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Il 7 aprile il Ruanda ha avviato le commemorazioni del genocidio dal 1994. In soli 100 giorni, tra aprile e luglio di quell’anno, in Ruanda furono uccise oltre 800.000 persone, in maggioranza tutsi, nel tentativo del governo ruandese in carica di eliminare il loro gruppo etnico. Tra le vittime vi furono anche hutu che si opponevano al genocidio.
Quel genocidio fu pianificato. Il governo ad interim che assunse il potere dopo che l’aereo del presidente Juvenal Habyarimana esplose in volo sui cieli della capitale Kigali, demonizzò intenzionalmente la minoranza tutsi, scegliendo di manipolare ed esacerbare le tensioni già in atto e ricorrendo all’odio nel tentativo di rimanere al potere.
All’indomani del genocidio i tribunali di comunità, conosciuti come gacaca, hanno processato oltre due milioni di persone. Il Tribunale penale internazionale per il Ruanda ha condannato 62 persone, tra cui ex alti funzionari del governo e altre persone che ebbero un ruolo di primo piano nel genocidio.
“In questo tremendo anniversario, siamo accanto alle vittime, alle loro famiglie e ai sopravvissuti nella loro pena e nel loro dolore – ha commentato in una nota ufficiale Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International –. Ricordare deve servire a risvegliare le nostre coscienze e a sollecitare la nostra comune umanità. Siamo tutti esseri umani con gli stessi diritti umani e desiderosi di vivere liberi dalla violenza e dalla repressione“, ha proseguito Naidoo.
L’aumento delle politiche di demonizzazione, documentate ampiamente dal lavoro dei nostri ricercatori sul campo, continuano a erodere gravemente i diritti umani. Esponenti politici cercano di vincere le elezioni a ogni costo inventando in modo cinico e sistematico capri espiatori sulla base dell’identità – religiosa, etnica, razziale o sessuale -, spesso per distrarre l’opinione pubblica dall’incapacità dei governi di garantire quei diritti umani che assicurerebbero la sicurezza economica e sociale. Questo ha dato luogo a pericolose narrative del “noi contro loro“, instillando paura e repressione a scapito dell’umanità e del rispetto per i diritti umani.
Nei 25 anni successivi al genocidio, il mondo ha assistito a innumerevoli crimini di diritto internazionale, spesso provocati dalle stesse tattiche di esclusione e demonizzazione usate nel 1994 dal governo ruandese alla vigilia del genocidio.
“Troppo spesso la coscienza dei leader mondiali si desta vergognosamente dopo atrocità di massa – ha aggiunto Naidoo –; poi le notizie cambiano e gli esponenti politici riprendono rapidamente a spargere esattamente quella retorica odiosa e disumanizzante che alimenta quegli eventi orribili“.
In Myanmar, nel 2017, dopo decenni di discriminazione e persecuzione della minoranza rohingya, prevalentemente musulmana, oltre 700.000 persone sono state costrette a fuggire in Bangladesh a seguito di una crudele campagna di pulizia etnica portata a termine dalle forze armate.
Migliaia di persone di etnia rohingya sono state uccise, stuprate, torturate e sottoposte a ulteriori violazioni dei diritti umani. Opportunamente, le Nazioni Unite hanno chiesto che alti ufficiali dell’esercito di Myanmar siano chiamati a rispondere di crimini contro l’umanità e genocidio. L’Ufficio della procuratrice del Tribunale penale internazionale ha deciso a sua volta di avviare un’indagine preliminare.
In un anno nel quale si svolgeranno molte elezioni – tra cui quelle in India e per il Parlamento europeo – che spesso sono il detonatore per le politiche di demonizzazione, i leader mondiali devono impegnarsi a fare politica in modo diverso.
“Dopo il genocidio in Ruanda il mondo concordò che l’odio e le politiche divisive non sarebbero mai più stati tollerati. Invece, di volta in volta, abbiamo assistito con mortificato orrore a ulteriori atrocità di massa. Dovremmo apprendere da queste tragedie, come pare stia facendo la Nuova Zelanda, praticando una politica più gentile che metta in primo piano la nostra comune umanità e ci faccia elogiare le nostre differenze“, ha concluso Naidoo.