Al centro della guerra e della lotta per l’eguaglianza

31 Gennaio 2024

Tempo di lettura stimato: 4'

L’articolo è stato curato da Martina Chichi, Ufficio campagne.

Stasya e Alina sono attiviste Lgbtqia+ che vivono a Kharkiv, la prima lavora in una Ong, la seconda nell’esercito.

“Ci siamo conosciute dopo l’inizio dell’invasione russa su larga scala” racconta Alina. “Ero stata mandata in servizio nella regione di Kharkiv, ma Stasya in quel momento aveva dovuto lasciare la città a causa dei bombardamenti. Per un mese ci siamo scambiate messaggi, poi mi ha raggiunta per qualche giorno e infine è tornata a vivere a Kharkiv, così ci saremmo potute vedere più spesso. Quello è stato il momento in cui ho capito che era lei, era la donna che amavo”.

E così, nel mezzo di una guerra, hanno deciso di sposarsi.

Non delle vere nozze, anche se avrebbero voluto, perché in Ucraina il matrimonio egualitario non è consentito: anche se vivono insieme, condividendo speranze e preoccupazioni, il loro legame non ha alcun valore di fronte alla legge. Allora si sono vestite per l’occasione, così come le persone invitate a prendere parte alla cerimonia e hanno scattato foto che erano sui media ucraini ancora prima della conclusione dell’evento, per far discutere sul tema.

“Lo stato garantisce diritti in modo selettivo: esercitiamo i nostri doveri come chiunque altro, ma se Alina, per esempio, dovesse finire in un’unità di terapia intensiva in ospedale, non potrei visitarla. Mi capita di pensare a cosa capiterebbe se una di noi morisse”.

In Ucraina molte persone preferiscono non fare coming out, temendo per la propria sicurezza e incolumità, nonostante questo la visibilità della comunità Lgbtqia+ sta aumentando e sono sempre di più coloro che scelgono di esprimere pubblicamente il proprio orientamento affettivo e sessuale e la propria identità di genere. Stasya racconta che questo processo è iniziato con la pandemia: “Poco dopo la diffusione del Covid, ho chiesto a due persone che hanno iniziato a frequentare regolarmente il centro Lgbtqia+ dove lavoro come mai avessero deciso di venire.
Mi hanno detto che erano stanche di nascondersi, sarebbero potute morire da un momento all’altro a causa della pandemia e allora hanno scelto di essere se stesse”.

Anche l’opinione pubblica contraria alle forme di discriminazione subite dalla comunità Lgbtqia+ si sta ampliando: nell’ultimo sondaggio condotto dall’International Institute of Sociology, tra maggio e giugno 2023, il 67 per cento delle persone intervistate si dichiarava a favore di pari diritti, un’incidenza che negli anni è aumentata gradualmente. “Dobbiamo essere noi a percorrere questo sentiero, come società”, conclude l’attivista.

“Per adesso, costruiamo il nostro futuro”.

 

Questo articolo è stato pubblicato sulla nostra rivista I Amnesty.

Scarica I Amnesty in formato digitale!