Vertice di Lussemburgo dell’8 ottobre: i governi dell’Ue condividano responsabilità sui salvataggi in mare

3 Ottobre 2019

@OLMO CALVO/AFP/Getty Images

Tempo di lettura stimato: 6'

Vertice di Lussemburgo dell’8 ottobre: Amnesty International e Human Rights Watch chiedono ai governi dell’Unione europea condivisione di responsabilità sui salvataggi in mare

In occasione del sesto anniversario del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, nel quale morirono almeno 368 persone e in vista del vertice tra i ministri dell’Interno dell’Unione europea in programma a Lussemburgo l’8 ottobre, Amnesty International e Human Rights Watch hanno chiesto ai governi dell’Unione europea di apportare miglioramenti e poi sottoscrivere un piano di sbarchi e ricollocamenti tempestivi delle persone soccorse nel mar Mediterraneo.

La “dichiarazione congiunta” adottata a Malta il 23 settembre, che impegna gli stati coinvolti a creare un sistema funzionante ed efficace per assicurare “sbarchi in condizioni di dignità” in porti sicuri, è stata un buon primo passo iniziale. Ma ora, affermano le due organizzazioni per i diritti umani, i ministri dell’Unione europea devono accordarsi su un piano che assicuri la certezza degli sbarchi e un sistema equo di ricollocamenti.

Dal giugno 2018 numerose navi sono state lasciate in mare per settimane dopo aver soccorso migranti e rifugiati, fino a quando non sono stati raggiunti accordi “nave per nave”.

Se vogliamo evitare altre oscene situazioni del genere, gli stati costieri dell’Unione europea interessati devono assumere in modo chiaro l’impegno a permettere alle navi di entrare nei loro porti, mentre gli altri stati membri devono assumere la loro equa parte di responsabilità nei ricollocamenti delle persone sbarcate. Un accordo forte servirà a salvare vite umane e dimostrerà la volontà degli stati membri dell’Unione europea di lavorare insieme per rispettare i valori fondamentali e gli obblighi internazionali“, ha dichiarato Matteo de Bellis, ricercatore di Amnesty International sulle migrazioni.

Secondo Amnesty International e Human Rights Watch, la “dichiarazione congiunta” presenta alcune affermazioni problematiche e le due associazioni chiedono ai ministri degli Interni dell’Unione europea di affrontarle nel vertice di Lussemburgo.

In particolare, da Lussemburgo dovrebbe emergere chiaramente che le navi di soccorso non saranno tenute a rispettare le istruzioni circa uno sbarco in Libia dato che questo non è un luogo sicuro e che nessuno sarà sottoposto a sanzioni per aver legittimamente disatteso alle istruzioni di sbarcare persone in Libia, anche quando i soccorsi avverranno all’interno di quella che la Libia ha dichiarato come sua “zona di ricerca e soccorso”.

L’attuale risposta dell’Unione europea alla crisi dei soccorsi nel Mediterraneo centrale ha molte pecche. Sostenere la Guardia costiera libica nelle operazioni d’intercettamento in mare e di riporto sulla terraferma mette le persone a rischio di detenzioni arbitrarie e violenze e rende i governi dell’Unione europea complici delle violazioni dei diritti umani che avvengono in Libia. I ministri degli Interni dell’Unione europea hanno l’opportunità di assicurare che le persone soccorse dalle navi delle Ong e da altre imbarcazioni arriveranno in tempi rapidi e in modo sicuro in Europa“, ha dichiarato Judith Sunderland, direttrice associata per l’Europa e l’Asia centrale di Human Rights Watch.

La “dichiarazione congiunta” di Malta contiene inoltre la preoccupante disposizione che lo stato di bandiera di una nave debba portare sul suo territorio le persone da essa soccorse. Questo potrebbe causare ingiustificati ritardi negli sbarchi e scoraggiare pattugliamenti e operazioni di soccorso da parte delle marine militari e delle guardie costiere degli stati dell’Unione europea.

Inoltre, la “dichiarazione congiunta” enfatizza la necessità di aumentare l’uso di veicoli aerei per identificare imbarcazioni in difficoltà ma non parla di riportare in mare altre navi. Insieme a quello su sbarchi e ricollocamenti, i ministri dell’Interno dell’Unione europea dovrebbero trovare un accordo anche sul dispiegamento di un adeguato numero di navi per sostenere e favorire le operazioni di soccorso delle navi delle Ong.

L’impegno a ricollocare i richiedenti asilo entro quattro settimane, assunto dagli stati aderenti alla “dichiarazione congiunta”, ha rappresentato un passo avanti verso una più equa condivisione delle responsabilità. Amnesty International e Human Rights Watch sottolineano tuttavia la necessità che non vi siano rischi di detenzione per lungo periodo, non vi sia discriminazione nei confronti di alcuni gruppi a causa dell’origine nazionale, dell’etnia o di altri fattori e non vi siano ulteriori oneri sulle spalle degli stati dove avvengono gli sbarchi.

Suggerendo, infine, che gli stati membri dovrebbero espellere alcune delle persone “immediatamente dopo lo sbarco” senza alcuna procedura oltre a un primo esame medico e delle condizioni di sicurezza, la “dichiarazione congiunta” non rispetta le garanzie nei confronti delle espulsioni arbitrarie. I ministri degli Interni che si riuniranno a Lussemburgo dovranno accettare un piano che assicuri procedure eque ed efficaci d’asilo e la presa in esame di specifiche esigenze di protezione individuale, come previsto dalle norme internazionali e dalla stessa normativa europea.

La “dichiarazione congiunta” pare essere stata fondamentalmente una risposta alla “crisi degli sbarchi” nel Mediterraneo centrale. Ma ora occorre anche un’urgente risposta collettiva alla situazione in Grecia, in Spagna e a Cipro dove gli arrivi sono molti e il sistema d’accoglienza in difficoltà, con le conseguenze derivanti sul piano umanitario e che necessitano di essere affrontate.