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Amnesty International chiede al re saudita Salman bin Abdulaziz il rilascio, a due anni dal loro arresto, delle difensore dei diritti umani delle donne.
Il 15 maggio del 2018, molte note attiviste saudite dei diritti umani delle donne sono state arrestate. Per anni si sono fatte portavoce del diritto delle donne del paese a guidare e hanno anche sostenuto riforme più ampie, come quella del sistema del tutore maschile.
Nei giorni e nelle settimane seguenti, molti altri attivisti pacifici sono stati arrestati nel quadro della stretta repressiva e della campagna diffamatoria condotta delle autorità saudite.
“È straziante vedere che queste donne coraggiose dopo due anni sono ancora in prigione, soprattutto mentre le donne saudite godono dei diritti appena ottenuti e per i quali si sono battute così duramente“, ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International.
“In prigione, molte di loro hanno sofferto psicologicamente e mentalmente e hanno anche subito torture, abusi sessuali e isolamento. Molte altre, sebbene siano state rilasciate, devono affrontare processi per accuse relative al loro attivismo pacifico“, ha aggiunto Lynn Maalouf.
“È ora che le autorità saudite smettano di utilizzare il sistema giudiziario come una spada di Damocle sulle teste degli attivisti. La riforma del diritto alla guida non può essere considerata credibile fino a quando queste donne e gli altri attivisti pacifici saranno ancora un bersaglio a causa del loro impegno“, ha concluso Lynn Maalouf.
Amnesty International chiede all’Arabia Saudita di rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutti i prigionieri di coscienza e i difensori dei diritti umani detenuti esclusivamente per l’esercizio pacifico della propria libertà di espressione, associazione e assemblea.
Ulteriori informazioni
Attualmente 13 attiviste per i diritti delle donne restano sotto processo per le accuse relative al loro attivismo per i diritti umani. Cinque sono ancora in carcere: Loujain al-Hathloul, Samar Badawi, Nassima al-Sada, Nouf Abdulaziz e Maya’a al-Zahrani; altre otto attiviste sono state provvisoriamente rilasciate. Sono ancora tutte sotto processo e molte rischiano di essere condannate al carcere ai sensi della legge contro i reati informatici per la loro attività per i diritti umani.
Le otto sono: Iman al-Nafjan, Aziza al-Yousef, Amal al-Harbi, Dr Ruqayyah al-Mharib, Shadan al-Anezi, Dr. Abir Namankni, Dr Hatoon al-Fassi, e un’altra attivista di cui non si conosce il nome.
Almeno 10 attivisti hanno subito violazioni dei diritti umani durante il loro periodo di detenzione: torture, abusi sessuali e altre forme di maltrattamento. Per i primi tre mesi della loro detenzione, le donne sono state detenute in incommunicado con nessun contatto con la famiglia o gli avvocati. Molte sono state anche soggette a prolungati periodi di isolamento.