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La repressione e la violenza di stato sono destinate a continuare a flagellare il Medio Oriente e l’Africa del Nord anche nel 2012, se i governi della regione e le potenze internazionali non si dimostreranno all’altezza dei cambiamenti richiesti.
È quanto ha dichiarato oggi Amnesty International, diffondendo un rapporto di 80 pagine dal titolo ‘Un anno di rivolta. La situazione dei diritti umani in Medio Oriente e Africa del Nord‘, sui sensazionali avvenimenti del 2011: un anno in cui, da un lato, i governi della regione hanno mostrato di essere disposti a ricorrere alla violenza estrema per cercare di resistere alla richiesta senza precedenti di profondi cambiamenti; e dall’altro, i movimenti di protesta hanno fatto vedere di non avere la minima intenzione di voler abbandonare i loro ambiziosi obiettivi o di accontentarsi di riforme di facciata.
‘Con poche eccezioni, i governi non hanno saputo riconoscere che è cambiato tutto’ – ha dichiarato Philip Luther, direttore ad interim per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International. ‘In tutta la regione i movimenti di protesta, guidati in molti casi dai giovani e che hanno visto le donne svolgere un ruolo centrale, hanno dimostrato di avere un’incredibile resistenza di fronte a una repressione a volte furibonda e di non essere disposti a farsi prendere in giro da riforme che modificherebbero poco o nulla il modo in cui sono stati trattati dalla polizia e dalle forze di sicurezza. Questi movimenti vogliono cambiamenti concreti nel modo in cui sono governati e pretendono che chi in passato ha commesso violazioni dei diritti umani sia chiamato a renderne conto‘.
‘I costanti tentativi di offrire cambiamenti di facciata, di ricacciare indietro i progressi ottenuti dai manifestanti o semplicemente di brutalizzare e sottomettere le loro popolazioni, indicano che l’obiettivo di molti governi è la sopravvivenza‘ – ha proseguito Luther.
Nonostante il grande ottimismo diffusosi in Africa del Nord con la caduta dei regimi longevi di Tunisia, Egitto e Libia, Amnesty International ha rilevato che questi successi non sono stati cementati da profonde riforme istituzionali, tali da evitare il ripetersi dello stesso genere di violazioni dei diritti umani del passato.
L’organismo al potere in Egitto, il Consiglio supremo delle forze armate (Scaf), ha ripetutamente promesso di dare seguito alle richieste della ‘rivoluzione del 25 gennaio’ ma, secondo le ricerche di Amnesty International, si è reso responsabile di una serie di violazioni dei diritti umani per certi versi persino peggiori di quelle dell’era di Mubarak.
L’esercito e le forze di sicurezza hanno violentemente soppresso le proteste, causando almeno 84 morti negli ultimi tre mesi del 2011. Sono continuate le torture durante la detenzione e le corti marziali hanno processato più civili in 12 mesi che nei 30 anni precedenti. Alle donne sono stati inflitti particolari trattamenti umilianti, con l’obiettivo di farle desistere dalla protesta. A dicembre, le forze di sicurezza hanno fatto irruzione nelle sedi di varie organizzazioni non governative locali e internazionali in quello che è apparso un tentativo di azzittire le critiche nei confronti delle autorità.
Amnesty International teme che nel 2012 lo Scaf potrebbe tentare ulteriormente di limitare le possibilità dei cittadini egiziani di protestare ed esprimere liberamente le loro opinioni.
La rivolta in Tunisia ha prodotto significativi miglioramenti sul piano dei diritti umani, ma un anno dopo sono in molti a ritenere che il cambiamento stia procedendo con troppa lentezza. Le famiglie delle vittime della rivolta sono ancora in attesa della giustizia.
Dopo le elezioni di ottobre, si è formata una coalizione di governo e Moncef Marzouki, attivista per i diritti umani ed ex prigioniero di coscienza di Amnesty International, è stato nominato presidente ad interim.
Amnesty International ritiene che nel 2012 sarà fondamentale la stesura di una nuova Costituzione che garantisca la protezione dei diritti umani e l’uguaglianza di tutti i tunisini di fronte alla legge.
In Libia, è stata messa fortemente in dubbio la capacità delle nuove autorità di controllare le brigate armate che hanno contribuito alla sconfitta delle forze pro-Gheddafi e di impedire una replica delle violazioni dei diritti umani tipiche del vecchio sistema di potere.
Nonostante le richieste del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) di evitare attacchi di rappresaglia, le gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle forze ostili a Gheddafi sono state raramente oggetto di condanna. A novembre, le Nazioni Unite hanno reso noto che circa 7000 persone erano detenute in centri di prigionia improvvisati controllati dalle brigate rivoluzionarie, senza alcuna prospettiva di essere sottoposte a un’idonea procedura giudiziaria.
Altrove nella regione, i governi sono stati fermamente determinati a rimanere aggrappati al potere, in alcuni casi a qualsiasi costo in termini di vite e dignità umane.
L’esercito e i servizi segreti della Siria si sono resi responsabili di uccisioni e torture che costituiscono crimini contro l’umanità nel tentativo, risultato vano, di terrorizzare manifestanti e oppositori e ridurli al silenzio e alla sottomissione. Alla fine dell’anno, il totale dei morti in carcere era salito a oltre 200, ben più di 40 volte la media annua per quel paese.
Nello Yemen, lo stallo intorno alla presidenza del paese ha causato ulteriori sofferenze alla popolazione. Oltre 200 persone sono state uccise nelle proteste e altre centinaia sono morte negli scontri armati. La violenza ha reso sfollate decine di migliaia di persone, provocando una crisi umanitaria.
In Bahrein, a novembre, la pubblicazione di un rapporto indipendente da parte di una commissione internazionale di esperti sulle violazioni dei diritti umani collegate alle proteste aveva fatto sperare che il paese potesse iniziare a girare pagina. La serietà dell’impegno del governo ad attuare le raccomandazioni della commissione è, tuttavia, ancora da verificare.
Nel 2011 il governo dell’Arabia Saudita ha annunciato una serie di misure di spesa, apparentemente destinati a prevenire la diffusione delle proteste nel regno. Ciò nonostante, e nonostante la stesura di una nuova, repressiva, legge antiterrorismo, le manifestazioni sono andate avanti fino alla fine dell’anno, soprattutto nell’est del paese.
In Iran, un paese le cui azioni di politica interna sono passate largamente inosservate lo scorso anno, il governo ha continuato a stroncare il dissenso, rafforzando i controlli sulla libertà d’informazione e prendendo particolarmente di mira giornalisti, blogger, sindacalisti indipendenti e attivisti politici.
Secondo Amnesty International, la risposta agli avvenimenti del 2011 da parte delle potenze internazionali e degli organismi regionali quali l’Unione africana, la Lega araba e l’Unione europea, è stata incoerente e non ha saputo cogliere la portata della sfida posta ai regimi repressivi della regione.
La causa dei diritti umani è stata fatta propria dai favorevoli a un intervento militare in Libia ma il Consiglio di sicurezza, ostacolato specialmente da Russia e Cina, alla fine dell’anno non aveva fatto altro se non emettere una blanda dichiarazione di condanna nei confronti della violenza in Siria.
La Lega araba, se è stata sollecita nel sospendere la Libia a febbraio e in seguito la Siria, inviando in questo paese anche un team di osservatori, è rimasta in silenzio quando le truppe dell’Arabia Saudita, agendo sotto le insegne del Consiglio per la cooperazione nel Golfo, hanno spalleggiato il governo del Bahrein nel suo tentativo di stroncare le proteste.
‘Il sostegno dei poteri mondiali alle popolazioni del Medio Oriente e dell’Africa del Nord è stato esemplarmente irregolare. Tuttavia, ciò che fa impressione rispetto agli eventi del 2011 è che, con poche eccezioni, il cambiamento è stato in larga parte ottenuto grazie agli sforzi delle persone che sono scese in strada e non all’influenza e al coinvolgimento delle potenze straniere. Le persone comuni di tutta la regione non ci stanno a veder fermata la loro lotta per la dignità e la giustizia, ed è questo che ci dà speranza per il 2012‘ – ha concluso Luther.
FINE DEL COMUNICATO Roma, 9 gennaio 2012
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