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Stato di Libia

Le forze di sicurezza, le milizie e i gruppi armati operanti su tutto il territorio libico hanno effettuato arresti arbitrari prendendo di mira centinaia di attivisti, manifestanti, giornalisti, donne utenti dei social media e altri. Migliaia di persone sono rimaste arbitrariamente detenute unicamente per la loro affiliazione politica o tribale, a seguito di processi gravemente iniqui o senza base legale. Tortura e maltrattamento sono rimasti diffusi e sistematici. “Confessioni” estorte sotto tortura sono state pubblicate online. La società civile è stata soffocata tra i tentativi delle autorità rivali di controllare la registrazione, il finanziamento e le attività delle Ong. Durante sporadici scontri tra le milizie e i gruppi armati sono stati utilizzati ordigni esplosivi con effetti ad ampio raggio, che hanno causato morti e feriti tra la popolazione civile e la distruzione di obiettivi civili. Le donne, le ragazze e membri delle minoranze religiose sono andati incontro a radicate forme di discriminazione. Le persone lgbti hanno subìto arresti arbitrari, procedimenti giudiziari e minacce di morte. Le milizie e i gruppi armati hanno eseguito sgomberi forzati e demolizioni di case. Le unità della guardia costiera libica supportata dall’Ue nella Libia occidentale e i gruppi armati nella Libia orientale hanno intercettato in mare migliaia di persone rifugiate e migranti e le hanno rimandate indietro con la forza nei centri di detenzione in Libia. Queste sono state detenute e sottoposte a tortura, violenza sessuale e lavoro forzato. Migliaia sono state espulse con la forza nei paesi vicini, al di fuori delle procedure dovute o senza possibilità di chiedere asilo. I tribunali hanno emesso condanne a morte al termine di processi iniqui; non ci sono state esecuzioni.

 

CONTESTO

L’impasse politica della Libia si è ulteriormente accentuata, con le fazioni rivali che non riuscivano ancora a trovare un accordo per un nuovo governo di unità nazionale e un bilancio unificato o a fissare le date per le elezioni parlamentari e presidenziali, a lungo rinviate.

Il 30 settembre, i governi rivali hanno trovato un accordo per la nomina di un nuovo governatore della Banca centrale della Libia (Central Bank of Lybia – Cbl), ponendo fine a una crisi bancaria che aveva condizionato il commercio, le rendite petrolifere e l’accesso alla valuta estera a partire dalla destituzione dall’incarico del governatore della Cbl, Sadik al-Kebir, il 20 agosto.

Le Forze armate arabe libiche (Lybian Arab Armed Forces – Laaf), autorità de facto della Libia orientale e di parti della Libia meridionale, hanno messo in pausa la produzione di petrolio in relazione alla crisi per la leadership della Cbl e alla notizia del mandato d’arresto emesso dalla Spagna ad agosto contro Saddam Haftar, leader de facto del gruppo armato Tarik Ben Zayed (Tbz) e figlio del comandante generale Khalifa Haftar.

Sono continuate le violazioni dell’embargo delle Nazioni Unite sulle armi alla Libia, con carichi dalla Russia consegnati alla luce del sole nei porti libici orientali.

 

DETENZIONE ARBITRARIA E PROCESSI INIQUI

Le forze di sicurezza, le milizie e i gruppi armati hanno arrestato centinaia di attivisti, leader tribali, giornalisti, funzionari governativi e altre persone per le loro reali o sospette affiliazioni od opinioni o per un ritorno economico. Migliaia hanno continuato a essere detenute unicamente per le loro affiliazioni tribali o politiche, a seguito di processi gravemente iniqui o senza base legale.

A febbraio, circa 20 uomini armati del servizio di supporto delle direzioni per la sicurezza nella regione orientale hanno arrestato Sufi Sheikh Muftah Al-Amin Al-Biju, prelevandolo nella sua abitazione a Bengasi. A fine anno rimaneva arbitrariamente detenuto senza accusa né processo e privato dell’accesso alla sua famiglia e ai suoi avvocati.

A luglio, uomini armati non identificati in abiti civili hanno rapito gli attivisti politici Al-Moatassim Al-Areebi e Mohamed Shtewi, in una strada di Misurata. Li hanno detenuti arbitrariamente per due giorni in relazione a registrazioni audio trapelate, che implicavano le autorità in casi di corruzione.

 

TORTURA E MALTRATTAMENTO

Tortura e maltrattamento sono rimaste pratiche sistematiche nelle carceri e nelle altre strutture di detenzione dislocate sul territorio libico. I resoconti riguardanti i metodi utilizzati contro le persone detenute citavano percosse, scosse elettriche, violenza sessuale e periodi prolungati in posizioni dolorose. Le “confessioni” estorte sotto tortura hanno continuato a essere pubblicate online dalle milizie e dai gruppi armati.

Le autorità non hanno indagato tempestivamente ed efficacemente le cause e le circostanze dei sospetti decessi in custodia. A luglio, Ahmed Abdel Moneim Al-Zawi è morto mentre era detenuto dall’Agenzia per la sicurezza interna (Internal Security Agency – Isa), a Ajdabiya. L’Isa ha sostenuto che si era impiccato, ma testimoni hanno riferito di avere visto una contusione sul retro della sua testa, compatibile con un forte colpo inferto. Un procuratore di Bengasi ha chiuso il caso senza alcuna indagine.

 

LIBERTÀ D’ASSOCIAZIONE

Attori armati allineati con le autorità rivali hanno continuato a reprimere la società civile, anche prendendo di mira gli attivisti con rapimenti, detenzione arbitraria, convocazioni per interrogatori coercitivi, minacce e richieste di fornire informazioni.

A ottobre, a Saba, il gruppo armato Isa ha fatto irruzione durante un evento sulla salute mentale organizzato dalla società civile, sottoponendo a un breve fermo le persone che partecipavano e interrogandole.

La Commissione della società civile, un organismo ufficiale, ha presentato un disegno di legge sulle Ong che avrebbe conferito al governo indebiti poteri sulla registrazione, sul finanziamento e sulle attività delle Ong. Sia il disegno di legge sia le controproposte presentate dalla società civile libica erano ancora all’esame del parlamento.

 

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE E RIUNIONE

I gruppi armati e le milizie hanno arbitrariamente arrestato e detenuto centinaia di attivisti, manifestanti, giornalisti e creatori di contenuti online, semplicemente per avere esercitato i loro diritti alla libertà d’espressione e riunione pacifica.

A gennaio, il gruppo armato Isa ha arrestato arbitrariamente a Saba la blogger Maryam Mansour al-Warfalli per alcuni post sui social media, critici verso le Laaf. L’Isa l’ha detenuta senza accusa né processo fino a ottobre.

L’11 luglio, la milizia Isa della capitale, Tripoli, ha arrestato il giornalista Ahmed al-Sanousicdopo la pubblicazione di un suo editoriale che faceva riferimento ad accuse di corruzione all’interno del governo di unità nazionale (Government of National Unity – Gnu), con base a Tripoli. È stato rilasciato tre giorni dopo in seguito a proteste pubbliche, ed è successivamente fuggito dalla Libia dopo avere ricevuto minacce.

Una protesta pacifica di residenti della città occidentale di Efren è stata dispersa con la violenza il 24 ottobre, da soldati affiliati alla Regione militare della montagna occidentale delle forze armate del Gnu. La popolazione residente stava protestando contro il deterioramento delle condizioni di vita e la presenza delle milizie di Tripoli. Testimoni hanno riferito che due manifestanti avevano riportato ferite. All’indomani della protesta, la Direzione per la sicurezza della montagna centrale ha arrestato almeno 14 individui sospettati di avere organizzato o partecipato alle proteste. Uno di loro a fine anno rimaneva in detenzione.

 

ATTACCHI ILLEGALI

Sebbene il cessate il fuoco nazionale raggiunto nel 2020 abbia in larga parte tenuto, sporadici scontri armati a bassa intensità si sono verificati localmente a Tripoli, così come ad al-Zawiya e al-Jameel, nella Libia occidentale, e a Saba, nella Libia meridionale, tra le milizie e i gruppi armati in competizione per il controllo territoriale delle risorse o dell’influenza politica. Gli attacchi indiscriminati e l’uso sconsiderato di armi da fuoco e ordigni esplosivi con effetti ad ampio raggio in aree residenziali hanno causato morti e feriti tra la popolazione civile e danni o la distruzione di obiettivi civili. A maggio, una bambina di 10 anni è stata uccisa a Tripoli durante gli scontri tra le milizie locali.

Ad agosto, gli scontri tra due milizie a Tajoura, un’area suburbana a est di Tripoli, in cui sono state utilizzate armi esplosive con effetti ad ampio raggio, hanno causato la morte di almeno nove persone e il ferimento di altre, secondo il servizio di ambulanza ed emergenza, oltre che lo sfollamento temporaneo di decine di famiglie.

 

IMPUNITÀ

Funzionari e comandanti delle potenti milizie e dei gruppi armati hanno goduto di una pressoché totale impunità per i crimini di diritto internazionale commessi nel 2024 e negli anni precedenti.

A maggio, il primo ministro del Gnu ha istituito una nuova agenzia per combattere i reati finanziari e il terrorismo, senza alcuna verifica sui precedenti del suo comandante e dei membri in materia di diritti umani.

A luglio, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che ha rinnovato la sua assistenza tecnica e attività di capacity building in Libia, che tuttavia non prevedeva alcuna componente di monitoraggio e indagine, caldeggiata dalle Ong, e rischiava di consolidare ulteriormente l’impunità.

A luglio, 12 funzionari di basso e medio rango sono stati condannati a pene detentive per la loro responsabilità nel devastante cedimento delle dighe vicino a Derna, avvenuto nel settembre 2023. Tuttavia, le autorità non avevano provveduto a indagare in maniera tempestiva, approfondita, indipendente, imparziale ed efficace sulle possibili responsabilità di influenti figure militari e politiche nella mancata protezione dei diritti umani delle persone colpite, in particolare dei loro diritti alla vita e alla salute1.

A settembre, Abdelrahman Milad, conosciuto come “Bija”, il quale era sotto sanzioni delle Nazioni Unite per il suo presunto coinvolgimento in traffico e violazione di migranti, è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco a Tripoli senza essere mai comparso davanti alla giustizia.

A ottobre, l’Icc ha annunciato i mandati d’arresto per sei leader, membri di spicco e affiliati del gruppo armato al-Kaniat per i crimini di guerra di omicidio, tortura, sparizione forzata e altri atti disumani, compiuti nella città nordorientale di Tarhouna, che il gruppo controllava da giugno 2020. Cinque dei sospettati sono rimasti latitanti, mentre le autorità libiche non hanno provveduto a consegnare all’Icc Abdelbari Al Shaqaqi, il quale sarebbe stato arrestato dall’Apparato di deterrenza per combattere il terrorismo e il crimine organizzato (Deterrence Apparatus to Combat Terrorism and Organized Crime – Dacto)2.

Nonostante i suoi precedenti riguardanti torture e altri crimini, il Dacto ha continuato a essere coinvolto negli interrogatori e nella detenzione di individui accusati di crimini di diritto internazionale, compreso un comandante del gruppo armato Stato islamico accusato di responsabilità nella decapitazione di 21 cittadini egiziani di religione cristiana, avvenuta in Libia nel 2015.

 

DISCRIMINAZIONE

Donne e ragazze

Le donne hanno subìto discriminazioni nella legge e nella prassi, anche in relazione a questioni come matrimonio, custodia dei figli, accesso a cariche politiche e impiego.

Le milizie e i gruppi armati hanno preso di mira donne influencer e creatrici di contenuti sui social media per forme d’espressione e capi di abbigliamento che non si conformavano alle norme sociali dominanti, fondate sulla discriminazione contro donne e ragazze. A marzo, il Dacto ha rilasciato una donna che era stata detenuta per motivi di “moralità” da novembre 2022 e la cui scarcerazione era stata disposta dalla procura di stato ad aprile 2023.

A settembre, il gruppo armato Isa ha arrestato due donne influencer sui social media all’aeroporto di Bengasi, con l’accusa che il loro comportamento aveva violato le norme sociali. A fine anno non era stata ancora fornita alcuna informazione riguardante la loro sorte e il luogo dove erano trattenute.

A giugno, il consiglio presidenziale ha creato l’Autorità per la protezione della moralità pubblica operante sotto il suo mandato. A ottobre, il Gnu ha istituito un nuovo dipartimento per la protezione della moralità sotto le competenze del ministero dell’Interno. A novembre, il ministro dell’Interno del Gnu ha annunciato di avere in programma di introdurre l’obbligo del velo per le donne e di farlo rispettare attraverso il dispiegamento della “polizia morale”. Ha inoltre minacciato di introdurre misure più severe per impedire alle donne di viaggiare all’estero senza il permesso di un tutore di sesso maschile.

Persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate

Le relazioni omosessuali consensuali tra adulti sono rimaste criminalizzate. L’Isa di Tripoli e altri gruppi armati e milizie hanno arrestato decine di individui a causa del loro reale o percepito orientamento sessuale e/o dell’identità di genere.

Persone e attivisti lgbti hanno subìto minacce di morte per post sui social media, fino a costringere molti di loro a fuggire dalla Libia.

A marzo, l’ufficio del procuratore generale con base a Tripoli ha rinviato a giudizio 19 persone per accuse di “omosessualità” e “ateismo”, davanti alla camera d’accusa del tribunale di primo grado di Tripoli Sud. Sono state tutte rilasciate su cauzione in attesa del processo, con l’obbligo di presentarsi settimanalmente presso l’ufficio del pubblico ministero.

A luglio, la polizia d’emergenza di Tripoli ha arrestato un venditore per avere messo in vendita aquiloni con i colori dell’arcobaleno in piazza dei Martiri.

Minoranze etniche e popolazioni native

A gennaio, il parlamento ha adottato una nuova legislazione che istituiva i reati di “stregoneria” e “fattucchieria”. La legge minacciava i diritti alla libertà di coscienza e religione delle minoranze religiose ed etniche, tra cui i sufi e gli amazigh aderenti alla fede ibadita.

I membri delle comunità tabu e tuareg, che non avevano carte d’identità nazionali a causa delle discriminatorie leggi e disposizioni che disciplinano il diritto alla nazionalità libica, hanno incontrato ostacoli nell’accesso all’istruzione e ai servizi di assistenza medica.

 

SGOMBERI FORZATI

Le milizie e i gruppi armati di Tripoli e Bengasi hanno eseguito sgomberi forzati e demolizioni di case, arrestando e intimidendo coloro che protestavano.

Secondo le Nazioni Unite, a marzo, circa 350 famiglie sono state sgomberate con la forza dalle loro case nel quartiere Abu Salim di Tripoli, senza che fosse loro fornita una sistemazione abitativa alternativa.

A ottobre, il gruppo armato Isa di Bengasi ha arrestato il giornalista Mohamed Al-Sarit Qarqar, dopo che aveva criticato online il sequestro di proprietà private da parte del fondo di ricostruzione della Libia. I gruppi armati affiliati alle Laaf avevano sgomberato forzatamente e demolito le abitazioni dei suoi zii nell’area Jaliana di Bengasi, senza adeguate forme di compensazione o consultazione con la comunità. Mohamed Al-Sarit Qarqar è stato rilasciato dopo 19 giorni per motivi medici.

 

DIRITTI DELLE PERSONE RIFUGIATE E MIGRANTI

Le forze di sicurezza, le milizie, i gruppi armati e altri attori non statali presenti sul territorio libico hanno continuato a commettere diffuse e sistematiche violazioni dei diritti umani e abusi contro persone rifugiate e migranti, agendo nell’impunità.

Secondo l’Organizzazione internazionale per la migrazione, tra gennaio e settembre, nel Mediterraneo centrale erano morte o risultavano disperse in mare 1.749 persone. In Libia, a marzo e luglio, sono state scoperte almeno due fosse comuni, contenenti rispettivamente i corpi di 65 e 12 sospetti rifugiati e migranti. Durante l’anno, altre 21.762 persone rifugiate e migranti erano state intercettate in mare e rimandate con la forza in Libia dalle unità della guardia costiera supportata dall’Ue in Libia occidentale, oltre che dalle forze navali speciali libiche affiliate alle Laaf e dal Tbz in Libia orientale.

Arresti diffusi, effettuati unicamente sulla base dello status di migrazione, si sono intensificati nella Libia meridionale e sono continuati in tutto il paese a seguito delle intercettazioni in mare e delle incursioni compiute dalle milizie e dai gruppi armati negli accampamenti di fortuna di migranti o nei covi di trafficanti o contrabbandieri. I cittadini stranieri arbitrariamente detenuti nei centri di detenzione gestiti dalla Direzione per la lotta alla migrazione illegale (Directorate for Combating Illegal Migration – Dcim) erano a dicembre più di 5.470, mentre altre migliaia erano trattenuti da altre milizie e gruppi armati. Erano trattenuti in condizioni crudeli e disumane e sottoposti a tortura e maltrattamento, compresa violenza sessuale, estorsione, lavoro forzato e diniego di cure mediche adeguate.

Per tutto l’anno, le autorità tunisine hanno espulso con la forza in Libia migliaia di persone rifugiate e migranti. Quelle respinte sono state detenute in condizioni crudeli e disumane e sottoposte a tortura e maltrattamento nei centri di detenzione gestiti dalle guardie di frontiera libiche, dalla Dcim o dai gruppi armati (cfr. Tunisia).

I gruppi armati affiliati alle Laaf hanno espulso con la forza migliaia di persone rifugiate e migranti verso Ciad, Egitto, Niger e Sudan, senza dare loro l’opportunità di contestare la loro espulsione o di chiedere protezione internazionale. Alcune, comprese quelle che si erano salvate dalla prolungata prigionia in mano ai trafficanti, sono state espulse in quanto ritenute “portatrici di malattie”.

 

PENA DI MORTE

L’ordinamento libico ha mantenuto la pena di morte per un’ampia gamma di reati, anche per quelli che non raggiungevano la soglia dei “reati più gravi” secondo il diritto internazionale come “omicidio intenzionale”. I tribunali civili e militari hanno continuato a emettere condanne a morte per omicidio al termine di processi gravemente iniqui. Non ci sono state esecuzioni.

 

DIRITTO A UN AMBIENTE SALUBRE

I limitati sistemi di allerta e la scarsa capacità di reazione del paese alle crisi hanno peggiorato la crescente vulnerabilità della Libia agli effetti di eventi metereologici estremi. Ad agosto, forti piogge, inondazioni e violenti temporali hanno colpito le città di Kufra e Ghat, oltre che altre aree della Libia meridionale, causando ingenti danni e perdita di vite umane. La Libia non aveva ancora né ratificato l’Accordo di Parigi né presentato piani formali per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici.

 

 

Note:
1 Libya: “In Seconds Everything Changed”: Justice and Redress Elusive for Derna Flood Survivors, 11 marzo.
2 Libya: “Every Day We Die a Thousand Times”: Impunity for Crimes against Humanity in Tarhouna, 26 novembre.

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