Stop al commercio con gli insediamenti israeliani in Cisgiordania

15 Settembre 2025

© 2025 SOPA Images

Tempo di lettura stimato: 14'

  • Oxfam in alleanza con decine di organizzazioni italiane e internazionali*, fra le quali Amnesty International Italia, lancia una campagna per chiedere all’Unione europea e al Regno Unito di vietare il commercio con gli insediamenti illegali israeliani in Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme est.
  • Un nuovo rapporto fotografa il drammatico impatto umanitario dell’occupazione israeliana alimentato dal commercio e dagli investimenti esteri nel Territorio palestinese occupato: la povertà in Cisgiordani occupata a è aumentata dal 12 per cento al 28 per cento negli ultimi due anni, con un tasso di disoccupazione arrivato al 35 per cento.
  • Oltre il 42 per cento della Cisgiordania è occupata dagli insediamenti israeliani. Sono all’ordine del giorno confische di terreni, sfollamenti forzati e demolizioni ai danni delle comunità palestinesi, mentre l’ampliamento degli insediamenti illegali dei coloni è cresciuto del 180 per cento negli ultimi cinque anni

Si può aderire alla campagna “Stop al commercio con gli insediamenti illegali” qui

L’occupazione israeliana della Cisgiordania costa ogni anno miliardi di dollari all’economia palestinese, mentre la povertà è aumentata dal 12 per cento al 28 per cento negli ultimi due anni, con un tasso di disoccupazione raddoppiato da ottobre 2023 e arrivato al 35 per cento. Gli espropri di aree sempre più vaste, le demolizioni, gli sfollamenti forzati e l’ampliamento degli insediamenti dei coloni israeliani (illegali secondo il diritto internazionale) hanno un impatto sempre più drammatico sulla capacità di sussistenza delle comunità palestinesi, ma i governi e le imprese dell’Ue e del Regno Unito continuano ad alimentare questa situazione.

È quanto denunciato da Oxfam, insieme ad una alleanza di decine di organizzazioni umanitarie e della società civile, fra le quali Amnesty International Italia, che hanno diffuso oggi un rapporto e la nuova campagna “Stop al commercio con gli insediamenti illegali” che chiede all’Italia, all’Unione europea, agli altri suoi stati membri e al Regno Unito di adottare misure concrete per vietare gli scambi commerciali con gli insediamenti dei coloni israeliani nella Cisgiordania occupata (compresa Gerusalemme Est).

A un anno esatto dal voto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che ha chiesto a Israele di porre fine entro settembre 2025 all’occupazione illegale e di ritirarsi dal Territorio palestinese occupato, è sotto gli occhi di tutti come la risposta di Israele, in totale sfregio a quanto richiesto dalla comunità internazionale, si sia tradotta in ulteriori piani di espansione. Allo stesso tempo è più che mai evidente quanto l’occupazione illegale, complici anche il commercio e gli investimenti esteri con gli insediamenti, sia alla radice di un’immane crisi umanitaria.

“Negli ultimi anni l’oppressione di Israele sulle comunità palestinesi è diventata sempre più soffocante. – spiega Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam ItaliaUna strategia che mira a frammentare l’economia della Cisgiordania occupata e minare la costruzione di un futuro Stato palestinese. Per questo porre fine al commercio con gli insediamenti è un passo necessario per sostenere i diritti umani e proteggere i mezzi di sussistenza della popolazione palestinese. Solo così si potrà contribuire davvero a fermare l’espansione degli insediamenti che oggi rappresentano il 42 per cento della Cisgiordania occupata e porre fine all’occupazione illegale”.

Tra espropri, demolizioni, sfollamenti e l’espansione record degli insediamenti

Dall’occupazione della Cisgiordania nel 1967, Israele si è appropriato di circa 2000 chilometri quadrati per la costruzione e l’espansione di insediamenti, in un’accelerazione esponenziale negli ultimi quattro anni, che culmina oggi con l’approvazione di un piano di costruzione di 3400 nuove unità abitative in un blocco che collega Gerusalemme Est e l’insediamento di Ma’ale Adumim, interrompendo di fatto la circolazione dei palestinesi tra la Cisgiordania settentrionale e meridionale.

Nel 2023 il governo israeliano ha approvato la costruzione di 30.682 abitazioni nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est. Un’espansione record, con un aumento del 180 per cento dei nuovi insediamenti, in soli cinque anni. Nel giugno 2024 ha designato 12,7 chilometri quadrati nella Valle del Giordano come “terra demaniale”. A maggio 2025 ha istituito 22 nuovi insediamenti. Gran parte dei nulla osta rilasciati da Israele hanno riguardato aree sempre più interne della Cisgiordania, frammentando il territorio palestinese e riducendo la libertà di movimento.

Con 900 checkpoint posizionati in tutta la Cisgiordania occupata, gli spostamenti sono sempre più difficili, pericolosi e lunghi. In questo momento infatti il 30 per cento del territorio è inaccessibile alle persone palestinesi. Le lunghe attese ai checkpoint hanno poi gravi ripercussioni sui lavoratori, le aziende e l’economia palestinese. Si stima che il costo di tutto questo sia di 764.600 dollari al giorno, pari a una perdita salariale di 16,8 milioni al mese, per le ore di lavoro perse. Con oltre un terzo della popolazione della Cisgiordania senza lavoro a causa delle politiche di Israele, sono le donne palestinesi le prime vittime di una situazione di totale sfruttamento.  Non avendo alternative, circa 6500 di loro sono costrette a lavorare negli insediamenti illegali israeliani, spesso senza un contratto, un’assicurazione sanitaria e condizioni minime di sicurezza, con orari lunghissimi e per paghe da fame, di molto inferiori al salario medio israeliano: circa il 65 per cento guadagna meno di 20 dollari al giorno.

La confisca illegale da parte israeliana delle terre palestinesi e l’espansione degli insediamenti illegali nella Cisgiordania occupata continuano a produrre immensa sofferenza: le persone palestinesi vengono cacciate dalle loro case, i loro beni di sussistenza vengono distrutti e i servizi fondamentali come l’acqua potabile vengono loro negati. Lo sfruttamento economico delle terre e dei beni della popolazione palestinese entrano in quel sistema di apartheid che Amnesty International denuncia da anni. Il governo israeliano usa la sua forza di potenza occupante per trarre benefici economici enormi a discapito della popolazione occupata. È arrivato il momento di schierarsi dalla parte dei diritti umani e porre fine a questa spirale di impunità che è sostenuta dai nostri governi da ormai troppo tempo”, ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.

Gli incentivi israeliani per lo sviluppo degli insediamenti continuano ad attrarre enormi investimenti esteri di imprese e istituzioni finanziarie

Il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del luglio 2024 ha chiarito che i governi che consentono il commercio con gli insediamenti israeliani, si rendono complici di un’espansione illegale, sostenendo il controllo di Israele nel Territorio palestinese occupato. Tuttavia, Israele continua ad attrarre investimenti esteri nei suoi insediamenti in Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme Est, attraverso agevolazioni fiscali, sussidi, trattamenti preferenziali, affitti ribassati dei terreni e sovvenzioni.

Il report pubblicato oggi prende in esame alcune tra le principali aziende e istituzioni finanziarie internazionali che hanno solide relazioni commerciali con gli insediamenti israeliani:

  • la multinazionale spagnola del turismo eDreams Odigeo e la sua controllata Opodo, offrono hotel e alloggi negli insediamenti israeliani in Cisgiordania;
  • la società tedesca TUI propone tour negli insediamenti israeliani illegali anche in autobus blindati, per incontrare i coloni israeliani di Hebron;
  • le attrezzature prodotte dalla JC Bamford Excavators (JCB), un’azienda edile con sede nel Regno Unito, vengono utilizzate da Israele per demolire strutture, abitazioni e coltivazioni palestinesi e per costruire insediamenti illegali. Le aziende edili come la JCB traggono profitto dal trasferimento forzato dei palestinesi e dall’espansione degli insediamenti.
  • la multinazionale tedesca Siemens fornisce attrezzature e servizi per le infrastrutture di trasporto che collegano gli insediamenti e ha chiuso un accordo per lo sviluppo della rete ferroviaria del valore di oltre un miliardo di euro;
  • la francese Carrefour ha stipulato un accordo con Yenot Bitan per la produzione e la vendita dei propri prodotti in Israele. Ci sono almeno nove negozi Yenot Bitan situati nei Territorio palestinese occupato, di cui due con marchio Carrefour;
  • la compagnia di navigazione danese Maersk, ha trasportato merci per quattro società elencate nel data base delle Nazioni Unite tra le aziende che sostengono direttamente l’economia degli insediamenti: Comasco, Extal, Ofertex Industries e Twitoplast;
  • l’istituto bancario britannico Barclays ha fornito 18,1 miliardi di dollari in prestiti e servizi a società legate agli insediamenti, tra il gennaio 2021 e l’agosto 2024, diventando così il terzo creditore di società che hanno relazioni commerciali con gli insediamenti, dopo BNP Paribas e HSBC.

L’appello a Ue e Italia per lo stop al commercio con gli insediamenti

L’Ue oggi è il maggiore partner commerciale di Israele, con una quota di circa il 32 per cento del movimento totale di merci. Nel 2024 il volume totale dell’import-export di beni tra Israele e l’Ue è stato di 42,6 miliardi di euro. L’Italia da sola l’anno scorso ha importato beni e servizi per oltre un miliardo di euro con un volume totale di scambi pari ad oltre quattro miliardi, il Regno Unito nel complesso per poco meno di sei miliardi di sterline.

“Ad oggi le politiche europee e nazionali, che rendono riconoscibili i prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani illegali, vengono attuate in modo incoerente e sabotate sistematicamente, con il risultato che in tutta Europa sono presenti prodotti provenienti da qui, ma etichettati ‘Made in Israel’.  – spiegano le organizzazioni promotrici della campagna – Per compiere un primo passo concreto in difesa dei diritti del popolo palestinese è quindi fondamentale che l’Ue e tutti gli stati membri mettano al bando il commercio con gli insediamenti, compresa la fornitura di servizi e gli investimenti. Per questo chiediamo a tutti di firmare il nostro appello, che chiede al governo italiano di  interrompere ogni relazione commerciale con gli insediamenti illegali israeliani”.

Inoltre, le organizzazioni chiedono:

  • che siano direttamente gli esportatori israeliani a dimostrare che i loro beni non sono prodotti nel Territorio palestinese occupato, contrariamente a quanto avviene ora, ritenendoli responsabili di false dichiarazioni;
  • che sia vietato l’ingresso nel mercato europeo e nel Regno Unito di merci di cui non sia dimostrata l’esatta provenienza;
  • che venga impedito alle banche e alle istituzioni finanziarie di concedere prestiti e crediti a società basate negli insediamenti che ne finanziano lo sviluppo.
  • che si sospenda l’Accordo di Associazione Ue-Israele fino al pieno rispetto da parte di Israele delle disposizioni sui diritti umani.

*Le associazioni italiane aderenti alla campagna:

ACLI, ACS -NGO, Amnesty International Italia, AOI, ARCI, CISS, CNCA, COSPE, CRIC, Emmaus, First Social Life (Bancari CISL), Fondazione Finanza Etica, Fondazione Gruppo Abele, Libera, Movimento Giustizia e Pace in Medio Oriente, Pax Christi, Rete HUMUS, Rete Italiana Pace e Disarmo, Un Ponte Per, Vento di Terra.

 

NOTE:

  • Oltre 700.000 persone israeliane vivono oggi in centinaia di insediamenti che occupano il 42% del territorio della Cisgiordania e sono collegati da strade, ferrovie, zone industriali e altre infrastrutture.
  • Il dato sul tasso di disoccupazione in Cisgiordania è del Palestine Economic Policy Research Institute-MAS (febbraio 2025).
  • Il tasso di aumento della povertà 2023-2024 è dell’ILO (ottobre 2024).
  • I dati sull’interscambio totale tra Italia e Israele sono elaborazioni dell’Ambasciata d’Italia su dati Agenzia ICE di fonte ISTAT e consultabili qui: https://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=106#
  • Il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del luglio 2024 sulle “Conseguenze giuridiche derivanti dalle politiche e dalle pratiche di Israele nei Territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est”, ha stabilito che gli stati sono obbligati, in base al diritto internazionale, ad «astenersi dall’intrattenere relazioni economiche o commerciali con Israele riguardanti i territori palestinesi occupati o parti di essi che possano consolidare la sua presenza illegale nel territorio» e devono “adottare misure per impedire relazioni commerciali o di investimento che contribuiscano al mantenimento della situazione illegale creata da Israele nei [territori occupati]”.
  • Il commercio con gli insediamenti comprende qualsiasi relazione commerciale, diretta o indiretta, inclusa le presenza di filiali, l’erogazione di servizi, finanziamenti e approvvigionamento. Le aziende che sono coinvolte o che rendono possibili queste attività rischiano di essere complici di violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani.