Arabia Saudita: manifestanti e riformisti presi di mira in nome della sicurezza

1 Dicembre 2011

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In un nuovo rapporto diffuso oggi e intitolato ‘Repressione in nome della sicurezza‘, Amnesty International ha denunciato come, negli ultimi nove mesi, le autorità dell’Arabia Saudita abbiano inasprito la repressione, prendendo di mira col pretesto della sicurezza manifestanti e sostenitori delle riforme.

Il rapporto dell’organizzazione per i diritti umani afferma che centinaia di persone sono state arrestate per aver preso parte a manifestazioni e che il governo ha elaborato una bozza di legge antiterrorismo che, se adottata, equiparerebbe il dissenso a un ‘reato di terrorismo’, limitando ulteriormente i diritti delle persone accusate di tale crimine.

Gli arresti hanno preso di mira manifestanti pacifici e sostenitori delle riforme politiche con l’intento di ridurre al silenzio le richieste di cambiamento che provengono da ogni parte di quella regione del mondo‘ – ha dichiarato Philip Luther, direttore ad interim di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. ‘Pur se le giustificazioni per questa ampia repressione possono essere differenti da un caso all’altro, le pratiche arbitrarie portate avanti dal governo saudita suonano sinistramente simili a quelle adottate da molto tempo nei confronti delle persone accusate di terrorismo‘.

Il rapporto di Amnesty International rileva come il governo continui a tenere in carcere migliaia di persone, molte delle quali senza accusa né processo, per motivi legati al terrorismo. La tortura e i maltrattamenti durante la detenzione continuano a essere ricorrenti.

Nell’aprile 2011, un portavoce del ministero dell’Interno ha reso noto che circa 5000 persone legate a un ‘gruppo deviazionista’, ossia al-Qaeda, erano state interrogate e rinviate a processo.

Da febbraio, si legge nel rapporto di Amnesty International, quando sfidando il divieto permanente di protesta sono iniziate sporadiche manifestazioni, il governo ha avviato una campagna repressiva che mandato in carcere centinaia di persone nella Provincia orientale, in maggior parte musulmani sciiti.
A partire da marzo, oltre 300 persone sono state arrestate ad al-Qatif, al-Ahsa e Awwamiya durante o subito dopo lo svolgimento di manifestazioni pacifiche. La maggior parte di esse è stata rilasciata, con l’impegno a non manifestare più. In molti casi, è stato imposto nei loro confronti il divieto di viaggiare.

In altre zone del paese, le autorità hanno tentato di soffocare le proteste con la minaccia, da parte del ministero dell’Interno, che sarebbero state prese ‘tutte le misure necessarie’ contro chi avrebbe cercato di ‘danneggiare l’ordine’.

Coloro che hanno avuto il coraggio di manifestare sono stati rapidamente arrestati, come il 40enne Khaled al-Johani, l’unico partecipante alla ‘Giornata della collera’ indetta l’11 marzo. Prima di allora, aveva dichiarato ai giornalisti di prevedere che sarebbe stato arrestato a breve e di essere stanco della censura in vigore nel paese.

Accusato di aver preso le parti di una protesta e di aver comunicato con mezzi d’informazione stranieri, al-Johani pare sia rimasto detenuto in totale isolamento per due mesi e che si trovi tuttora in carcere senza processo.

Altre persone che hanno sostenuto le proteste o le riforme sono state a loro volta arrestate. Lo sceicco Tawfik Jaber Ibrahim al-‘Amr, un religioso sciita, è stato arrestato ad agosto, per la seconda volta nel corso dell’anno, per aver parlato di riforme durante un discorso in una moschea. È stato incriminato per ‘aver incitato l’opinione pubblica’.

Il 22 novembre 16 uomini, tra cui nove noti riformatori, sono stati condannati a pene varianti dai cinque ai 30 anni di carcere da un tribunale speciale, per reati come costituzione di un’organizzazione segreta, tentativo di prendere il potere, incitamento contro il re, finanziamento del terrorismo e riciclaggio di denaro.

Il loro processo, accusa Amnesty International, è stato grossolanamente iniquo. Durante lo svolgimento, gli imputati sono rimasti bendati e ammanettati e i loro avvocati non hanno potuto prendere parte alle prime tre udienze.

A luglio, Amnesty International ha pubblicato il testo, di cui era entrata in possesso, di una bozza segreta di legge antiterrorismo, che consentirebbe alle autorità saudite di perseguitare pacifici dissidenti alla stregua di terroristi e permetterebbe l’allungamento della durata della detenzione senza accusa né processo.

Se questo testo venisse approvato senza emendamenti, tra i reati di terrorismo rientrerebbero ‘mettere in pericolo l’unità nazionale’ e ‘recare danno alla reputazione dello stato o alla sua posizione’. Mettere in discussione l’integrità del Re comporterebbe una pena minima di 10 anni di carcere.

Dopo che Amnesty International ha pubblicato la bozza di legge, le autorità saudite hanno bloccato per un breve lasso di tempo l’accesso al sito dell’organizzazione per i diritti umani e hanno affermato che le sue preoccupazioni erano ‘infondate, mere supposizioni senza fondamento’.

A meno che non venga profondamente modificata, la proposta di legge antiterrorismo renderà la situazione persino peggiore, in quanto renderà legali le peggiori pratiche che abbiamo già denunciato‘ – ha commentato Luther. ‘È assolutamente evidente che il governo saudita ha il dovere di proteggere le persone da attacchi violenti, ma è tenuto a farlo nei limiti stabiliti dal diritto internazionale‘.