Rapporto 2024 – 2025

Medio Oriente e Africa del nord 2025

Photo by OMAR HAJ KADOUR / AFP

PANORAMICA REGIONALE SU MEDIO ORIENTE E AFRICA DEL NORD

Crisi, conflitti e rivolte hanno afflitto la regione del Medio Oriente e Africa del Nord per tutto il 2024. Israele ha commesso a Gaza atti di genocidio con un bilancio di vittime civili catastrofico. Israele ha anche intensificato il suo conflitto armato con Hezbollah in Libano. L’improvvisa caduta del presidente Bashar al-Assad in Siria a dicembre ha fatto emergere le conseguenze di decenni di impunità per le violazioni dei diritti umani, in una regione afflitta dalla continua repressione e dall’aumento di pratiche autoritarie in vari paesi.

L’implacabile offensiva militare di Israele nella Striscia di Gaza occupata ha intensificato la crisi umanitaria di lunga data, causata dai 18 anni di blocco illegale di Gaza da parte di Israele. Ha lasciato la maggior parte dei palestinesi sfollati, senzatetto, affamati, a rischio di malattie potenzialmente letali e impossibilitati ad accedere a cure mediche, elettricità o acqua potabile.

Libano, Iran, Iraq, Siria e Yemen sono stati trascinati dentro il conflitto. Per la prima volta, Iran e Israele hanno lanciato apertamente attacchi diretti sui rispettivi territori. A settembre, le ostilità transfrontaliere tra Israele e il gruppo armato Hezbollah hanno conosciuto un’escalation, fino a esplodere in intensi scontri militari. Israele ha attaccato varie aree del Libano, con conseguenze devastanti sulla popolazione civile.

Mentre milioni di persone in tutto il mondo protestavano contro le azioni di Israele a Gaza, per tutto il 2024 i governi del mondo, individualmente o multilateralmente, si sono dimostrati continuamente incapaci di intraprendere azioni significative per porre fine alle atrocità e lenti persino nel chiedere un cessate il fuoco. Intanto il sistema di apartheid imposto da Israele è diventato sempre più violento nella Cisgiordania occupata, e segnato da un forte aumento delle uccisioni illegali e degli attacchi dei coloni israeliani sostenuti dallo stato contro civili palestinesi.

Gli effetti dei conflitti di lunga data in corso in Iraq, Libia, Siria e Yemen hanno continuato a rovinare la vita di milioni di persone, e in particolare quelle appartenenti a comunità marginalizzate, molte delle quali sono state private dei diritti al cibo, all’acqua, a un alloggio adeguato, all’assistenza sanitaria e alla sicurezza.

I meccanismi di giustizia internazionale hanno compiuto importanti passi avanti sul piano dell’accertamento delle responsabilità in Israele e Territorio Palestinese Occupato (Occupied Palestinian Territory – Opt) e in Libia. Ma gli alleati di Israele e altri potenti attori hanno attaccato o respinto queste misure di accertamento delle responsabilità, proteggendo i perpetratori dalla giustizia e mettendo ulteriormente a nudo i doppi standard e il fallimento dell’ordine globale basato sul diritto.

I governi e gli attori non statali armati della regione hanno continuato a reprimere il dissenso. Le autorità hanno detenuto, torturato e perseguito ingiustamente dissidenti e voci critiche, punendo queste persone con pesanti condanne, compresa la pena di morte. Tra quelle prese di mira c’erano giornalisti, commentatori online, attivisti politici e sindacali, persone che avevano espresso solidarietà con i palestinesi e che difendevano i diritti umani. In alcuni paesi, le forze di sicurezza hanno fatto ricorso all’uso illegale e persino letale della forza, insieme a sparizioni forzate e arresti arbitrari di massa, per soffocare le proteste. Praticamente tutti i perpetratori di questi crimini hanno goduto dell’impunità.

La discriminazione per motivi di genere, colore della pelle, nazionalità, status legale, etnia, orientamento sessuale, identità ed espressione di genere, religione e classe sociale è rimasta dilagante nell’intera regione.

I principali stati produttori di combustibili fossili non hanno saputo adottare misure adeguate per far fronte al cambiamento climatico, anche se la regione ha continuato a subire le conseguenze della crisi climatica, dannose e spesso pericolose per la vita, tra cui eventi metereologici estremi e catastrofi a insorgenza più lenta come la sempre più drammatica scarsità d’acqua.

 

CONFLITTI ARMATI

Offensiva israeliana a Gaza

A fine anno, 14 mesi dopo i mortali attacchi compiuti da Hamas e altri gruppi armati palestinesi nel sud d’Israele il 7 ottobre 2023, l’ininterrotta aggressione militare di Israele alla Striscia di Gaza aveva ucciso almeno 45.500 persone e ne aveva ferite almeno altre 108.300. Molti palestinesi non avevano ancora ritrovato i resti dei loro cari tra le macerie.

Per tutto l’anno, Amnesty International ha documentato i molteplici crimini di guerra commessi da Israele, tra cui attacchi diretti contro civili e obiettivi civili, e attacchi indiscriminati e sproporzionati, che hanno spesso distrutto intere famiglie multigenerazionali.

Nel tentativo di creare una zona cuscinetto lungo il perimetro orientale di Gaza, le forze israeliane, servendosi di bulldozer ed esplosivi piazzati manualmente, hanno sistematicamente distrutto terreni agricoli ed edifici civili, radendo al suolo interi quartieri, comprese case, scuole e moschee.

Le azioni di Israele hanno sfollato con la forza 1,9 milioni di palestinesi, pari al 90 per cento della popolazione, e hanno deliberatamente pianificato una catastrofe umanitaria senza precedenti.

La ricerca di Amnesty International ha rilevato che Israele ha commesso atti vietati ai sensi della Convenzione sul genocidio, con l’intento specifico di distruggere la popolazione palestinese di Gaza, commettendo pertanto genocidio. Questi atti hanno compreso uccisioni, il procurare gravi lesioni fisiche o danni psicologici a civili e infliggere deliberatamente condizioni di vita pianificate per provocare la loro distruzione fisica.

Israele ha ripetutamente negato e ostacolato un accesso umanitario significativo dentro e nei dintorni di Gaza, non consentendo e non facilitando il passaggio degli aiuti. Le forze israeliane hanno condotto un’invasione su larga scala della città di Rafah a maggio. Il governo ha ignorato gli avvertimenti della comunità internazionale, compresi quelli dei suoi stessi alleati, oltre che gli ordini legalmente vincolanti della Corte internazionale di giustizia di non attaccare Rafah, a causa dell’effetto devastante che ciò avrebbe avuto sulla popolazione civile.

Israele ha emanato ordini di “evacuazione”, comprimendo la popolazione di Gaza in aree ristrette e densamente popolate, dove mancavano infrastrutture di importanza vitale, assistenza medica e cibo. Di conseguenza, la maggior parte delle persone palestinesi di Gaza si è trovata ad affrontare condizioni di fame estrema e una rapida diffusione di malattie. I raid aerei israeliani hanno frequentemente colpito civili che stavano seguendo gli ordini di “evacuazione”, anche dopo che erano arrivati nelle aree che Israele aveva promesso sarebbero state sicure.

Israele ha inoltre continuato a detenere arbitrariamente e, in alcuni casi, a sottoporre a sparizione forzata persone palestinesi provenienti da Gaza, le quali venivano abitualmente trasferite in Israele e qui trattenute in incommunicado, senza accusa o processo, e sottoposte a tortura e maltrattamento.

La presenza dei gruppi armati palestinesi all’interno o nei dintorni delle aree civili di Gaza, compresi i campi per sfollati interni, ha messo in pericolo la vita di civili e probabilmente violato i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale di evitare, facendo tutto il possibile, di collocare combattenti in aree densamente popolate. Hanno continuato a tenere in ostaggio civili, sia israeliani e che di altre nazionalità, una violazione del diritto internazionale umanitario che costituisce un crimine di guerra.

Il pluridecennale sistema di apartheid imposto da Israele contro la popolazione palestinese è continuato. Gli attacchi dei coloni israeliani contro civili palestinesi e le loro proprietà nella Cisgiordania occupata sono bruscamente aumentati. Questi attacchi, che avevano l’appoggio dello stato israeliano, insieme all’estensiva confisca dei terreni, alla demolizione delle case e all’uso illegale della forza, hanno costituito il crimine contro l’umanità di trasferimento forzato e apartheid.

La comunità internazionale non ha saputo agire in maniera significativa per porre fine alle atrocità compiute da Israele a Gaza. Nazioni potenti, compresi gli Usa e molti stati dell’Europa occidentale, hanno pubblicamente appoggiato le azioni di Israele, compromettendo il valore universale del diritto internazionale. Per mesi il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non ha intrapreso azioni concrete ed è arrivato a invocare un cessate il fuoco solo a marzo.

Il 26 gennaio, la Corte internazionale di giustizia ha emanato le sue prime misure provvisorie nella causa intentata dal Sudafrica contro Israele, ai sensi della Convenzione sul genocidio. A ciò sono seguite altre due ordinanze, il 28 marzo e il 24 maggio. Israele ha sfidato gli ordini della Corte. Ciononostante, alcuni stati hanno continuato ad armare Israele, fornendo armi utilizzate per violare il diritto internazionale, incuranti dell’avvertimento che ciò avrebbe implicato una violazione del loro obbligo di prevenire atti di genocidio e che rischiavano di essere complici di genocidio e crimini di guerra.

Il 21 novembre, l’Icc ha emesso mandati di cattura contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa, Yoav Gallant e, in Palestina, contro il comandante delle Brigate Al-Qassam, Mohammed Deif, per accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Per tutto l’anno, proteste e manifestazioni contro le azioni di Israele a Gaza hanno coinvolto milioni di persone in tutto il mondo e sono state oggetto di severe restrizioni alla libertà d’espressione e riunione in molti paesi.

Altri conflitti armati

Gli attacchi di Israele su Gaza hanno determinato ostilità armate e attacchi in Iran, Iraq, Libano, Siria e Yemen, che hanno visto in alcuni casi il coinvolgimento delle forze statunitensi e britanniche.

Dopo quasi un anno di sporadici attacchi transfrontalieri, il 23 settembre, Israele ha lanciato una nuova offensiva militare in Libano. Si stima che tra l’8 ottobre 2023 e la fine del 2024, in Libano siano state uccise circa 4.047 persone, oltre 16.600 siano state ferite e almeno 1,2 milioni sfollate. Le forze israeliane hanno attaccato case, terreni agricoli, chiese, moschee e ospedali, anche nella capitale Beirut. Hanno inoltre raso al suolo più di 20 villaggi, con i soldati israeliani che hanno utilizzato esplosivi, bulldozer ed escavatori per distruggere gli edifici civili, molto tempo dopo avere preso il controllo delle aree. Durante l’anno, il gruppo armato Hezbollah ha lanciato centinaia di razzi dal Libano verso il nord di Israele, uccidendo oltre un centinaio di persone.

Le forze armate huthi con base nello Yemen hanno ucciso marinai civili durante i loro attacchi a decine di navi nel mar Rosso, nel golfo di Aden e nell’oceano Indiano, sostenendo che le navi avevano legami con Israele, gli Usa e il Regno Unito. In risposta, le forze armate statunitensi hanno effettuato attacchi navali e aerei, alcuni congiuntamente con le forze britanniche, contro obiettivi huthi. Gli huthi hanno lanciato missili e attacchi con droni contro Israele in almeno 48 occasioni, uccidendo un civile. Per rappresaglia, il 20 luglio Israele ha bombardato il porto di Hodeida, snodo cruciale per la consegna degli aiuti umanitari allo Yemen, e la centrale elettrica di Ras Issa, uccidendo almeno sei civili. Il 29 settembre, Israele ha bombardato i porti di Hodeida e Ras Issa, oltre che le centrali elettriche di al-Hali e Ras Kathnib, nel governatorato di Hodeida, uccidendo secondo le notizie, cinque civili e ferendo altre persone.

Ad aprile, l’Iran ha lanciato più di 300 proiettili a lungo raggio contro Israele in rappresaglia per un attacco al consolato iraniano in Siria, in cui erano morti sette membri del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche. A ottobre, l’Iran ha lanciato quasi 200 missili balistici contro Israele, in risposta all’uccisione del leader di Hamas Ismail Haniyeh e del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah. Lo stesso mese, Israele ha lanciato raid aerei contro 20 obiettivi in territorio iraniano, uccidendo un civile e quattro membri del personale militare.

Israele ha aumentato le sue operazioni militari in Siria, nel contesto dei conflitti a Gaza e in Libano. A dicembre, a seguito del rovesciamento del presidente Assad in Siria, le forze israeliane hanno spostato le truppe nella zona cuscinetto demilitarizzata definita dalle Nazioni Unite nelle Alture del Golan occupate, un chiaro segnale della volontà di espandere gli insediamenti dei coloni israeliani nelle Alture del Golan, e hanno effettuato centinaia di raid aerei in Siria.

La Resistenza islamica in Iraq, una coalizione di fazioni armate sotto il comando delle Unità di mobilitazione popolare, ha intensificato le sue operazioni contro Israele in risposta alle campagne militari israeliane a Gaza e in Libano, sparando missili che affermava essere diretti contro siti e infrastrutture militari localizzati in Israele e nelle Alture del Golan.

In altre parti della regione, i conflitti armati di lunga data e le loro conseguenze hanno continuato a devastare la vita di milioni di persone, con le parti in conflitto, alcune sostenute da governi stranieri, che hanno commesso crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario.

In Siria, le parti coinvolte nel perdurante conflitto armato e i loro alleati hanno continuato a condurre attacchi illegali, uccidendo e ferendo decine di civili e distruggendo infrastrutture d’importanza vitale per la loro sopravvivenza. Nella prima metà dell’anno, il governo del presidente Assad, sostenuto dalla Russia, ha continuato a intensificare gli attacchi sulle aree del nord-ovest della Siria, una regione sotto il controllo dei gruppi armati d’opposizione. La Turchia ha ripetutamente lanciato attacchi militari sulle città e i villaggi del nord-est della Siria, nella sua continua guerra contro i gruppi curdi in quest’area, provocando vittime civili e danni a infrastrutture civili vitali.

L’8 dicembre, le forze d’opposizione hanno rovesciato il presidente siriano Assad, ponendo fine al dominio brutale e repressivo della sua famiglia sulla Siria durato cinquant’anni e segnato da diffuse violazioni dei diritti umani equivalenti a crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Sporadici scontri armati si sono verificati localmente nella capitale libica Tripoli, così come in altre parti della Libia occidentale e meridionale, tra le milizie e i gruppi armati in competizione per il controllo territoriale delle risorse o dell’influenza politica, con conseguenti vittime civili e danni a oggetti civili.

Tutte le parti coinvolte nei conflitti armati devono rispettare il diritto internazionale umanitario, in particolare ponendo fine agli attacchi diretti contro civili e le infrastrutture civili, e agli attacchi indiscriminati. I governi stranieri devono cessare i trasferimenti di armi, quando sussista un rischio evidente che saranno utilizzate per commettere o facilitare gravi violazioni dei diritti umani o del diritto internazionale umanitario.

 

REPRESSIONE DEL DISSENSO

Le autorità della regione hanno continuato a violare il diritto delle persone di esprimere opinioni critiche o dissenzienti, anche online, sia in merito alla situazione dei diritti umani nel proprio paese e alle politiche economiche o in risposta al conflitto a Gaza o su tematiche sociali. Alcuni governi hanno utilizzato accuse infondate in materia di terrorismo o accuse di diffusione di “notizie false” per mettere a tacere le voci dell’opposizione e infliggere dure punizioni a coloro che li criticavano.

In Iran, le autorità hanno sottoposto manifestanti, donne e ragazze che sfidavano le leggi sull’obbligo del velo, giornalisti, artisti, scrittori, accademici, studenti universitari, persone lgbti, membri di minoranze etniche e religiose e difensori dei diritti umani a un’ampia gamma di violazioni, tra cui detenzione arbitraria, convocazioni per interrogatori coercitivi e procedimenti giudiziari ingiusti che hanno determinato condanne a morte, al carcere, multe e/o fustigazione, per avere esercitato pacificamente i diritti umani.

Centinaia di persone in Giordania sono state accusate ai sensi della repressiva legge sui reati informatici per avere criticato le autorità, espresso solidarietà con il popolo palestinese o invocato proteste pacifiche e scioperi pubblici. Le autorità giordane hanno sistematicamente violato i diritti a un equo processo delle persone arrestate per avere esercitato il loro diritto alla libertà d’espressione.

L’Arabia Saudita ha continuato a detenere arbitrariamente persone per le loro reali o presunte opinioni senza offrire alcuna opportunità di impugnare la legittimità della loro detenzione. In molti casi, queste persone sono state quindi condannate a lunghi periodi di carcerazione o a morte per accuse vaghe e “onnicomprensive”, che criminalizzano l’espressione dell’opposizione pacifica facendola rientrare nel reato di “terrorismo”, in violazione dei loro diritti a un processo equo.

In tutta la regione dell’Africa del Nord, la repressione del dissenso è continuata o è aumentata. Le autorità tunisine hanno intensificato il loro giro di vite sulla libertà d’espressione e su tutte le forme di dissenso, utilizzando leggi repressive e accuse infondate per detenere arbitrariamente esponenti di spicco dell’opposizione politica, giornalisti, utenti dei social media, difensori dei diritti umani, avvocati e voci critiche. In Egitto, giornalisti, manifestanti pacifici, dissidenti, politici d’opposizione e critici del governo sono stati presi di mira senza sosta. In Marocco e Sahara Occidentale, le autorità marocchine hanno preso di mira giornalisti, attivisti e critici del governo, nonostante una grazia reale concessa a migliaia di prigionieri. In Algeria, le autorità hanno represso la libertà d’espressione e di stampa, di riunione pacifica e associazione, anche continuando a fare ampiamente ricorso ad accuse in materia di terrorismo prive di fondamento per bloccare il dissenso pacifico. In Libia, le milizie e i gruppi armati hanno arrestato e detenuto arbitrariamente centinaia di persone tra cui attivisti, manifestanti, giornalisti e creatori di contenuti online, semplicemente per avere esercitato i loro diritti alla libertà d’espressione e riunione pacifica.

I governi devono rispettare i diritti alla libertà d’espressione e associazione, anche assicurando che persone impegnate nel giornalismo, nell’attivismo e nella difesa dei diritti umani possano godere di questi diritti senza vessazioni, violenza e perseguimenti giudiziari, e rilasciare chi è in carcere per avere esercitato questi diritti.

 

LIBERTÀ DI RIUNIONE PACIFICA

In quasi ogni paese della regione, i governi hanno utilizzato varie tattiche per impedire o disperdere con la forza proteste pacifiche.

Le autorità egiziane hanno eseguito arresti di massa preventivi per impedire lo svolgimento di proteste programmate e hanno disperso con la violenza le poche sparute proteste che hanno avuto luogo ugualmente. Il 23 aprile, per esempio, hanno disperso con la violenza una piccola protesta di donne difensore dei diritti umani e altri che esprimevano solidarietà con le donne in Palestina e Sudan. Le autorità irachene hanno fatto frequentemente ricorso all’uso della forza, utilizzando anche proiettili veri per disperdere proteste che traevano origine dalla diffusa frustrazione per la corruzione del governo, le difficoltà economiche e le carenze nei servizi pubblici.

In Tunisia, le autorità hanno ripetutamente utilizzato accuse infondate e vaghe di “ostruzione” per detenere arbitrariamente, perseguire e condannare persone semplicemente per avere aderito a proteste pacifiche. Le forze giordane hanno arrestato migliaia di manifestanti e passanti in relazione alle imponenti manifestazioni che si sono svolte a sostegno della popolazione palestinese di Gaza tra ottobre 2023 e ottobre 2024, con molte delle persone arrestate che a fine anno erano ancora detenute. Le autorità degli Emirati Arabi Uniti (United Arab Emirates – Uae) hanno mantenuto la loro stretta sulla libertà di riunione pacifica e hanno celebrato processi di massa di manifestanti pacifici e altre personalità dissidenti.

I governi devono rispettare il diritto di riunione pacifica e porre fine alla loro azione repressiva contro manifestanti pacifici.

 

DIRITTI ECONOMICI E SOCIALI

In tutta la regione, le persone hanno affrontato molteplici e continue crisi, tra cui conflitti devastanti, gravi shock economici e del debito, e il crescente impatto dell’emergenza climatica. L’aumento dell’inflazione, i fallimenti dei governi e altri fattori (locali, regionali e internazionali) hanno influito fortemente sul costo della vita, anche in alcuni dei paesi più poveri e più popolosi della regione. Ciò ha gettato milioni di persone in una situazione di insicurezza alimentare e di lotta per la sopravvivenza, compromettendo i loro diritti alla salute, all’acqua e a uno standard di vita adeguato.

Il Libano ha continuato a essere afflitto da una cronica crisi finanziaria ed economica, ma il governo, che aveva contribuito a causarla e prolungarla, si è dimostrato miseramente incapace di introdurre le riforme necessarie per tutelare i diritti economici e sociali, compreso il diritto alla sicurezza sociale. La crisi ha avuto un effetto devastante sui gruppi marginalizzati, rendendo per esempio l’accesso a un’adeguata assistenza sanitaria ulteriormente fuori della portata di molte persone, come quelle anziane, con disabilità, impegnate in lavori informali e rifugiate. Le difficoltà sono state esacerbate dalla distruzione causata da Israele nella guerra con Hezbollah.

La crisi economica ha anche avuto gravi conseguenze per i diritti sociali ed economici della popolazione in Egitto, data anche la continua incapacità del governo di adempiere ai suoi obblighi di bilancio, relativi alla spesa per la sanità e l’istruzione. Una nuova legge che ha privatizzato l’assistenza sanitaria ha messo in pericolo l’accesso ai servizi sanitari, in particolare per coloro che vivevano nell’indigenza. Le autorità hanno utilizzato minacce e arresti per reprimere lavoratori che chiedevano il salario minimo e residenti degli insediamenti informali che protestavano contro gli sgomberi forzati.

In molti paesi, i governi non hanno saputo proteggere i lavoratori a basso reddito dagli abusi sul lavoro e hanno negato ai lavoratori il diritto di aderire e formare sindacati indipendenti e di scioperare senza paura di essere puniti. Negli stati del Golfo, tra cui Arabia Saudita, Qatar e Uae, i lavoratori migranti a basso salario hanno continuato ad affrontare forme estreme di sfruttamento, discriminazione, situazione abitativa fortemente inadeguata, abusi fisici e psicologici, sottrazione del salario da parte dei datori di lavoro, limitato accesso all’assistenza medica e licenziamenti sommari. Le persone più colpite sono state quelle nel settore del lavoro domestico, per lo più donne.

I governi devono intraprendere azioni urgenti per sostenere i diritti economici e sociali delle persone, anche istituendo sistemi di protezione sociale universale che consentano a chiunque, compresi i gruppi marginalizzati, di accedere a uno standard di vita adeguato che comprenda cibo, acqua e assistenza sanitaria. I governi donatori e le istituzioni finanziarie internazionali devono intervenire urgentemente per sostenere i governi nella realizzazione di questo obiettivo. I governi devono inoltre proteggere il diritto dei lavoratori di aderire e formare sindacati indipendenti e di scioperare, e al contempo estendere le tutele dello statuto dei lavoratori a tutti i lavoratori migranti, comprese le persone nel settore del lavoro domestico.

 

DISCRIMINAZIONE

Donne e ragazze

In tutta la regione, le donne e le ragazze hanno continuato a subire discriminazioni nella legge e nella prassi, anche in termini di diritti di libertà di movimento, espressione, autonomia sul proprio corpo, eredità, divorzio, cariche politiche e opportunità d’impiego. La violenza di genere, sia online che offline, è rimasta comune ed è stata commessa nell’impunità. In alcuni paesi, questo tipo di violenza è aumentata, mentre le tutele per le donne diventavano sempre più deboli.

In Algeria e Iraq, le leggi vigenti consentivano agli stupratori di evitare di essere perseguiti se sposavano la loro vittima.

In Yemen, le autorità de facto huthi e i gruppi armati hanno continuato a limitare la capacità di movimento delle donne e a vietare loro di viaggiare senza l’accompagnamento o l’approvazione scritta di un tutore di sesso maschile.

Nella Regione del Kurdistan iracheno, nonostante alcuni positivi passi avanti, le autorità non hanno saputo assicurare che i perpetratori di violenza domestica fossero chiamati a risponderne e hanno imposto restrizioni arbitrarie alle libertà delle sopravvissute che cercavano protezione nel sottofinanziato e trascurato sistema di case protette. I legislatori hanno inoltre tentato di far approvare modifiche al codice sullo status personale che avrebbero significativamente indebolito le tutele per le donne e le ragazze.

In Iran, le autorità hanno intensificato la loro azione repressiva contro le donne e le ragazze che sfidavano le leggi sull’obbligo di indossare il velo, anche attraverso l’utilizzo della sorveglianza digitale, come la tecnica di riconoscimento facciale. Un numero crescente di pattuglie della sicurezza ha vessato e aggredito donne e ragazze negli spazi pubblici.

Le milizie e i gruppi armati in Libia hanno preso di mira donne influencer e creatrici di contenuti, per il modo in cui si esprimevano e per come vestivano. A novembre, il Governo di unità nazionale con base a Tripoli ha annunciato l’intenzione di introdurre l’obbligo di indossare il velo per le donne e di volerlo applicare tramite la “polizia morale”.

Persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate

In tutta la regione, persone sono state arrestate e perseguite per il loro orientamento sessuale o identità di genere. Molte hanno ricevuto pesanti condanne dopo essere state giudicate colpevoli di relazioni omosessuali consensuali. Gli attacchi ai diritti delle persone lgbti si sono intensificati in Libia, Tunisia e Iraq.

In Libia, la milizia Agenzia per la sicurezza interna nella capitale Tripoli e altri gruppi armati e milizie hanno arbitrariamente arrestato individui a causa del loro reale o percepito orientamento sessuale e/o dell’identità di genere e hanno mandato in onda le loro “confessioni” ottenute sotto tortura. In Turchia, gruppi lgbti hanno denunciato un aumento delle azioni penali per “accuse di omosessualità”.

Ad aprile, l’Iraq ha per la prima volta criminalizzato formalmente le relazioni omosessuali, rendendole un reato punibile con pene detentive comprese tra 10 e 15 anni. La nuova legge inoltre puniva azioni come la “promozione” delle relazioni omosessuali o l’espressione transgender e introduceva accuse vaghe come quella di “atteggiamento effeminato”.

Minoranze etniche e religiose

In tutta la regione, appartenenti di comunità e minoranze nazionali, etniche e religiose erano soggetti a una consolidata discriminazione nella legge e nella prassi, anche in relazioni ai loro diritti di culto e di vivere liberi dalla persecuzione e da altre gravi violazioni dei diritti umani.

Israele ha ulteriormente rafforzato il suo sistema di apartheid attraverso l’oppressione e la dominazione sulla popolazione palestinese della Cisgiordania occupata. Ha sistematicamente commesso un’ampia gamma di violazioni dei diritti umani, tra cui trasferimenti forzati, detenzione amministrativa, tortura, uccisioni illegali, diniego dei diritti e delle libertà fondamentali e persecuzione.

In Iran, le minoranze etniche, tra cui arabi ahwazi, turchi azeri, baluci, curdi e turkmeni, sono andate incontro a una discriminazione diffusa, che ha limitato il loro accesso all’istruzione, al lavoro, a un alloggio adeguato e agli incarichi politici. Appartenenti alla minoranza religiosa baha’i hanno subìto violazioni diffuse e sistematiche.

I governi devono porre fine alla discriminazione per motivi di colore della pelle, origine nazionale, etnia, religione, genere, orientamento sessuale e identità ed espressione di genere. Devono implementare riforme legislative e politiche per garantire parità di diritti a chiunque, senza alcuna discriminazione, e proteggere, promuovere e garantire i diritti alla libertà di pensiero, coscienza, religione e culto.

 

DIRITTI DELLE PERSONE SFOLLATE INTERNE, MIGRANTI E RIFUGIATE

Il protrarsi dei conflitti ha costretto un gran numero di sfollati interni a lottare per sopravvivere in Israele, Palestina, Iraq, Libia, Siria, Libano e Yemen. La maggior parte di loro ha dovuto affrontare discriminazioni da parte delle autorità, ostacoli nell’accesso ai servizi, diniego del loro diritto di ritornare a casa o ritorsioni se cercavano di ritornare senza autorizzazione, così come restrizioni e tagli ad aiuti umanitari vitali.

Circa 1,1 milioni di iracheni sono rimasti sfollati internamente al paese, con molti che lottavano per accedere ai loro diritti all’alloggio, all’acqua e all’assistenza medica. Le forze di sicurezza irachene hanno sottoposto le persone sfollate internamente ad arresti arbitrari, sparizioni forzate e tortura, tra cui scosse elettriche e annegamento simulato, per la loro percepita affiliazione con il gruppo armato Stato islamico.

In Siria, il numero delle persone sfollate internamente aveva raggiunto i 7,2 milioni di persone, secondo l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Dopo la destituzione del presidente Assad, a dicembre, la situazione umanitaria e della sicurezza è rimasta cupa e incerta. Nonostante ciò, molti paesi europei hanno annunciato che avrebbero considerato o attuato una sospensione delle domande di asilo in corso di valutazione presentate da persone di nazionalità siriana.

I diritti delle persone rifugiate, richiedenti asilo e migranti sono stati violati in tutta la regione, con i fallimenti dei governi sommati all’incapacità della comunità internazionale, e soprattutto i paesi più ricchi, di condividere la responsabilità di fornire adeguati luoghi di reinsediamento e assistenza umanitaria. In Libano, circa il 90 per cento dei 1,5 milioni di rifugiati siriani stimati sul territorio libanese viveva in condizioni di povertà estrema e impossibilitato ad accedere a cibo in misura adeguata, alloggio, istruzione e assistenza medica. Uno sconcertante aumento della retorica anti-rifugiati, in alcuni casi alimentata da autorità e politici locali, ha accentuato un ambiente già ostile. Nel frattempo, molte persone rifugiate e richiedenti asilo nella vicina Giordania, che ospitava due milioni di palestinesi e circa 750.000 altri rifugiati, compresi siriani, affrontava una situazione di povertà e deterioramento delle condizioni di vita.

Le sistematiche espulsioni collettive di migranti e rifugiati attuate dalla Tunisia verso le vicine Algeria e Libia hanno continuato a violare il principio di non refoulement e abbandonato le persone a loro stesse in aree desertiche o zone remote di confine, senza acqua né cibo. A partire da maggio, le autorità hanno esercitato una stretta sulle organizzazioni che difendevano i diritti di rifugiati e migranti, riducendo il loro accesso ai servizi essenziali.

In Libia, persone rifugiate e migranti, comprese quelle che erano state intercettate in mare da gruppi armati e dalle unità della guardia costiera supportata dall’Ue e rimandate con la forza in Libia, sono state sottoposte a detenzione arbitraria indefinita, tortura e maltrattamento, estorsione, lavoro forzato ed espulsioni illegali.

Le autorità egiziane hanno detenuto arbitrariamente e rimpatriato con la forza migliaia di sudanesi, nonostante in Sudan divampasse il conflitto armato, in flagrante violazione del diritto internazionale.

I governi devono porre fine alla detenzione arbitraria di persone rifugiate, richiedenti asilo e migranti sulla base del loro status di migrazione e proteggerle da tortura e maltrattamento in detenzione, dal refoulement e dalle espulsioni di massa o collettive. I governi devono adottare misure concrete per garantire il ritorno volontario, sicuro e dignitoso di coloro che vivono come sfollati interni alle loro aree d’origine.

 

PENA DI MORTE

La maggior parte degli stati della regione ha mantenuto la pena di morte nel proprio ordinamento ed emesso condanne a morte nel 2024, anche per reati che non implicavano un’uccisione intenzionale, per atti protetti dal diritto internazionale come relazioni omosessuali consensuali e apostasia, e per accuse false e oltremodo generiche, con lo scopo di mettere a tacere il dissenso. Diversi paesi hanno dato luogo a esecuzioni. In Iraq, le esecuzioni di massa sono avvenute senza che avvocati e parenti delle persone condannate ne fossero stati informati in anticipo. In Iran è proseguita la terrificante ondata di esecuzioni, con le autorità che hanno utilizzato la pena di morte come strumento di repressione politica.

I governi devono stabilire immediatamente una moratoria ufficiale sulle esecuzioni con l’obiettivo di arrivare all’abolizione della pena di morte.

 

DIRITTO A UN AMBIENTE SALUBRE

La regione ha continuato a subire le conseguenze della crisi climatica, dannose e spesso pericolose per la vita, tra cui eventi metereologici estremi e catastrofi a insorgenza più lenta, come la progressiva e sempre più drammatica scarsità d’acqua, e altri effetti di una cattiva gestione ambientale. I governi non hanno saputo adottare misure adeguate che fossero in grado di fermare il cambiamento climatico, mitigarne gli effetti o fornire un sostegno adeguato alle persone più colpite.

L’Iraq ha sofferto una grave scarsità d’acqua e un crescente inquinamento dell’aria e dell’acqua. Una gestione dei rifiuti inefficace e la deforestazione hanno intensificato le tempeste di sabbia e le malattie trasmesse tramite l’acqua, colpendo in modo sproporzionato le popolazioni vulnerabili, in particolare le persone sfollate. Anche la Giordania ha dovuto affrontare gli effetti della scarsità d’acqua, con una capacità di approvvigionamento in grado di soddisfare appena due terzi del fabbisogno idrico della popolazione.

Ondate di caldo estremo hanno afflitto il Kuwait, con temperature record che, a fine maggio, superavano di 4°-5°C le medie registrate negli ultimi anni. Ciononostante, a marzo l’amministratore delegato della Kuwait Petroleum Corporation, l’azienda petrolifera statale, ha annunciato che il Kuwait avrebbe significativamente aumentato la sua produzione petrolifera entro il 2035, e che ci sarebbe stata un’ulteriore crescita dopo che a luglio erano stati scoperti nuovi giacimenti.

Altri paesi non hanno compiuto progressi verso l’eliminazione graduale necessaria dei combustibili fossili. A febbraio, il Bahrein ha cercato di assicurarsi un prestito per espandere l’estrazione di combustibili fossili attraverso 400 nuovi pozzi petroliferi e 30 pozzi di gas. Un rapporto di giugno di Global Witness ha confermato che il team degli Uae per la Cop28 aveva cercato di stringere accordi sui combustibili fossili per conto della compagnia petrolifera statale Abu Dhabi National Oil Company , mentre ospitava i lavori della conferenza sul clima del 2023. Sempre a giugno, il ministro dell’energia dell’Arabia Saudita ha annunciato l’intenzione di incrementare la produzione petrolifera tra il 2025 e il 2027.

I governi devono intervenire con urgenza per mitigare la crisi climatica, anche riducendo le emissioni di carbonio e cessando l’estrazione e l’utilizzo dei combustibili fossili. Tutti gli stati che dispongono delle risorse necessarie dovrebbero aumentare significativamente i finanziamenti ai paesi che necessitano di assistenza per misure di mitigazione e adattamento compatibili con i diritti umani.

 

IMPUNITÀ

In tutta la regione, gli stati hanno continuato a favorire l’impunità per i perpetratori di gravi violazioni dei diritti umani, evidenziando tutte le carenze di sistemi giudiziari nazionali profondamente viziati.

La pluridecennale e consolidata impunità per i ricorrenti crimini di guerra e le sconcertanti violazioni dei diritti umani compiuti da Israele contro la popolazione palestinese nel contesto del sistema di apartheid e occupazione illegale ha continuato a prevalere.

Le autorità marocchine non hanno saputo garantire alle famiglie delle vittime verità, giustizia e riparazione dopo la mortale repressione compiuta dalle forze di sicurezza marocchine e spagnole contro migranti provenienti da paesi dell’Africa Subsahariana, che avevano cercato di attraversare il confine tra il Marocco e l’enclave spagnola di Melilla nel 2022.

In Iran, è prevalsa l’impunità per le uccisioni illegali, le sparizioni forzate, la tortura e il maltrattamento, compreso lo stupro e altre forme di violenza sessuale, e altri crimini di diritto internazionale o gravi violazioni dei diritti umani commessi nel 2024 e negli anni precedenti.

A ottobre, l’Icc ha annunciato i mandati d’arresto per sei leader, membri di spicco e affiliati del gruppo armato al-Kaniat per i crimini di guerra di omicidio, tortura, sparizione forzata e altri atti disumani compiuti nella città di Tarhouna, in Libia, che il gruppo aveva controllato fino a giugno 2020.

I paesi europei hanno continuato a indagare e perseguire attraverso i loro tribunali nazionali, in base al principio della giurisdizione universale, individui sospettati di avere commesso crimini di diritto internazionale in Siria.

I governi devono combattere l’impunità intraprendendo indagini approfondite, indipendenti, imparziali, efficaci e trasparenti sulle violazioni dei diritti umani e i crimini di diritto internazionale e assicurare i sospettati perpetratori alla giustizia attraverso processi equi celebrati da tribunali civili.

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