Armi all’Arabia Saudita: la corte britannica è favorevole

12 Luglio 2017

Chris Ratcliffe/Getty Images

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La sentenza della corte britannica secondo la quale il governo ha il diritto di continuare ad autorizzare la fornitura di armi all’Arabia Saudita potrebbe rappresentare un passo indietro mortale per i civili in Yemen.

Si tratta di un risultato profondamente deludente che consente alle autorità britanniche, e potenzialmente agli altri fornitori di armi dell’Arabia Saudita, di continuare ad autorizzare trasferimenti di armi al regno saudita, nonostante il rischio evidente che saranno utilizzate per commettere violazioni”, ha dichiarato in una nota ufficiale James Lynch, responsabile di Amnesty International per Controllo delle armi e diritti umani.

Traffico di armi nel conflitto in Yemen: la decisione dell’Alta Corte di Londra

L’Alta Corte di Londra ha respinto un’impugnazione legale presentata dalla Ong Campaign Against Arms Trade (Caat) che afferma come i trasferimenti di armi all’Arabia Saudita non devono avvenire, a causa del rischio evidente che le armi fornite siano utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale nel conflitto armato in atto nello Yemen.

Rapporti esaurienti e credibili, tra cui la ricerca di Amnesty International sul campo in Yemen – ha dichiarato Lynch –, hanno dimostrato, a nostro avviso, che tali armi sono state utilizzate per commettere gravi violazioni, inclusi crimini di guerra, contro i civili in Yemen e che – alla luce del rischio evidente – l’autorizzazione a ulteriori trasferimenti sarebbe in contrasto con gli obblighi del Regno Unito in base al diritto internazionale“.

I materiali presentati in tribunale mostrano che nel febbraio 2016 il capo dell’Organizzazione per il controllo delle esportazioni ha raccomandato all’allora segretario commerciale che le esportazioni verso l’Arabia Saudita dovevano essere sospese.

Traffico di armi: il diritto internazionale

La coalizione, che sostiene il governo yemenita riconosciuto a livello internazionale nel suo conflitto contro il gruppo armato Huthi e le forze alleate allineate con l’ex presidente Ali Abdullah Saleh, ha bombardato ospedali, moschee, mercati e altre infrastrutture civili e spesso ha condotto attacchi sproporzionati e indiscriminati.

Il verdetto è un colpo mortale per gli yemeniti sotto attacco da una coalizione guidata dall’Arabia Saudita e alimentata da armi prodotte nel Regno Unito.

La legislazione nazionale britannica, la legislazione europea, il trattato globale sul commercio di armi (Att) di cui il Regno Unito è uno stato parte e le norme del diritto internazionale consuetudinario esigono che il Regno Unito adotti provvedimenti per garantire che i suoi trasferimenti di armi non siano usati per commettere gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e del diritto dei diritti umani.

Amnesty International e altre ong, tra cui Human Rights Watch e Rights Watch (Regno Unito), hanno presentato osservazioni alla Corte durante la revisione giudiziaria.

“A prescindere da questa sentenza, il Regno Unito e gli altri governi devono porre fine alle loro spudorate forniture di armi all’Arabia Saudita. Possono rappresentare offerte commerciali redditizie, ma il Regno Unito rischia di aiutare e rendersi complice di questi orrendi crimini”, ha concluso Lynch.

 

Il conflitto in Yemen

Dall’inizio del conflitto in Yemen, si contano più di 13.000 vittime civili tra morti e feriti. Tutte le parti in conflitto hanno commesso gravi violazioni, inclusi possibili crimini di guerra. La mancata adozione delle dovute precauzioni per salvare i civili, come richiesto dal diritto internazionale umanitario, ha causato morti e feriti fra i civili, demolizioni di case e infrastrutture.

Secondo i dati delle Nazioni Unite, almeno sette milioni di civili yemeniti sono sulla soglia della carestia. Il paese sta affrontando la più grave epidemia di colera in tutto il mondo con più di 200.000 casi sospetti negli ultimi due mesi. Più di 21 milioni di persone hanno bisogno di una forma di assistenza umanitaria e almeno tre milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle loro case dal marzo 2015.