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Dal 30 ottobre al 3 novembre, Maryam Al-Khawaja, nota attivista per i diritti umani bahreinita, vicedirettrice del Centro per i diritti umani in Bahrein e protagonista delle manifestazioni di protesta durante la ‘primavera del Bahrein’, sarà in Italia.
Maryam Al-Khawaja è in Italia, in occasione di ‘Io sono la voce‘, la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi tramite SMS solidale al 45509. I fondi raccolti grazie a questa iniziativa consentiranno ad Amnesty International di stare accanto alle donne del Medio Oriente e del Nordafrica, sostenerle e proteggerle dalla discriminazione e dalla violenza nonché porre l’attenzione sui diritti delle donne a rischio in paesi come Iran, Siria, Tunisia, Arabia Saudita, Egitto e Bahrein.
Maryam Al-Khawaja
Maryam Al-Khawaja è un’attivista per i diritti umani del Bahrein. Ha partecipato alle manifestazioni per le riforme sin dall’inizio del 2011 ed è diventata una delle leader del movimento di protesta. Usa Twitter e prende parte a conferenze in tutto il mondo per raccontare quello che sta succedendo nel suo paese. È vicepresidente del Centro per i diritti umani del Bahrein.
È nata in Siria da Abdulhadi Al-Khawaja, attivista per i diritti umani bandito dalle autorità del Bahrein dalla metà degli anni ‘80, e Sayyida Khadija Almousawi. Quando aveva due anni, alla sua famiglia è stato concesso asilo politico in Danimarca, dove ha vissuto fino al 2001, quando tutta la famiglia ha potuto far ritorno in Bahrein.
Dopo la laurea presso l’Università del Bahrein nel 2009, ha trascorso un anno negli Stati Uniti con una borsa di studio Fulbright presso la Brown University. Dopo il suo rientro in patria, a metà del 2010, si è unita al Centro per i diritti umani del Bahrein, cofondato dal padre, dove gestisce l’ufficio relazioni con l’estero e ne è vicepresidente.
Il 22 giugno 2011 suo padre, Abdulhadi Al-Khawaja, è stato condannato all’ergastolo da un tribunale militare con l’accusa di “organizzazione e gestione di un gruppo terroristico” per il ruolo svolto durante le proteste in Bahrein e a causa del suo attivismo per i diritti umani.
Dopo aver preso parte alle prime manifestazioni per le riforme e la democrazia nel 2011, ha avviato un giro di conferenze all’estero, intervenendo anche a Ginevra, al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite.
Nel corso del 2012 ha partecipato all’ US-Islamic World Forum dove ha incontrato il Segretario di stato Usa Hillary Clinton. Ha poi preso parte al Freedom Forum di Oslo e a un’udienza sui diritti umani in Bahrein al Congresso degli Stati Uniti.
Prima della rivolta, era su Twitter con non più di 30 follower. Ora ne ha oltre 65.000 e ha inviato più di 18.000 tweet, attraverso i quali fornisce in tempo reale informazioni preziose sulle proteste, spesso trascurato dalle agenzie e dai media internazionali.
La situazione dei diritti umani in Bahrein
Le manifestazioni della ‘primavera del Bahrein’ sono state duramente represse sin dall’inizio, grazie anche al sostegno delle truppe inviate dall’Arabia Saudita. Decine di manifestanti sono stati uccisi nel corso del 2011.
Secondo l’organizzazione non governativa Phisycians for human rights, nei 100 anni di storia dell’uso dei gas lacrimogeni, nessun paese ha attaccato così continuativamente il suo popolo con questi agenti chimici tossici.
Nonostante avesse nominato una Commissione indipendente d’inchiesta e si fosse impegnato ad accettarne conclusioni e raccomandazioni, il re ha concesso riforme puramente di facciata. Ad esempio, alla fine del 2011 è stato deciso che gli imputati civili non sarebbero stati più processati dalle corti marziali, ma tanto in appello quanto in cassazione difensori dei diritti umani, giornalisti, operatori sanitari, insegnanti si sono visti infliggere dure condanne, anche all’ergastolo.
Nabeel Rajab, presidente del Centro per i diritti umani del Bahrein, sta scontando una condanna a tre anni di carcere per manifestazione non autorizzata. In precedenza, aveva trascorso mesi in carcere per aver pubblicato un tweet giudicato offensivo nei confronti del ministro dell’Interno.
Tra i prigionieri di coscienza figura il noto difensore dei diritti umani Abdulhadi Al-Khawaja, che ha anche nazionalità danese, condannato all’ergastolo. Una delle sue figlie, Zaynab, entra ed esce dal carcere a causa del suo attivismo e di estemporanei sit-in di protesta non autorizzati. Ha di fronte a sé numerosi processi e ha recentemente trascorso due mesi in carcere per ‘danneggiamento di proprietà dello stato’, ossia aver strappato una foto del re. Un’altra figlia di Al-Khawaja, Maryam, è impegnata in un ciclo di conferenze internazionali per denunciare la situazione dei diritti umani nel paese.
Il 1° ottobre la Corte di cassazione ha confermato le condanne di nove operatori sanitari per il ruolo svolto nelle proteste del 2011. Ali ‘Esa Mansoor al’Ekri è stato condannato a cinque anni, Ebrahim Abdullah Ebrahim al-Dumistani a tre anni, Ghassan Ahmed ‘Ali Dhaif, Sa’eed Mothaher Habib al Samahiji a un anno, Mahmood Ashghar ‘Abdulwahab a sei mesi, Dhia Ibrahim Ja’far a due mesi, Bassim Ahmed ‘Ali Dhaif, Nader Mohammed Hassan Dewani e Abdulkhaleq ‘Ali Hussain al-‘Oraibi a un mese.
L’ultima condanna risale al 21 ottobre 2012, quando due ex dirigenti del Sindacato degli insegnanti del Bahrein si sono visti confermare la condanna in un processo d’appello. Mahdi ‘Issa Abu Dheeb è stato condannato a cinque anni di prigione, Jalila Al-Salman – assente durante l’annuncio del verdetto – a sei mesi. La sentenza d’appello ha ridotto le condanne emesse in primo grado, in cui ai due insegnanti erano stati rispettivamente inflitti 10 e tre anni di carcere.
Abu Dheeb e Al-Salman erano stati arrestati nel corso di uno sciopero degli insegnanti, nei primi mesi del 2011. Tenuti in stato d’isolamento e, a loro dire, costretti a firmare sotto tortura confessioni che non avevano neanche letto, erano stati processati e condannati da un tribunale militare per avere, tra le altre cose, indetto uno sciopero degli insegnanti in qualità di vicepresidente e presidente dell’associazione di categoria, bloccando il sistema dell’istruzione, ‘incitando all’odio contro il regime’ e ‘tentando di rovesciare il sistema vigente con la forza’.
Da allora, Abu Dheeb ha già trascorso circa 18 mesi in prigione, mentre Al-Salman ne ha passati cinque e mezzo, prima di essere rilasciata su cauzione. Amnesty International considera Abu Dheeb un prigioniero di coscienza e considererà allo stesso modo Al-Salman se ritornerà in carcere.