Arabia Saudita: promesse vuote mentre si intensifica la repressione

20 Ottobre 2013

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(21 ottobre 2013)

L’Arabia Saudita è venuta meno da ogni punto di vista alle promesse di affrontare la disastrosa situazione dei diritti umani nel paese. È quanto ha dichiarato Amnesty International in occasione dell’Esame periodico universale (Upr) cui il Consiglio Onu dei diritti umani, il 21 ottobre 2013, ha sottoposto la monarchia del Golfo Persico.

Le autorità saudite non hanno attuato nessuna delle raccomandazioni accettate nel 2009, in occasione del precedente Upr. Anzi, secondo Amnesty International, negli ultimi quattro anni la repressione è proseguita e persino peggiorata con arresti arbitrari, processi iniqui, condanne, maltrattamenti e torture.

‘Le precedenti promesse fatte all’Onu dall’Arabia Saudita sono risultate solo chiacchiere. Il paese conta sulla sua influenza politica ed economica per dissuadere la comunità internazionale dal criticare la disastrosa situazione dei diritti umani’ – ha affermato Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.  ‘La comunità internazionale ha il dovere di chiamare l’Arabia Saudita a rendere conto di tutti gli attivisti pacifici arrestati arbitrariamente, torturati o imprigionati’.

In un documento sottoposto al Consiglio Onu dei diritti umani, Amnesty International ha denunciato la nuova ondata di repressione contro la società civile che ha avuto luogo negli ultimi due anni. Attivisti per i diritti umani e sostenitori di riforme politiche hanno subito misure repressive tra cui arresti arbitrari, detenzioni senza accusa o processo, processi iniqui e divieto di espatrio.

Tra le persone imprigionate per aver esercitato pacificamente i diritti alla libertà di espressione e associazione, ci sono i fondatori dell’Associazione saudita per i diritti civili e politici (Acpra). Nata nel 2009, è divenuta una delle più importanti organizzazioni indipendenti per i diritti umani nel paese.

Il 9 marzo 2013, due cofondatori dell’Acpra, Abdullah bin Hamid bin Ali al-Hamid e Mohammad bin Fahad bin Muflih al Qahtani, sono stati condannati rispettivamente a 10 e 11 anni di prigione;  altri cofondatori del gruppo sono stati arrestati. Il tribunale ha inoltre ordinato lo scioglimento dell’organizzazione, la confisca delle sue proprietà e la chiusura dei suoi account sui social media.

‘Questi uomini sono prigionieri di coscienza che dovrebbero essere rilasciati immediatamente e incondizionatamente. Il loro attivismo pacifico contro le violazioni dei diritti umani merita elogio non condanna. L’unico colpevole qui è il governo’-  ha commentato Luther.

Maltrattamenti e torture sono diffusi in Arabia Saudita e compiuti con impunità. Tra i metodi usati ci sono pugni, percosse con bastoni, sospensione al soffitto o alle porte delle celle tramite caviglie o polsi, scariche elettriche sul corpo, prolungata privazione del sonno e reclusione in celle gelide.

La pesante dipendenza dei tribunali da ‘confessioni’ spesso estorte tramite tortura, coercizione o inganno, ha rafforzato queste pratiche.

Un detenuto arrestato nel 2011 ha riferito ad Amnesty International di essere stato torturato per 10 giorni finché non ha accettato di firmare una ‘confessione’. Ha raccontato di essere stato costretto a stare in piedi per un periodo prolungato con le braccia alzate, picchiato con cavi elettrici, colpito al volto, alla schiena e allo stomaco e minacciato che sarebbe stato stuprato dagli altri prigionieri.

Molte di queste violazioni – contro difensori dei diritti umani, manifestanti, fedeli sciiti, uomini e donne comuni – hanno luogo col pretesto  delle misure di sicurezza o anti terrorismo.

Altre violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità saudite e documentate da Amnesty International comprendono:

 la sistematica discriminazione delle donne sia nella legge che nella prassi. Alle donne è richiesta l’autorizzazione di un ‘tutore’ per sposarsi, viaggiare, sottoporsi ad alcuni interventi chirurgici, intraprendere attività retribuite o accedere all’istruzione superiore. Alle donne è ancora vietato guidare;

– la condizione dei lavoratori migranti: non sono protetti dalle leggi sul lavoro e sono esposti a  sfruttamento e abusi dei datori di lavoro privati o pubblici;

– la discriminazione delle minoranze: i musulmani sciiti della Provincia orientale sono sottoposti ad arresti arbitrari e detenzioni quando sospettati di prendere parte o dare sostegno a manifestazioni o di esprimere critiche nei confronti dello stato;

– le esecuzioni basate su processi sommari e ‘confessioni’ estorte sotto tortura.  L’Arabia Saudita resta uno dei  cinque paesi in cui si esegue il maggior numero di condanne a morte. La pena capitale è applicata per molti reati non letali, quali adulterio, rapina a mano armata, apostasia, commercio di droga, rapimento, stupro, ‘stregoneria’ e ‘magia”;

– torture e altri maltrattamenti: le punizioni corporali, tra cui fustigazione e amputazione, sono inflitte frequentemente. In alcuni casi, la condanna per furto è l’amputazione della mano destra e quella per rapina è l’amputazione incrociata della mano destra e del piede sinistro. La fustigazione è obbligatoria per un numero di reati e le condanne possono variare da decine a decine di migliaia di frustate.