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UN ORGOGLIO CHE NON PASSA
di Martina Chichi, campaigner
Nel 2023, l’Italia risulta al 34° posto su 49 stati per tutela e promozione dei diritti Lgbtqia+, nella mappa elaborata da Ilga Europe. Se guardiamo l’indice utilizzato per classificare il livello raggiunto dal paese in materia di rispetto dei diritti umani e di uguaglianza in ambito Lgbtqia+, in una scala che va da zero a 100 per cento, l’Italia ottiene il 25 per cento, al pari della Georgia. Con un punteggio inferiore a Lituania, Lettonia, Liechtenstein, Ucraina, Bulgaria, Polonia, San Marino, Monaco, Bielorussia, Russia, Armenia, Turchia, Azerbaigian. Cosa ci fa collocare così in basso? La mancanza di tutele per le persone Lgbtqia+: che si tratti di eguaglianza e non discriminazione, di famiglia, di discorsi e crimini d’odio, di riconoscimento legale del genere, di norme a protezione dell’integrità fisica delle persone intersex, di richiedenti asilo e rifugiati.
L’Italia è quel paese in cui ancora non si è arrivati all’approvazione di una legge che contrasti in modo esplicito gli atti discriminatori nei confronti delle persone Lgbtqia+. La discriminazione è diffusa in ogni contesto: si trova a casa, a scuola, sul lavoro, per strada e si declina in tante diverse forme di violenza psicologica e fisica, che a volte conducono alla morte della persona sotto attacco. Eppure, una legge non c’è. Un vuoto sul piano normativo che influisce negativamente anche sulla possibilità di avere una fotografia realistica di quanto e di come si estenda questo fenomeno. Dati e analisi di cui disponiamo riescono a fornirci solo un’idea del clima che la comunità Lgbtqia+ vive in Italia. L’ultimo rapporto di Arcigay racconta 133 storie d’odio riportate dai media in un anno, scelte per descrivere quale sia il clima vissuto dalla comunità Lgbtqia+ in Italia. Tra queste tre suicidi e tre omicidi. Scalando verso il basso la piramide della violenza, l’incitamento all’odio è diffuso e spesso promosso dalla politica, che prova a delegittimare le richieste di cambiamento. Basti pensare alle dichiarazioni di attuali esponenti del parlamento e del governo sulle “coppie gay illegali”, sull’omosessualità come “abominio”, sulle “lobby Lgbtqia+” con annesse teorie del complotto. Anche l’ultimo Barometro dell’odio di Amnesty International, che ha analizzato i post e i tweet delle persone candidate alle più recenti elezioni politiche, ha rilevato che un contenuto su tre sul tema diritti Lgbtqia+ era offensivo, discriminatorio o costituiva hate speech. Da qui la nostra campagna #nonpassa, che reclama con urgenza una normativa per porre un freno agli atti discriminatori: una legge può non passare, ma non passano le ragioni che la rendono necessaria. Le richieste di Amnesty International, però, non si fermano a questo.