Da Amnesty nuove prove sulle uccisioni di civili negli attacchi Usa in Somalia

1 Ottobre 2019

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Tre “terroristi di al-Shabaab” uccisi da un attacco aereo statunitense in Somalia nel marzo 2019 erano contadini senza alcun collegamento col gruppo armato.

Lo ha rivelato un’indagine, resa pubblica oggi, di Amnesty International che ha anche accusato il Comando militare Usa in Africa (Africom) di non aver contattato i familiari di una delle tre vittime dopo che, a maggio, era emerso chiaramente che questa era un civile.

I tre uomini avevano complessivamente 19 figli.

Non basta che Africom sembri non sapere chi colpisce nella sua guerra segreta in Somalia. Quello che è peggio è che il comando militare Usa non si metta in alcun modo a disposizione delle famiglie delle vittime. E questo è solo uno dei tanti casi in cui gli attacchi aerei statunitensi hanno colpito a caso quella ampia parte di popolazione somala etichettata come ‘terrorista’“, ha dichiarato Abdullahi Hassan, ricercatore di Amnesty International sulla Somalia.

L’attacco aereo di Abdow Dibile

Tra le 15 e le 16 del 18 marzo 2019 un attacco aereo statunitense colpì un suv Toyota Surf nei pressi del villaggio di Abdow Dibile, a cinque chilometri di distanza da Afgoye, nella regione del Basso Shabelle. A bordo c’erano tre uomini di ritorno dal lavoro nei campi.

L’impatto distrusse il veicolo uccidendo all’istante l’uomo alla guida, Abdiqadir Nur Ibrahim (46 anni), e Ibrahim Mohamed Hirey (30 anni).

Un amico stretto di Abdiqadir Nur Ibrahim, ha raccontato quanto vide la mattina dopo: “Il suo corpo era completamente distrutto ma l’ho riconosciuto. Il volto era bruciato. Attaccato allo specchietto dell’automobile c’era ancora il suo orologio”.

Il terzo passeggero, Mahad Nur Ibrahim (46 anni, fratellastro di Abdiqadir), morì in un ospedale di Mogadiscio dopo un’agonia di tre mesi per, secondo il referto ufficiale, arresto cardiaco a seguito di setticemia, con oltre il 50 per cento del corpo ustionato. Non vi sono prove che Africom abbia cercato di mettersi in contatto con lui durante il ricovero.

Il 19 marzo Africom diffuse un comunicato nel quale descriveva le vittime come “tre terroristi”, senza fornire alcuna prova. Il comunicato proseguiva affermando che “Africom [era] a conoscenza di notizie riguardanti vittime civili” e avrebbe esaminato ogni informazione al riguardo.

A maggio un giornalista di “Foreign Policy” ha informato Africom che Ibrahim Mohamed Hiray era un civile e ha fornito i contatti della sua famiglia, che finora non è mai stata chiamata.

Ad agosto Amnesty International ha messo a disposizione di Africom ulteriori prove, ma il comando militare ha rifiutato di smentire che i tre civili fossero “terroristi”: “Quell’attacco aereo è stato condotto contro militanti di basso rango di al-Shabaab (…) Le informazioni raccolte prima e dopo l’attacco indicano che tutte le persone ferite o uccise erano membri o affiliati di al-Shabaab”.

Africom non ha mai modificato la sua posizione iniziale rispetto a tutti i casi che Amnesty International ha finora sottoposto alla sua attenzione.

Sull’attacco aereo del 18 marzo Amnesty International ha intervistato 11 persone, direttamente o da remoto: familiari delle vittime, persone recatesi sul posto e personale di Hormuud Telecom, l’azienda in cui lavorava uno dei tre deceduti.

L’organizzazione per i diritti umani ha poi esaminato articoli di stampa, dichiarazioni dell’amministrazione Usa, la documentazione relativa all’acquisto del veicolo, carte d’identità, referti medici e fotografie del luogo dell’attacco e dei corpi delle vittime.

Tutte le persone con cui Amnesty International ha parlato hanno escluso categoricamente che i tre uomini fossero membri di al-Shabaab. Lo stesso gruppo armato non ha impedito ai familiari di recuperare e seppellire i resti delle vittime, cosa che generalmente non accade se le vittime sono suoi militanti.

Le dichiarazioni di Africom sull’attacco del 18 marzo e la successiva corrispondenza con Amnesty International sollevano forti dubbi sulla qualità della raccolta d’informazioni d’intelligence e sulla decisione di colpire “affiliati” di al-Shabaab. Si potrebbe essere di fronte a una violazione del diritto internazionale umanitario.

Venticinque vittime civili, tra morti e feriti

Ad oggi, Amnesty International ha documentato sei attacchi aerei statuniensi che hanno causato vittime civili: 17 morti e otto feriti.

In un rapporto diffuso il 20 marzo 2019, l’organizzazione aveva già contestato l’affermazione di Africom secondo cui le sue operazioni militari avevano causato “zero vittime” tra la popolazione civile somala. Appena due settimane dopo, Africom aveva ammesso che il rapporto di Amnesty International aveva reso necessario riconsiderare il numero delle vittime civili. Sei mesi dopo, non c’è ancora alcuna novità.

Gli attacchi aerei statunitensi in Somalia sono fortemente aumentati dall’inizio del 2017, quando il presidente Trump ha firmato un ordine esecutivo che dichiarava il sud della Somalia “zona di ostilità attive”. Da allora, Africom ha condotto almeno 131 attacchi, con droni o aerei guidati.

L’attacco di Abdow Dibile è uno dei 50 attacchi che Africom ha dichiarato di aver condotto da gennaio a metà settembre del 2019. Questo numero supera quello degli attacchi del 2018 (47) e degli ultimi nove mesi del 2017 (34).

Siamo di fronte a un’altra ingiustizia che lascia sgomenti: tre civili morti, uno dei quali dopo una lunga agonia, e le loro famiglie lasciate sole a chiedersi perché l’esercito statunitense li abbia presi di mira e uccisi. C’è fortemente da dubitare su quanto Africom prenda sul serio i suoi obblighi di diritto internazionale”, ha dichiarato Brian Castner, alto consulente di Amnesty International su Armi e Operazioni militari.

Il governo degli Usa deve assicurare indagini approfondite e imparziali su tutte le denunce credibili di uccisioni di civili, chiamare a rispondere i responsabili delle violazioni accertate e fornire riparazione alle vittime e ai sopravvissuti. Come primo atto, potrebbe istituire un meccanismo di sicuro accesso per i cittadini somali che intendano denunciare vittime civili delle operazioni militari statunitensi”.