Yemen, il terrore delle milizie: minorenni stuprati nella città di Ta’iz

11 Marzo 2019

Credit: Amnesty International

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Denuncia di Amnesty International: Yemen, il terrore delle milizie, minorenni stuprati nella città di Ta’iz

Amnesty International ha denunciato che minorenni anche di soli otto anni sono stati stuprati nella città yemenita e che i presunti autori, tra cui membri delle milizie sostenute dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita, restano ancora impuniti.

L’organizzazione per i diritti umani ha indagato sulle testimonianze delle famiglie di quattro minorenni stuprati negli ultimi otto mesi. In due casi, le famiglie hanno accusato miliziani legati al partito Islah, appoggiato dalla coalizione a guida saudita.

“Queste strazianti testimonianze confermano quanto il conflitto in corso abbia reso i minorenni di Ta’iz vulnerabili allo sfruttamento sessuale, in una città dominata dall’insicurezza e dalla fragilità delle istituzioni. Queste vittime e le loro famiglie sono state lasciate sole e prive di protezione durante e dopo questo incubo”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.

“Le autorità yemenite dovranno indagare a fondo per lanciare il segnale che questi crimini non saranno tollerati e per proteggere le famiglie dei minorenni da rappresaglie. Le persone sospette, compresi combattenti e leader che godono della fiducia delle comunità locali, dovranno essere sottoposte a giudizio. Lo stupro e le aggressioni sessuali nel contesto di un conflitto armato costituiscono crimini di guerra. Chi ha posizioni di comando e non ferma queste azioni vili può a sua volta essere considerato responsabile di crimini di guerra”, ha commentato Morayef.

Amnesty International si è occupata di quattro casi di violenza sessuale: tre di stupro e uno di tentato stupro. Due referti medici esaminati dall’organizzazione fanno riferimento a lesioni nella zona anale su due delle vittime, a conferma delle loro testimonianze.

A far pensare due volte le famiglie prima di presentare denuncia sono stati sia il clima d’impunità e di rappresaglia quanto soprattutto il fatto che le persone sospette sarebbero politicamente fedeli alle istituzioni locali, controllate dal partito Islah. Due civili sono attualmente in attesa del processo per altrettanti casi, mentre i miliziani sospettati coinvolti nei restanti due casi non sono stati neanche arrestati.

Amnesty International ha scritto al procuratore generale dello Yemen chiedendo commenti e chiarimenti ma non ha ricevuto risposta. Negli ultimi mesi, le istituzioni e il sistema giudiziario hanno ripreso in parte a funzionare nel sud dello Yemen occupandosi di un modesto numero di casi.

Le famiglie hanno dovuto affrontare ulteriori ostacoli. Tutti e quattro i casi sono stati segnalati al dipartimento per le indagini penali di Ta’iz. Ma quando questo ufficio ha chiesto a uno degli ospedali principali della città di visitare le tre vittime di stupro e di produrre certificati medici, in un caso l’ospedale ha opposto inizialmente rifiuto per poi chiedere in cambio del certificato un versamento di denaro che la famiglia non è stata in grado di reperire.

Amnesty International è venuta a conoscenza di almeno altri due casi di stupro di cui le famiglie hanno troppo timore di parlare. Due delle quattro famiglie che hanno denunciato le violenze sono state costrette ad allontanarsi per evitare la vendetta delle milizie.

Le milizie legate al partito Islah

In due dei quattro casi – uno di stupro e l’altro di tentato stupro – le famiglie hanno accusato miliziani legati al partito Islah.

Questa è la testimonianza del 16enne vittima di stupro:

“Lui [un miliziano] ha iniziato a colpirmi col calcio del fucile e con calci e pugni mi ha spinto contro il muro. Allora ha detto che voleva stuprarmi. Io ho iniziato a piangere e a pregarlo di considerarmi come suo figlio. Si è infuriato ancora di più e ha ripreso a picchiarmi. Poi mi ha preso per il collo, mi ha spinto a terra e mi ha stuprato”.

Queste invece sono le parole della madre:

“Quando la sera è tornato a casa, è andato direttamente al gabinetto. Quando ne è uscito, gli ho chiesto cosa fosse successo ma non ha risposto. Si è messo a piangere e io ho iniziato a piangere a mia volta. Siamo rimasti seduti vicini per tre giorni, non riuscivamo a bere né a mangiare né a dormire. Dal punto di vista psicologico era terrorizzato, aveva un aspetto era giallo e spossato. Stava seduto lì guardando nel vuoto…”

La madre ha sporto denuncia al dipartimento per le indagini penali che ha emesso un decreto, esaminato da Amnesty International, per ordinare una visita medica e un referto. Il medico, che lavora in un ospedale controllato da Islah, si è rifiutato: “Il dottore mi ha detto che mio figlio non aveva nulla che non andasse e che non avrebbe scritto il referto”, ha raccontato.

Poi la direzione dell’ospedale ha chiesto soldi per produrre il certificato ma la madre non è stata in grado di pagare.

Il ragazzo riuscito a fuggire, nel luglio 2018, da un tentativo di stupro da parte di un miliziano ha 12 anni.

Un suo parente ha raccontato che il miliziano ha chiesto al ragazzo di consegnare un pacco all’abitazione di un vicino, per poi seguirlo e aggredirlo:

“[Il miliziano] lo ha spinto sul letto minacciandolo col fucile e avvertendolo che se avesse gridato o pianto il fucile era carico. L’uomo ha iniziato a spogliarsi. Il ragazzo, anche se era terrorizzato, è riuscito a prendere il fucile e a sparagli, poi è fuggito…”

L’aggressore è morto. I familiari del ragazzo hanno riferito quanto accaduto alle autorità locali. Lasciati senza protezione, sono stati aggrediti 48 ore dopo nella loro abitazione da miliziani colleghi dell’aggressore. Una persona è morta e tre sono state ferite in modo grave.

Per due settimane le autorità locali hanno tenuto in carcere il ragazzo, suo padre e due fratelli a scopo di protezione da ulteriori vendette.

Minorenni vulnerabili

Il terzo caso riguarda un bambino di otto anni stuprato due volte tra giugno e ottobre 2018 dal figlio di un imam legato al partito Islah e da un amico del primo. La madre ha raccontato quanto da allora sia cambiato il comportamento del figlio, che molto spesso scoppia in lacrime. Prima era uno dei più bravi a scuola, mentre ora non riesce a tenere una penna in mano né a scrivere. Ha disturbi del sonno e ha crisi di urla e di pianto incontrollabili.

“Mio figlio mi ha detto che il figlio dell’imam lo ha chiuso nel gabinetto della moschea, gli ha tappato la mano con la bocca e ha iniziato a spogliarlo. Dopo aver finito, ha chiamato l’amico che ha fatto la stessa cosa a mio figlio”, ha riferito la madre.

Secondo i referti medici esaminati da Amnesty International, da allora il bambino presenta difficoltà motorie, mancanza di concentrazione e una commozione cerebrale conseguenza delle ripetute percosse.

Amnesty International ha anche parlato col padre di un ragazzo di 13 anni, stuprato dagli stessi due uomini nella medesima moschea.

“Queste violenze orribili dimostrano quanto i minorenni siano diventati vulnerabili durante il conflitto armato, con le istituzioni e i meccanismi di protezione collassati, in un vuoto nel quale l’abuso e lo sfruttamento possono prosperare. Il tutto è esacerbato dall’assenza di legge. Ogni ritardo nel portare di fronte alla giustizia i responsabili di questi attacchi può mettere a rischio altri minorenni”, ha sottolineato Morayef.

“Le autorità yemenite, con l’aiuto delle organizzazioni umanitarie presenti nel paese, dovranno fornire sostegno, cure mediche e supporto psicologico alle vittime e alle loro famiglie”, ha proseguito Morayef.

Come in altre situazioni di conflitto, la dimensione della violenza sessuale in Yemen resta sottostimata. Non esistono dati pubblici recenti su quella contro i minorenni. Secondo il Fondo delle Nazioni Unite sulla popolazione, 60.000 donne sono a rischio di subire violenza sessuale, compreso lo stupro. Sempre secondo le Nazioni Unite, la violenza sessuale contro i ragazzi e gli uomini adulti è comune ma assai poco denunciata.

Necessario agire subito

Da qualche mese le istituzioni e il sistema giudiziario dello Yemen, che non funzionavano da anni, sono stati riattivati nel sud del paese iniziando a gestire un piccolo numero di casi.

Secondo la famiglia del 12enne scampato allo stupro, gli autori dell’attacco per vendetta non sono stati arrestati e la famiglia è stata costretta a lasciare Ta’iz, chiudendo la piccola attività commerciale. Allo stesso modo, nessuno è stato arrestato per lo stupro del ragazzo di 16 anni e il miliziano sospettato rimane a piede libero. In relazione agli altri due casi, altrettanti civili sono detenuti in attesa del processo.

“Sollecitiamo indagini rapide, approfondite, indipendenti e imparziali su tutti questi casi. Coloro nei confronti dei quali vi siano prove sufficienti dovrebbero essere sottoposti a un processo equo, senza ricorso alla pena di morte o ad altre pene crudeli, inumane e degradanti”, ha concluso Morayef.

La legge yemenita prevede la pena di morte per gli autori di violenze sessuali. Amnesty International tuttavia si oppone alla pena capitale in ogni circostanza e senza eccezioni.

La Convenzione sui diritti dell’infanzia, ratificata dallo Yemen nel 1991, obbliga gli stati parti a prendere tutte le misure appropriate per proteggere i minorenni da ogni forma di violenza fisica o psicologica, compresa la violenza sessuale.

Ulteriori informazioni

Dal 2015 Ta’iz è stata al centro di intermittenti quanto pesanti scontri tra le forze huthi e un amalgama di forze anti-huthi fedeli alla coalizione a guida saudita e al governo yemenita. Gli scontri si sono intensificati durante il 2018.

Quattro anni di conflitti hanno portato alla proliferazione di milizie pro-coalizione saudita e filogovernative, le principali delle quali sono affiliate al partito Islah o a gruppi salafiti. Pur stando teoricamente dalla stessa parte, queste milizie hanno agende in conflitto e si scontrano frequentemente tra loro.

Roma, 11 marzo 2019

Per interviste:

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