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Egitto, sei anni di al-Sisi: Amnesty International denuncia la “legalizzazione” di una repressione senza precedenti
A sei anni dalla deposizione dell’ex presidente Mohamed Morsi, recentemente deceduto, Amnesty International ha denunciato il tentativo delle autorità egiziane di normalizzare le violazioni dei diritti umani attraverso una serie di norme che servono a “legalizzare” la crescente repressione della libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica.
In occasione del sesto anniversario della salita al potere del presidente Abdel Fattah al-Sisi, Amnesty International ha pubblicato un’analisi della situazione dei diritti umani dal 2013 a oggi, già sottoposta al Consiglio Onu dei diritti umani in vista dell’Esame periodico universale cui l’Egitto sarà sottoposto a novembre.
“Da quando il presidente al-Sisi ha preso il potere, la situazione dei diritti umani in Egitto ha conosciuto un deterioramento catastrofico e senza precedenti. Attraverso una serie di leggi draconiane e di tattiche repressive delle sue forze di sicurezza, il governo del presidente al-Sisi ha orchestrato una campagna coordinata per rafforzare la stretta sul potere, erodendo ulteriormente l’indipendenza del potere giudiziario e imponendo soffocanti limitazioni nei confronti dei mezzi d’informazione, delle Ong, dei sindacati, dei partiti politici e dei gruppi e attivisti indipendenti“, ha dichiarato Magdalena Mughrabi, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
Sotto la presidenza al-Sisi e col pretesto di combattere il terrorismo, migliaia di persone sono state arrestate arbitrariamente – centinaia delle quali per aver espresso critiche o manifestato pacificamente – ed è proseguita l’impunità per le amplissime violazioni dei diritti umani quali i maltrattamenti e le torture, le sparizioni forzate di massa, le esecuzioni extragiudiziali e l’uso eccessivo della forza.
Dal 2014 sono state emesse oltre 1891 condanne a morte, spesso al termine di processi iniqui, almeno 174 delle quali poi eseguite.
Delle 300 raccomandazioni sui diritti umani fatte all’Egitto dagli altri stati in occasione del precedente Esame periodico universale del 2014, l’Egitto ne ha accolte 237 e ne ha accettate parzialmente altre 11. Tuttavia, dalle ricerche di Amnesty International è emerso che di fatto non è stata avviata alcuna riforma in linea con quelle raccomandazioni.
“Legalizzare” la repressione
La legge del 2017 sulle Ong è stata il primo esempio delle norme draconiane introdotte dalle autorità egiziane per stroncare la libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica.
La legge consente alle autorità di negare il riconoscimento delle Ong, di limitarne attività e finanziamenti e di indagare il loro personale per reati definiti in modo del tutto vago. Nel dicembre 2018 sono stati annunciati emendamenti alla legge ma non è chiaro se questi avranno a che fare con questioni legate ai diritti umani.
Dal 2014 almeno 31 rappresentanti di Ong sono stati colpiti da divieti di viaggio e le autorità hanno congelato i beni patrimoniali di 10 persone e di sette Ong nell’ambito di un’inchiesta sui finanziamenti provenienti dall’estero.
Nel 2018 sono state approvate la legge sui mezzi d’informazione e quella sui crimini informatici, che hanno esteso ulteriormente i poteri di censura sulla stampa cartacea e online e sulle emittenti radio-televisive. Secondo l’Associazione per la libertà di pensiero e di espressione, dal maggio 2017 le autorità egiziane hanno bloccato almeno 513 siti web, tra cui portali informativi e di organizzazioni per i diritti umani.
Una serie di emendamenti controfirmati dal presidente al-Sisi nel 2017 hanno poi conferito alle autorità il potere di eseguire arresti di massa, hanno prolungato all’infinito i tempi della detenzione preventiva e hanno pregiudicato il diritto a un processo equo.
Dal 2013 migliaia di persone sono state trattenute in detenzione preventiva per lunghi periodi di tempo, a volte anche per cinque anni, spesso in condizioni inumane e crudeli, senza cure mediche adeguate e con scarso accesso alle visite familiari. In alcuni casi, la polizia ha trattenuto per mesi persone di cui i tribunali avevano ordinato il rilascio.
Per limitare arbitrariamente la libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica, in questi sei anni le autorità egiziane si sono costantemente basate su una legge relativa alle manifestazioni di epoca coloniale, adottata nel 1914, sulla draconiana legge sulle proteste del 2013 e sulla legge antiterrorismo del 2015.
Durante una fase particolarmente acuta della repressione, tra dicembre 2017 e gennaio 2019, almeno 156 persone sono state arrestate per aver criticato in modo pacifico le autorità, aver preso parte a riunioni o aver partecipato a manifestazioni. Più di recente, nel maggio e nel giugno 2019, sono stati arrestati almeno 10 oppositori pacifici, tra cui un ex parlamentare, leader dell’opposizione, giornalisti e attivisti.
Le autorità hanno anche approvato leggi che rafforzano le limitazioni ai sindacati indipendenti e l’impunità per le alte cariche delle forze armate per reati commessi dal 2013 al 2016, un periodo nel quale centinaia di manifestanti sono stati vittime di uccisioni illegali da parte delle forze di sicurezza.
Gli emendamenti costituzionali adottati nel 2019 hanno indebolito il primato della legge, compromesso l’indipendenza del potere giudiziario, aumentato i processi in corte marziale per i civili, eroso ulteriormente le garanzie di un processo equo e cristallizzato l’impunità per i membri delle forze armate. Gli emendamenti consentiranno anche al presidente al-Sisi di controllare dall’inizio alla fine l’applicazione delle norme che “legalizzano” la repressione, attraverso il potere di nomina delle alte cariche giudiziarie e la supervisione in materia giudiziaria.
“Sotto il presidente al-Sisi le leggi e il sistema giudiziario, che dovrebbero servire a garantire lo stato di diritto e a proteggere i diritti delle persone, sono stati trasformati in strumenti repressivi da utilizzare per processare chiunque critichi pacificamente le autorità. Questo accade proprio mentre le forze di sicurezza ricorrono sistematicamente alla tortura per estorcere confessioni che determineranno condanne al termine di processi irregolari“, ha commentato Mughrabi.
“La comunità internazionale deve cessare di rimanere in silenzio di fronte alla decimazione della società civile egiziana, allo sbriciolamento di ogni forma di dissenso e all’apertura delle porte del carcere per le voci critiche e gli oppositori pacifici che vanno così incontro alla tortura, alle sparizioni forzate e a condizioni inumane di prigionia. Gli stati, soprattutto quelli che nel 2014 rivolsero le raccomandazioni all’Egitto, hanno il dovere di prendere posizione per fermare questo catastrofico declino dei diritti umani“, ha concluso Mughrabi.
Amnesty International chiede a tutti gli stati di assumere misure concrete per sospendere i trasferimenti di equipaggiamento di polizia e di tecnologia di sorveglianza che l’Egitto usa per reprimere gli oppositori politici.