Ancora vittime a Gaza

2 Luglio 2018

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di Azzurra Meringolo, giornalista Giornale Radio Rai

Per alcuni, Jalal è un gazawy insolito. Ha un buon lavoro, una bella famiglia e tante cose da realizzare nella vita. Ecco perché sua moglie è diventata furiosa quando lui le ha comunicato che avrebbe partecipato, con la figlia maggiore, all’ennesima marcia del venerdì lungo il confine tra la Striscia e Israele.

Per altri invece, Jalal è un tipico gazawy. Come i due terzi dei cittadini della Striscia, è un discendente dei rifugiati palestinesi della guerra del 1948. È per questo che si batte per quel diritto al ritorno che nessuna negoziazione, bilaterale e internazionale, è riuscita nei fatti a garantire ai palestinesi.

Uno dei nodi più caldi del conflitto in corso da decenni, che ha assunto ancora più valore dal 30 marzo 1976, quando il governo di Israele ha annunciato il sequestro di centinaia di ettari di terra araba in Galilea.

Rispondendo all’appello del partito comunista Rakah, la locale comunità araba israeliana iniziò a protestare, arrivando a bloccare le principali vie di comunicazione. Per sedare le manifestazioni, Israele rispose con la violenza, uccidendo sei palestinesi.

Da qual giorno, il 30 marzo è ricordato come “Il giorno della terra”, occasione in cui in diverse località palestinesi si rivendica il diritto al ritorno.

Quest’anno la “Grande marcia del ritorno” del 30 marzo è partita da Gaza, una striscia di terra sotto assedio, che negli ultimi 11 anni è stata attraversata da tre guerre. Una prigione a cielo aperto, controllata da Egitto e Israele, che la tengono serrata.

Un fazzoletto di terra densamente popolato da giovani che lottano con la disoccupazione (il 60 per cento degli under 25 non ha un lavoro), con un’acqua imbevibile che causa il 26 per cento delle malattie, con la mancanza di medicine e con l’elettricità disponibile solo a ore alterne.

Non abbiamo più nulla per curare i pazienti. Se non aprono i con- fini per fare passare i convogli umanitari non sapremo più come operare”, ha detto il direttore dello Shifa, il più grande ospedale della Striscia, alla vigilia della seconda marcia del ritorno, ribattezzata dai gazawi i “venerdì delle gomme”, perché bruciando i copertoni hanno creato una folta nebbia nera, che ha impedito ai soldati israeliani al di là del confine di intercettare le loro mosse.

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