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Entro la metà dell’anno, con ogni probabilità in Arabia Saudita saranno state eseguite oltre 100 esecuzioni.
Quando mancano quattro giorni alla fine di maggio, le esecuzioni risultano già essere almeno 94. Il drammatico record del 2015, con almeno 158 persone messe a morte in un anno, rischia di essere superato alla fine del 2016.
L’aumento delle esecuzioni negli ultimi due anni risulta tanto più grave considerando le caratteristiche del sistema giudiziario saudita, che determinano condanne alla pena capitale al termine di processi iniqui basati su prove estorte con la tortura.
Tra i casi su cui Amnesty International sta svolgendo un’azione per scongiurare l’esecuzione c’è quello di Ali al-Nimr, nipote di Nimr al-Nimr, messo a morte il 2 gennaio 2016.
Arrestato quando era 17enne, Ali al-Nimr è esattamente da due anni nel braccio della morte, giudicato colpevole di “attacco alle forze di sicurezza” e “rapina a mano armata” al termine di un processo irregolare.
Amnesty International chiede alle autorità saudite di annullare la condanna a morte di Ali al-Nimr e disporre un nuovo processo, secondo gli standard internazionali sull’equità dei procedimenti giudiziari e senza ricorso alla pena di morte.
Altri due minorenni al momento del reato, Abdullah al-Zaher e Dawood al-Marhoon, sono in attesa di esecuzione per reati simili a quelli attribuiti ad al-Nimr. Entrambi hanno denunciato di essere stati costretti a confessare sotto tortura.