sessuali e riproduttivi.
Razzismo e altre forme di oppressione hanno continuato a guidare l’approccio in tema di asilo e migrazione di molti paesi. Politiche e pratiche discriminatorie hanno colpito in modo sproporzionato gruppi razzializzati di persone migranti, rifugiate e altre non cittadine1. Diversi paesi, tra cui Arabia Saudita, Canada e Qatar, hanno continuato ad applicare programmi di gestione dei visti caratterizzati da razzismo e a vincolare i lavoratori migranti a uno specifico datore di lavoro, aumentando il rischio di sfruttamento lavorativo.
Gli stati e gli attori non statali hanno inoltre impiegato e utilizzato impropriamente le tecnologie digitali nella gestione della migrazione e dei sistemi d’asilo2.
In varie parti del mondo, i governi hanno adottato misure estreme e violente per impedire e respingere gli arrivi irregolari. Queste hanno implicato azioni che delegavano ad altri paesi la loro responsabilità su rifugiati e migranti, la chiusura dei confini e respingimenti di massa. Nel 2024, l’Egitto ha arbitrariamente detenuto centinaia di persone sudanesi che vivevano nei paesi vicini, spesso in condizioni drammatiche. Le autorità pakistane hanno respinto con la forza in Afghanistan centinaia di migliaia di persone rifugiate, nel quadro di una politica d’espulsione illegale. Gli Usa hanno sospeso l’ingresso di richiedenti asilo al confine tra Usa e Messico, esponendo queste persone al rischio di estorsione, rapimento e violenza sessuale e di genere. La Bielorussia ha continuato a spingere rifugiati e migranti al di là dei confini con l’Ue, causando anche dei decessi date le condizioni altamente rischiose del percorso. Altri paesi europei e l’Ue non hanno ridotto la loro dipendenza da paesi terzi per la gestione della migrazione o ampliato le rotte sicure e legali per le persone rifugiate.
Le vergognose risposte dei governi alla migrazione irregolare hanno inoltre minacciato lo stato di diritto, poiché hanno ignorato o aggirato gli ordini emessi dall’autorità giudiziaria che riaffermavano i diritti delle persone migranti, richiedenti asilo e rifugiate. La Grecia ha regolarmente ignorato le sentenze della Corte europea dei diritti umani (Cedu). Per citare un esempio, l’utilizzo di armi da fuoco durante le operazioni di controllo delle frontiere è rimasto motivo di preoccupazione, nonostante una sentenza della Cedu del 2024 avesse stabilito che la Grecia aveva violato il diritto alla vita durante un’intercettazione in mare nel 2014. Nel 2024, il Regno Unito ha cercato di ribaltare una sentenza della Corte suprema del 2023, secondo cui il Ruanda non era un paese sicuro, nell’ambito di un programma che prevedeva che persone richiedenti asilo fossero trasferite lì; il programma è stato definitivamente abbandonato a seguito del cambio di governo britannico.
Per contro, i gruppi di sponsorizzazione di comunità sparsi nel mondo hanno continuato a contrastare razzismo ed esclusione con espressioni di solidarietà concrete.
I governi dovrebbero adottare politiche di migrazione che affrontino efficacemente la disuguaglianza e l’esclusione.
I gruppi razzializzati, etnici, minoritari e altri gruppi marginalizzati hanno continuato a subire una discriminazione sistematica e disuguaglianze radicate, che hanno colpito profondamente i loro diritti umani.
Nel 2024, con una mossa positiva, i popoli nativi di Taiwan hanno ottenuto il diritto di utilizzare nei documenti ufficiali i loro nomi nativi, piuttosto che le loro trascrizioni in mandarino. Tuttavia, il rispetto per i diritti delle popolazioni native ha subìto battute d’arresto in diversi paesi. In Nuova Zelanda il governo ha promulgato nuove leggi che minacciavano i diritti del popolo māori. I governi di paesi come la Bolivia, l’Indonesia e la Malesia hanno fatto proseguire i progetti estrattivi o di sviluppo sui terreni rivendicati dalle popolazioni native, senza il loro consenso libero, anticipato e informato.
La profilazione razziale e un razzismo istituzionalizzato in aree come la gestione della pubblica sicurezza e del welfare hanno continuato a persistere, evidenziando la natura pervasiva di queste ingiustizie. Nelle Americhe, le operazioni di pubblica sicurezza hanno preso di mira o colpito in modo sproporzionato le persone afrodiscendenti in paesi come Brasile, Ecuador e gli Usa. In Asia, le minoranze etniche e religiose, come i gruppi etnici non-han in Cina e la minoranza pamiri in Tagikistan, hanno subìto persecuzioni e una discriminazione sistemica. In Europa, la Norvegia e la Svizzera hanno utilizzato la discriminatoria pratica della profilazione razziale, mentre in Danimarca, nei Paesi Bassi e in Svezia sistemi di welfare automatizzati hanno portato a pratiche discriminatorie contro le persone razzializzate, penalizzando anche le donne e le persone a basso reddito.
Nel Regno Unito e in altri paesi, l’amplificazione da parte delle piattaforme social di contenuti dannosi ha svolto un notevole ruolo nella violenza razzista e xenofoba.
Persone esperte, attivisti e organizzazioni che si occupano delle eredità del colonialismo hanno continuato a chiedere ai governi di affrontare il loro passato coloniale e i suoi attuali effetti sui diritti umani. Ad agosto, la Commissione interamericana dei diritti umani ha riconosciuto che il razzismo strutturale e la discriminazione razziale rappresentavano ostacoli al pieno godimento dei diritti delle persone afrodiscendenti e delle comunità tribali e ha sollecitato gli stati a implementare una giustizia riparatoria completa. A novembre, esperti provenienti da paesi del continente africano e dalle loro diaspore hanno chiesto ai governi europei di affrontare il loro passato coloniale e i suoi effetti attuali alla Dekoloniale Berlin Africa Conference, una contro-versione della storica Conferenza di Berlino sull’Africa del 1884-1885, tenutasi 140 anni prima3.
I governi dovrebbero porre fine alla discriminazione incorporata nelle loro leggi e prassi, affrontare la questione della giustizia riparatoria per la schiavitù e il colonialismo e contrastare la legalità di queste ingiustizie storiche, nelle forme contemporanee di razzismo e disuguaglianza.
Il contrasto alla parità di genere si è intensificato in molti contesti. La discriminazione di genere e la violenza contro le donne, le ragazze e le persone lgbti rimane pervasiva, in particolare per tutte quelle persone che erano esposte a forme di discriminazione molteplici e intersezionali. In Afghanistan, dove donne e ragazze hanno continuato a essere sottoposte a persecuzione di genere (un crimine contro l’umanità), i talebani hanno imposto restrizioni ancora più severe nel corso del 2024, escludendole completamente dalla vita pubblica e limitando di fatto tutti gli aspetti della loro vita. In Argentina, nel 2024 è stato registrato un femminicidio ogni 33 ore. In Iran, le autorità hanno intensificato la loro brutale repressione contro le donne e le ragazze che sfidavano le leggi sull’obbligo di indossare il velo.
Nonostante le battute d’arresto, il 2024 ha visto anche alcuni progressi nel campo dei diritti delle persone lgbti. La Thailandia è diventata il primo paese del sud-est asiatico a riconoscere il matrimonio egualitario per le persone lgbti, mentre un divieto contro i matrimoni omosessuali è stato dichiarato incostituzionale in Giappone. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è stato legalizzato in Grecia e nella Repubblica Ceca. I tribunali di Corea del Sud, Giappone e Taiwan hanno sancito avanzamenti nel riconoscimento dei diritti delle persone transgender riguardo alle pratiche di affermazione del genere. In Namibia, l’Alta corte ha annullato la legislazione che poneva fuorilegge la condotta sessuale omosessuale consensuale, sebbene il governo abbia impugnato la decisione.
Allo stesso tempo, sono continuate le reazioni negative contro i diritti lgbti attraverso la proliferazione della discriminazione e di leggi repressive guidate da movimenti anti-diritti e anti-gender4. In Ghana, Malawi, Mali e Uganda, le autorità legislative o giudiziarie hanno adottato specifiche misure volte rispettivamente a criminalizzare o confermare la messa al bando delle condotte sessuali omosessuali tra adulti. La Georgia ha adottato una legislazione sui “valori familiari e la protezione dei minori”, che conteneva numerose misure omofobiche e transfobiche, sembrando ricalcare in gran parte la legislazione russa contro la “propaganda gay”. La Bulgaria ha messo al bando la “propaganda gay” nelle scuole. La violenza e la negazione della protezione dei diritti umani hanno avuto gravi effetti sulla vita delle persone transgender a livello globale.
Nel 2024, diversi paesi hanno introdotto politiche nella legge o nella prassi che hanno ampliato l’accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva. In Europa, la Francia è diventato il primo paese del mondo a inserire esplicitamente l’aborto come una libertà garantita nella costituzione, mentre diversi altri paesi hanno sostenuto misure per proteggere le pazienti e i fornitori di servizi sanitari dalle vessazioni fuori dalle cliniche per l’aborto. D’altro canto, altri paesi, tra cui Afghanistan, Argentina, Cile, Portorico e Russia, hanno introdotto politiche che hanno ridotto i servizi di salute sessuale e riproduttiva. Inoltre, alcune aziende dei social media come Meta e TikTok hanno rimosso le informazioni riguardanti l’aborto dalle loro piattaforme online.
In molti paesi persistevano ancora ostacoli nell’accesso ai servizi di assistenza per l’aborto e coloro che difendevano il diritto d’aborto rimanevano sotto attacco. Attivisti, sostenitori, operatori sanitari e altre persone sono stati esposti a forme di stigmatizzazione e minacce e criminalizzati attraverso procedimenti giudiziari ingiusti, indagini e arresti.
I governi devono porre fine alla discriminazione e alla violenza di genere, abrogare le leggi repressive e garantire l’accesso a informazioni complete e ai servizi di salute sessuale e riproduttiva, compreso l’accesso a un aborto sicuro.
I governi non hanno saputo dimostrare di avere l’ambizione necessaria per affrontare i costi sempre più elevati in termini di diritti umani determinati dal cambiamento climatico. Nel frattempo, gli alti livelli di inflazione, il ripagamento del debito e gli abusi fiscali hanno compromesso i diritti economici e sociali in paesi a ogni livello di reddito, ma in particolare in quelli a basso reddito. Inoltre, nel contesto della transizione verso le energie rinnovabili, la richiesta dei cosiddetti “minerali critici” è aumentata significativamente, comportando nuovi rischi per i diritti umani.
I governi hanno completamente disatteso i loro obblighi di proteggere i diritti umani all’interno e al di là dei loro confini, di fronte all’accelerazione del cambiamento climatico. Secondo i dati del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, il mondo è ormai avviato a raggiungere la soglia dei tre gradi Celsius di riscaldamento sopra i livelli preindustriali entro la fine del secolo. I dati pubblicati a maggio 2024 indicavano che la temperatura media registrata nei 12 mesi precedenti era stata di oltre 1,5 gradi Celsius sopra i livelli preindustriali5.
Il 2024 ha in ogni caso mostrato che i costi del cambiamento climatico in termini di diritti umani sono inaccettabilmente elevati, anche ai livelli di riscaldamento attuali. Il cambiamento climatico ha reso più gravi e più probabili disastri anomali come uragani, cicloni, incendi boschivi e forti piogge, provocando un numero crescente di morti, sfollamenti forzati, carestie e altri danni per i diritti umani. Le inondazioni che hanno colpito il Bangladesh e l’India hanno sfollato centinaia di migliaia di persone nel 2024. Il cambiamento climatico ha spinto sempre più persone ad abbandonare le loro case in Africa, con l’effetto di provocare ulteriori flussi di sfollati in territori dove erano già presenti milioni di persone sfollate con la forza6.
Alcuni governi hanno scelto di far crescere le loro economie attraverso investimenti in settori economici e progetti che danneggiano i diritti umani, compreso il diritto a un ambiente salubre. Questo tipo di investimenti sono spesso scarsamente regolamentati e incoraggiano gli attori aziendali a massimizzare i loro profitti, incuranti dei danni “collaterali” per i diritti umani. Per esempio, i governi hanno destinato significativi sussidi diretti e indiretti sovvenzionati dai contribuenti all’industria dei combustibili fossili, nonostante la responsabilità che questa aveva per i significativi danni causati ai diritti umani in tutto il mondo; a soluzioni alla crisi climatica, non dimostrate, che potrebbero comportare violazioni dei diritti umani nella loro implementazione, come la cattura e lo stoccaggio del carbonio e la produzione di idrogeno; fino a progetti di sviluppo turistico su vasta scala. In alcuni casi, questi progetti hanno comportato sgomberi forzati, un significativo inquinamento e altri danni ai diritti umani.
I paesi maggiormente responsabili delle emissioni di carbonio sono anche quelli che contribuiscono con importi irrisori in termini di finanza climatica, per l’adattamento dei paesi a basso reddito che affrontano in prima linea i danni ambientali della crisi climatica. L’adattamento climatico può contribuire a ridurre al minimo la perdita di vite umane e altri danni ai diritti umani, attraverso l’implementazione di solidi sistemi di allerta precoce, sistemi sanitari resilienti e infrastrutture di risposta alle emergenze. Alcuni finanziamenti sono basati su prestiti che indebitano ulteriormente i paesi a basso reddito.
Attivisti e comunità hanno chiesto la realizzazione di una giustizia climatica. Alcuni si sono rivolti ai meccanismi giudiziari interni o internazionali per costringere i governi a impegnarsi a raggiungere una più rapida eliminazione dei combustibili fossili, benché i governi non abbiano sempre implementato le sentenze giudiziarie risultanti. Tre decisioni emesse dalla Cedu ad aprile 2024 hanno chiarito gli obblighi degli stati in materia di diritti umani nel contesto della crisi climatica7. Una ha stabilito che la Svizzera non aveva rispettato i suoi obblighi di ridurre le emissioni di gas serra, ma il parlamento svizzero ha votato per respingerla. Nel frattempo, la Corte internazionale di giustizia ha aperto le sue audizioni per un parere consultivo sul cambiamento climatico, che era stata avviata da un’iniziativa studentesca nello stato insulare di Vanuatu, nel Pacifico.
Tutti i governi dovrebbero implementare una rapida, equa e finanziata eliminazione dei combustibili fossili e smettere di sovvenzionare l’industria basata sul loro sfruttamento. I paesi che storicamente contribuiscono in maggior misura alle emissioni di carbonio e gli altri paesi che sono nella condizione di farlo dovrebbero fornire finanziamenti per l’adattamento climatico nei paesi a basso reddito più danneggiati dal cambiamento climatico8.
Il peggioramento del cambiamento climatico si inserisce in un più ampio contesto segnato da conflitti globali, inflazione elevata e ripagamento del debito, scarsa regolamentazione delle multinazionali e pervasivi abusi fiscali9. Nel 2024, il ripagamento del debito dei paesi a basso reddito ha raggiunto i livelli più alti degli ultimi 30 anni, riducendo al minimo i bilanci per la sanità e l’istruzione in molti paesi. Sistemi fiscali iniqui e l’incapacità di controllare l’elusione e l’evasione fiscale aziendale e individuale hanno ulteriormente privato i governi delle entrate necessarie per la realizzazione di una gamma di diritti. Di conseguenza, povertà estrema e disuguaglianze hanno continuato ad aggravarsi. Povertà e conflitto, combinati con periodi di siccità legata al cambiamento climatico e altri disastri anomali, hanno gettato milioni di persone in una condizione di grave insicurezza alimentare. Nel 2024, sono state dichiarate situazioni di carestia a Gaza, Haiti e Sudan. A livello globale, le risposte umanitarie hanno fornito meno della metà dei finanziamenti necessari per rispondere ai bisogni immediati delle popolazioni colpite.
Contestando questa situazione, attivisti e comunità hanno protestato e si sono impegnati in iniziative di disobbedienza civile, per esprimere le loro preoccupazioni per il costo della vita, anche facendo fronte alla crescente criminalizzazione delle proteste. Inoltre, nel 2024 sono stati adottati i termini di riferimento per la stesura di una futura Convenzione quadro delle Nazioni Unite su una cooperazione fiscale internazionale. Questa convenzione potrebbe gettare le basi per un sistema fiscale globale più equo, che impedisca gli abusi che compromettono la capacità dei governi di investire nei diritti alla salute, all’istruzione e alla sicurezza sociale. Ben 110 paesi hanno votato a favore, con soltanto otto voti contrari e 44 astenuti.
I governi dovrebbero agire rapidamente per elaborare, adottare e implementare la Convenzione sulla cooperazione fiscale e intraprendere le iniziative necessarie per impedire nel frattempo gli abusi fiscali.
I tentativi degli attori aziendali di influenzare la legge e la prassi, una scarsa regolamentazione governativa sugli attori aziendali e l’incapacità delle imprese di adempiere alle loro responsabilità in materia di diritti umani hanno permesso un’ampia gamma di violazioni dei diritti umani, come ad esempio le aziende che inquinano l’acqua potabile, le zone di pesca, i terreni agricoli e l’aria delle comunità localizzate vicino ai loro stabilimenti, e che calpestano i diritti all’informazione e al consenso.
Nel contesto della transizione verso le energie rinnovabili, la richiesta dei cosiddetti “minerali critici” è aumentata significativamente, comportando nuovi rischi per i diritti umani. Le aziende leader della produzione di veicoli elettrici non hanno dimostrato di soddisfare gli standard internazionali sui diritti umani o anche solo di mettere in pratica le loro politiche aziendali10.
Tuttavia, non sono mancati dei progressi. In particolare, l’Ue ha introdotto nel 2024 un nuovo regolamento sulla responsabilità delle imprese che impone alle grosse aziende di rispettare nuove regole sui diritti umani, gli impatti ambientali e il clima. Sebbene la direttiva sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità debba affrontare importanti problematiche, rimane comunque il tentativo più significativo mai progettato al mondo per introdurre norme vincolanti sulla diligenza dovuta in materia di diritti umani, in linea con i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani.
L’Ue dovrebbe respingere i tentativi di indebolire le protezioni in materia di diritti umani, ambientale e climatica nella direttiva sulla diligenza dovuta delle imprese ai fini della sostenibilità e gli altri blocchi regionali dovrebbero seguirne l’esempio adottando a loro volta norme specifiche sul dovere di diligenza.
Le elezioni negli Usa del 2024 hanno evidenziato lo smisurato potere delle aziende Big Tech sull’impiego delle tecnologie e sui dibattiti che riguardano la loro regolamentazione, oltre che la loro capacità di facilitare le violazioni dei diritti delle persone migranti, lgbti e altre e, in ultima analisi, hanno sottolineato l’urgente necessità di una regolamentazione vincolante sulle tecnologie che hanno conseguenze sui diritti umani, valida in tutto il mondo. In assenza di una regolamentazione adeguata, i governi hanno usato sempre di più in modo improprio spyware e altri strumenti di sorveglianza, e consolidato disuguaglianze già esistenti attraverso un sempre più ampio utilizzo delle nuove tecnologie di intelligenza artificiale (Artificial Intelligence – Ai), in contesti del settore pubblico. Contemporaneamente, le aziende che gestiscono i social media hanno continuato a permettere la diffusione di contenuti d’odio e violenti.
Le tecnologie di riconoscimento facciale hanno avuto un effetto dissuasivo sul diritto alla protesta in molte regioni del mondo. In alcuni paesi, la polizia ha monitorato manifestanti pacifici con sofisticate telecamere montate su droni e automezzi predisposti per la videosorveglianza. Queste pratiche violano il diritto alla privacy, hanno l’effetto di inibire il diritto di riunione pacifica e possono avere effetti discriminatori.
Abbiamo assistito a un diffuso utilizzo di tecnologie che impiegano spyware in un crescente numero di paesi del mondo. Sono emerse nuove minacce alla sicurezza digitale come l’uso improprio del tracciamento degli annunci pubblicitari online e il processo di raccolta dei dati su come gli utenti di Internet interagiscono con gli annunci. Inoltre, la mancanza di trasparenza e di una regolamentazione in materia hanno continuato a oscurare il torbido commercio delle tecnologie di sorveglianza digitale come gli spyware. Nel 2024, ad esempio, sono emerse prove riguardanti la vendita e l’utilizzo di spyware altamente invasivo e di prodotti di sorveglianza ad aziende e agenzie statali in Indonesia, e gli studenti della Cina continentale e di Hong Kong che studiano all’estero continuavano a essere sottoposti a sorveglianza, mentre utilizzavano app e altre piattaforme digitali cinesi. La violenza di genere facilitata dalla tecnologia, in alcuni casi favorita dalla sorveglianza, ha rappresentato una minaccia crescente per le donne e gli attivisti lgbti, in paesi come la Thailandia e l’Uganda.
Gli attivisti della società civile, compresa Amnesty International, così come alcuni stati, hanno cercato di ottenere giustizia per gli abusi legati all’utilizzo di spyware. Nel 2024, le cause legali intentate contro la società di spyware Nso Group sono continuate in paesi come Thailandia e Usa, nonostante i tentativi di Israele di ostacolarle. Tuttavia, a livello multilaterale, gli sforzi per affrontare il problema dello spyware hanno teso più che altro a concentrarsi su codici di condotta volontari. Ad esempio, nel 2024, la Francia e il Regno Unito hanno lanciato il Pall Mall Process, un’iniziativa volta a unire gli stati, il settore privato e la società civile con l’obiettivo comune di affrontare le questioni relative all’intrusione informatica commerciale. Nel frattempo, Amnesty International ha continuato a creare e a mettere a disposizione degli attivisti nuovi strumenti per permettere loro di proteggersi11.
I governi dovrebbero proibire la sorveglianza illegale e gli strumenti illegali di sorveglianza ed elaborare solide garanzie di tutela contro le violazioni e fornire rimedi alle vittime.
I governi hanno fatto marcia indietro rispetto agli impegni di regolamentare le nuove tecnologie, un’inversione che è stata in parte innescata dai cambiamenti nell’amministrazione statunitense e fortemente influenzata dagli interessi dell’industria. Gli stati hanno integrato sempre più le tecnologie dell’Ai nelle funzioni del settore pubblico e hanno consentito lo sviluppo e l’espansione di sistemi basati sull’Ai in contesti come welfare, pubblica sicurezza, migrazione e settore militare. Spesso queste tecnologie sono impiegate con giustificazioni che fanno riferimento all’efficienza amministrativa, al risparmio sui costi o ad altre misure di austerità ma, in realtà, aggravano forme di discriminazione già esistenti, rafforzano le disuguaglianze di genere e consolidano sistemi di potere razziale e socioeconomico12.
Il fatto che gli stati facciano continuamente affidamento su strumenti automatizzati nella fornitura e nella supervisione della protezione sociale produce risultati discriminatori e iniqui13. Questi danni sono in parte causati da una imperfetta implementazione di tecniche nuove, ma sempre più comuni, come la cosiddetta “entity resolution”, attraverso cui stati come ad esempio l’India identificano e incrociano i dati personali attraverso differenti database14.
La regolamentazione dell’Ai è stata frenata a livello globale da narrative che posizionano gli Usa e la Cina come concorrenti in una corsa agli armamenti e che quindi promuovono un rapido e incontrollato sviluppo dell’Ai, sia per ragioni di sicurezza nazionale e sia sotto la falsa dicotomia che vede regolamentazione e innovazione come elementi contrapposti.
I governi dovrebbero fare di più per regolamentare le tecnologie dell’Ai e le aziende del settore, garantendo che i diritti umani siano parte integrante della progettazione e dell’impiego delle nuove tecnologie.
Le aziende dei social media che operano con poteri incontrollati hanno ridimensionato le protezioni finalizzate a prevenire danni agli individui più marginalizzati e a rischio. Hanno inoltre continuato a mettere in atto un modello commerciale che privilegia sistematicamente il coinvolgimento su qualsiasi cosa, consentendo quindi la diffusione di contenuti d’odio e violenti. Questo fatto continua a mantenere in particolare le persone giovani agganciate alle loro piattaforme preferite, nonostante i dannosi effetti a cascata prodotti. Nel 2024, a livello globale, i giovani attivisti hanno subìto minacce e vessazioni online15. Nelle Filippine, Amnesty International ha documentato attacchi che prevedevano la “schedatura in rosso”, che hanno preso di mira giovani attivisti per il loro impegno.
L’Ue ha creato un precedente misto in materia di regolamentazione tecnologica. La sua storica legge sui servizi digitali, entrata pienamente in vigore a febbraio 2024, ha imposto alle piattaforme online e ai motori di ricerca l’obbligo di garantire il rispetto dei diritti umani16. La Commissione europea ha quindi deciso di indagare su TikTok, per la possibilità che avesse violato il regolamento non proteggendo gli utenti in giovane età17. La legge sull’Ai dell’Ue, entrata in vigore ad agosto, ha fissato i limiti ad alcuni degli utilizzi dell’Ai più dannosi in termini di diritti, sebbene non sia riuscita a mettere le persone e i loro diritti al centro18.
In un’altra nota positiva, in Etiopia, le vittime di violazioni dei diritti umani hanno continuato a compiere progressi nei loro sforzi per chiamare Facebook a rispondere, in tribunali a loro accessibili, per i danni che la piattaforma aveva causato o contribuito a causare. Tuttavia, in altre parti, le proposte legislative per affrontare i danni dei social media avevano caratteristiche spesso eccessivamente generiche o cercavano di limitare l’accesso ai social media di bambini, bambine e giovani senza occuparsi delle problematiche reali alla base del modello commerciale delle aziende social o considerare adeguatamente le opinioni dei soggetti interessati.
I governi dovrebbero regolamentare adeguatamente le aziende dei social media per proteggere i diritti umani. Le aziende stesse dovrebbero abbandonare il loro modello commerciale illegittimo, basato sulla sorveglianza.
Note:
1 Obligations of State Parties on Addressing and Eradicating Xenophobia and Its Impact on the Rights of Migrants, Their Families, and Other Non-Citizens Affected by Racial Discrimination, 4 aprile.
2 Primer: Defending the Rights of Refugees and Migrants in the Digital Age, 5 febbraio; The Digital Border: Migration, Technology and Inequality, 21 maggio.
3 Global: Africans and people of African descent call on Europe to reckon with their colonial legacies, 18 novembre.
4 We Are Facing Extinction: Escalating Anti-LGBTI Sentiment, the Weaponization of Law and Their Human Rights Implications in Select African Countries, 9 gennaio.
5 Global: Record-breaking 12-month run of global heat underlines urgency of action to deliver climate justice, 5 giugno.
6 Africa: Richer countries must commit to pay at COP29 as climate change forcibly displaces millions across Africa, 4 novembre.
7 Climate Inaction, Ruled Out! European Court Clarifies State Obligations to Tackle the Climate Crisis, 21 agosto.
8 Amnesty International Recommendations to Parties to the UNFCCC on Human Rights Consistent Climate Action in 2024, 23 ottobre.
9 What’s Tax Got to Do with It: A Resource Guide on Tax and Human Rights, 17 settembre.
10 Recharge for Rights: Ranking the Human Rights Due Diligence Reporting of Leading Electric Vehicle Makers, 15 ottobre.
11 Amnesty International’s Security Lab unveils new tools to support civil society against digital threats, 5 giugno.
12 Briefing: Gender and Human Rights in the Digital Age, 10 luglio.
13 Briefing: Social protection in the Digital Age, 6 marzo.
14 Use of Entity Resolution in India: Shining a Light on How New Forms of Automation Can Deny People Access to Welfare, 30 aprile.
15 Three out five young activists face online harassment globally for posting human rights content, 1 luglio.
16 EU: Landmark Digital Services Act must be robustly enforced to protect human rights, 17 febbraio.
17 EU/Global: European Commission’s TikTok probe aims to help protect young users, 19 febbraio.
18 Statement: EU takes modest step as AI law comes into effect, 1° agosto..