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Un giorno che nessuno dimenticherà. Era il 7 ottobre del 2006, il giorno del compleanno dell’attuale primo ministro russo Vladimir Putin: Anna Politkovskaja venne uccisa con quattro colpi di pistola nell’ascensore del condominio dove abitava, nel centro di Mosca. Stava tornando a casa dopo aver fatto un po’ di spesa. L’omicidio della giornalista, nota in tutto il mondo per la sua attività di denuncia dei crimini del governo russo, ebbe un grande risalto sulla stampa internazionale.
A partire dal 1999 Politkovskaja aveva cominciato a seguire il conflitto in Cecenia per il periodico indipendente Novaja Gazeta. Il suo impegno in difesa dei diritti umani, i reportage dalle zone di guerra e la sua opposizione alle derive autoritarie del governo di Vladimir Putin le valsero il Global award di Amnesty International per il giornalismo in difesa dei diritti umani nel 2001, e il premio dell’Osce per il giornalismo e la democrazia nel 2003.
Il suo valore di giornalista indipendente era riconosciuto in tutto il mondo. Molto meno in Russia, dove ripetutamente si cercava di farla tacere con minacce e vere e proprie violenze.
“La Russia di Putin” è il libro-inchiesta della Politkovskaja del 2005, sul governo e sulla Russia dei primi anni Duemila.
Il 9 giugno del 2014 si è concluso il processo ai sicari ceceni colpevoli dell’esecuzione materiale dell’omicidio, con dure condanne per tutti gli imputati e due ergastoli. Il processo non è stato in grado, tuttavia, di identificare i mandanti.
Nel 2009 il settimanale Internazionale e il comune di Ferrara hanno istituito il Premio Anna Politkovskaja, per commemorare la vita della giornalista russa e sostenere l’impegno e il coraggio di giovani reporter che nel mondo si sono distinti per le loro inchieste.
La vicenda in cui Politkovskaja lavorò più a fondo, e che le fece guadagnare notorietà anche fuori dal suo paese, fu il conflitto armato in Cecenia e nella vicina Inguscezia (entrambe repubbliche autonome all’interno della Federazione Russa).
Fu proprio l’interesse per i rifugiati a portarla in Cecenia quando, alla fine degli anni Novanta, ricominciarono gli scontri violenti e il pesante coinvolgimento dell’esercito russo. Inizialmente era convinta delle buone ragioni della Russia, e della giusta causa di un intervento armato per combattere le forze indipendentiste della autoproclamata Repubblica di Ichkeria che aveva il controllo del paese.
Ma con il suo lavoro sul campo testimoniò in prima persona gli abusi del Servizio di Sicurezza Federale (FSB), i servizi segreti interni continuatori del KGB sovietico, e del GRU, i servizi segreti militari, che avevano il controllo delle operazioni (ufficialmente, infatti, il conflitto ceceno era gestito dalla Russia come un’operazione di antiterrorismo).
L’assassinio di Anna Politkovskaja ha sconvolto l’opinione pubblica mondiale, ma in Russia non fu un fulmine a ciel sereno.
La Politkovskaja era una delle firme di spicco di Novaya Gazeta. Nelle sue inchieste sulla Cecenia, controllata dal leader filo-russo Ramzan Kadyrov, la giornalista ha denunciato abusi e atrocità commessi dalle forze armate russe.
I suoi articoli sono stati una calamita di minacce, anche di morte. La reporter fu addirittura vittima di un sequestro, nel 2001, ad opera di alcuni soldati russi (gettata in una buca è stata spaventata con una finta esecuzione).
Ma l’episodio più noto è il tentativo di avvelenamento con un tè che le servirono a bordo di un aereo, durante il viaggio verso l’Ossezia del Nord, per seguire l’assedio alla scuola di Beslan, dove combattenti armati stavano sequestrando centinaia di persone per chiedere il ritiro dell’esercito russo dalla Cecenia.
La maggior parte degli organi d’informazione sono rimasti sotto l’effettivo controllo dello stato e sono stati utilizzati dalle autorità per denigrare difensori dei diritti umani, oppositori politici e altre voci dissenzienti.
In tutto il paese, i leader delle proteste e gli attivisti politici che supportavano le voci critiche hanno subìto vessazioni, procedimenti amministrativi e penali e violenze fisiche da parte di attivisti filogovernativi e di individui non identificati ritenuti essere funzionari della sicurezza o altri che agivano in collusione con questi.
Con un ulteriore giro di vite sulla libertà d’espressione online, tra le altre nuove misure restrittive, le autorità hanno messo al bando i software anonimizzatori e le reti virtuali private. A maggio, il presidente ha approvato la strategia per lo sviluppo della società dell’informazione per il 2017-2030, che stabiliva “la priorità dei valori etico-spirituali tradizionali russi” nell’uso dell’informazione e delle tecnologie di comunicazione.
La legislazione contro l’estremismo è stata ulteriormente estesa e impiegata arbitrariamente contro la libertà di parola. Ad agosto, il Comitato Cerd delle Nazioni Unite ha espresso preoccupazione perché questa veniva utilizzata per mettere a tacere persone appartenenti a gruppi soggetti a discriminazione e ha nuovamente raccomandato che la legislazione contenesse una definizione legale chiara di estremismo e venisse abbandonata la lista federale di materiali estremisti.