Arabia Saudita: lettera di Samar Badawi

14 Aprile 2015

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Samar Badawi è la moglie dell’avvocato saudita per i diritti umani Waleed Abu al-Khair e la sorella del blogger Raif BadawiEntrambi sono prigionieri di coscienza.

Le parole non sono sufficienti per esprimere il profondo orgoglio che provo per mio marito, l’uomo che ha creduto in me e nella mia causa quando ero in prigione. Era il mio avvocato, mi ha difeso e non mi ha mai lasciata sola di fronte a coloro che cercavano ingiustamente d’imporre la loro autorità patriarcale contro una donna che aveva osato prendere la parola. In quell’occasione, tutti mi voltarono le spalle, a parte mio marito che rimase al mio fianco fino a quando non riuscì a ottenere giustizia.
È sempre stato il mio punto fermo nei momenti di debolezza, la mia forza e la mia fonte di motivazione e d’ispirazione.

Mi ha insegnato che una persona nasce libera e sta a lei vivere libera o morire cercando di ottenere quella libertà. Non c’è posto nel mondo moderno per la schiavitù, salvo quando si serve Dio, l’unico e il solo.

Ora, mio marito vive in libertà, anche se dietro le sbarre insieme ai suoi colleghi Abdullah al-Hamid, Mohammad al-Qahtani e a molti altri attivisti imprigionati solo per aver esercitato il loro diritto alla libertà d’espressione. La mia vita con lui può essere descritta come un meraviglioso libro: il suo titolo è la resistenza, le sue pagine sono piene di impegno e di lotta, la sua parola finale è libertà.

Eccomi qui, mio adorato marito, mettendo in pratica ciò che ho appreso dal libro della nostra vita. Sarò per sempre determinata, resisterò mentre tu sei in prigione, continuerà la mia lotta fino a quando il cuore non finirà di battere, non mi arrenderò fino a quando non ti riavrò qui, sotto il nostro tetto. Crederò per sempre nella nostra libertà che hai trascorso tutta la vita a difendere. Sappi, caro marito, che sono la tirannia e l’oppressione che ti hanno messo in prigione.

In Arabia Saudita coloro che scelgono di regnare in nome dell’Islam e delle leggi della shari’a trattano quella giurisprudenza come semplice inchiostro su un pezzo di carta. Coloro che pretendono di usare la religione per proteggermi sono le stesse persone che mi hanno tolto benessere e sicurezza. In questo regno, coloro che dovrebbero essere al servizio della giustizia hanno deciso che l’oppressione dovesse essere un motivo di celebrazione. Ecco, allora, alcune parole per loro.

A quei governanti e quei giudici che hanno ingiustamente imprigionato la libertà e ridotto in schiavitù le persone, dico di stare attenti al giudizio che riceverete dall’alto dei cieli. Guai a voi, che avete terrorizzato gente orgogliosa.

Ai miei connazionali sauditi, sappiate che mio marito è stato imprigionato perché voi poteste essere liberi. Si è opposto al tiranno per reclamare i vostri diritti. Ha affrontato i suoi oppressori dicendo loro che non avrebbe tollerato la repressione.

Ricordate: la storia non dimentica, la storia rende ragione a coloro che lottano per la libertà e cancella il ricordo di coloro che si sono arresi a una vita di umiliazione e servitù.

Le mie ultime parole sono per la nostra piccola Joud. Non sentirti triste perché sei nata mentre il tuo papà era in carcere. Siine orgogliosa, invece, e cammina con la testa alta. Il mondo intero ti ammira per il padre che hai, anche se la sua stessa patria gli si è rivoltata contro. Il futuro attende che tu continui la lotta di tuo padre. In questo modo lo renderai ancora più orgoglioso di quanto non sia già ora. Crescerai come un esempio, presto sarai conosciuta come Joud la libera, Joud la ribelle, Joud la resistente: Joud Waleed Abu al-Khair.”