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Pensavano di trovare rifugio e sicurezza nelle loro case. Erano stati avvisati degli attacchi, ma il governo iracheno li aveva rassicurati dicendo che in casa erano al sicuro. Un destino crudele raccontato attraverso le testimonianze dei superstiti.
“Eravamo tutti rannicchiati in una stanza sul retro della casa, in 18, tre famiglie – ha detto Wa’ad Ahmal testimone –. Ma quando la casa accanto è stata bombardata, ci è crollato tutto addosso. Mio figlio Yusef, 9 anni, e mia figlia Shahad, 3 anni, sono stati uccisi, insieme a mio fratello Mahmoud, sua moglie Manaya, loro figlio Aws di 9 anni, e mia nipote Hanan. Lei stava cullando la sua sorellina di 5 mesi che, grazie a Dio, è sopravvissuta“.
Sorpresi nei loro letti, di notte, in pochi hanno trovato la forza e la prontezza per fuggire. Hind Amir Ahmad, una ragazza di 23 anni ha perso 11 parenti, inclusi i suoi genitori, i nonni e quattro cugini più piccoli in un attacco aereo ad Est di Mosul ad opera della coalizione, ha descritto così il fatale attacco del 13 dicembre 2016: “Stavamo dormendo quando la casa ci è letteralmente crollata addosso. E’ stato un miracolo che nessuno di noi sia morto. Siamo corsi a casa di mia zia. Anche quella zona è stata bombardata ed è crollato di nuovo tutto… eravamo quasi tutti in casa, sono morte 11 persone. Mio cugino, i miei due zii ed io siamo stati gli unici sopravvissuti. Tutti gli altri sono morti. Non so perché siamo stati bombardati. Tutto quello che so è che ho perso tutte le persone a me più care“.
Una vera e propria trappola per famiglie che avevano già subito lutti e perdite. “Quella famiglia è stata presa di mira da tutti – ha raccontato un’altro testimone, Shaima’ Qadhem –. L’anno scorso Daesh ha arrestato e ucciso la madre dei tre bambini che ora sono stati uccisi dalla coalizione [insieme alla nonna]. Siamo tutti intrappolati in questo conflitto e nessuno ci aiuta“.
Queste ed altre testimonianze sono state raccolte sul campo perché, prima di una denuncia, il lavoro di Amnesty International è quello di indagare e mostrare le prove di quanto affermato. Un lavoro che in Iraq ha visto protagonista proprio una ricercatrice italiana, Donatella Rovera.
“Il mio lavoro è quello di investigare su attacchi sui civili di questo tipo e raccontarli al mondo, in modo da assicurare, insieme, che ci sia pressione sugli stati coinvolti nel conflitto per mantenere le persone al sicuro. – ha detto Donatella – Per continuare a fare questo ho bisogno del vostro aiuto“.