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La Corte suprema del Pakistan ha deciso di confermare la sentenza di assoluzione per Aasia Bibi, la contadina cristiana condannata a morte nel 2010 per blasfemia.
Oggi 51enne e madre di cinque figli, Aasia Bibi era stata arrestata nel 2009 a seguito di un alterco tanto banale quanto esemplificativo del clima in cui vivono le minoranze religiose in Pakistan: nel villaggio di Ittanwali, nel Punjab, due donne musulmane avevano rifiutato di prendere l’acqua dallo stesso pozzo dal quale l’aveva appena presa Aasia Bibi (e pertanto diventata imbevibile in quanto “impura”). Da qui il litigio, del quale l’imam della moschea di Ittanwali – che non aveva assistito al fatto – divenne il testimone cardine della presunta “offesa all’Islam”.
Così, nel 2010, venne emessa la condanna a morte per blasfemia, confermata in appello nel 2014 e poi sospesa nel 2015.
Le leggi sulla blasfemia sono vaghe, generiche e coercitive. Vengono usate per prendere di mira le minoranze religiose, compiere atti di violenza e perseguire vendette private. Le persone accusate, spesso sulla base di prove inesistenti, fanno fatica a veder riconosciuta la loro innocenza mentre gruppi di facinorosi minacciano le forze di polizia, i testimoni, i procuratori, gli avvocati e i giudici.
L’avvocato di Aasia Bibi, Saiful Malook, musulmano, è riuscito a convincere la Corte Suprema dell’infondatezza dell’accusa.
Alla fine di ottobre del 2018 la Corte suprema ha così assolto Aasia Bibi da ogni accusa e ordinato il suo rilascio immediato.
Di fronte alle proteste e alle minacce di parte dell’opinione pubblica, il governo aveva fatto un passo indietro, impedendo ad Aasia Bibi di lasciare il paese fino a quando la Corte suprema non avesse esaminato la richiesta di revisione del caso. Da allora, la donna era rimasta sotto protezione.
Oggi la notizia della completa assoluzione: Aasia Bibi è libera!
“Aasia Bibi deve finalmente tornare in libertà e il suo incubo deve finire. Dopo nove anni dietro le sbarre per un reato non commesso, è difficile considerare il verdetto di oggi come una sorta di giustizia. Ma almeno questo le dovrebbe consentire di riunirsi con la sua famiglia e di cercare riparo in uno stato di sua scelta”, ha dichiarato Rimmel Mohydin, responsabile delle campagne di Amnesty International sull’Asia meridionale.
“Le autorità pachistane devono respingere e indagare sui tentativi di intimidire la Corte suprema. Devono proteggere le minoranze religiose, i giudici e gli altri rappresentanti del governo da ogni minaccia di violenza”.
“Il vergognoso ritardo nel ripristinare i diritti di Aasia Bibi rende ancora più necessario l’annullamento, nei tempi più rapidi possibili, delle leggi sulla blasfemia e di ogni altra norma che discrimini le minoranze religiose e ponga le loro vite a rischio”.