Attacco al peschereccio ‘Ariete’: occorre sospendere e rivedere gli accordi tra Italia e Libia!

16 Settembre 2010

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Attacco al peschereccio ‘Ariete’: Amnesty International chiede di sospendere e rivedere gli accordi tra Italia e Libia

CS082: 16/09/2010

Amnesty International si è detta allarmata per l’attacco di domenica 12 settembre contro un peschereccio italiano da parte di una motovedetta a comando libico. L’organizzazione per i diritti umani ha chiesto alle autorità italiane di rivedere gli accordi tra Italia e Libia e di sospenderne l’applicazione fino a quando non saranno adottate sufficienti garanzie per la vita e i diritti umani di migranti, richiedenti asilo e cittadini italiani che transitano nel tratto di mare coperto dagli accordi.

Secondo i dettagli diffusi dagli organi di informazione, la motovedetta libica sarebbe una di quelle donate dall’Italia alla Libia in esecuzione degli accordi bilaterali conclusi a partire dal 2007 tra i due paesi in materia di controllo dell’immigrazione e pattugliamento congiunto del mar Mediterraneo, e vi erano a bordo sei uomini della Guardia di Finanza.

La dinamica dell’attacco non è chiara. Secondo le dichiarazioni del governo italiano, dalla motovedetta libica è stato aperto il fuoco contro le persone a bordo del peschereccio italiano che si trovava a 30 miglia dalla costa libica. Queste, pur non essendo state ferite, hanno detto di aver temuto per la loro sorte e di ritenersi fortunate per essere ancora vive.

Pur nella consapevolezza delle inchieste aperte dalla magistratura italiana e dallo stesso ministero dell’Interno, Amnesty International si è detta allarmata per quanto accaduto e per il fatto che gli accordi tra Italia e Libia continueranno, a quanto sembra, a essere applicati.

Amnesty International ha già più volte reso noti i propri timori rispetto agli accordi bilaterali conclusi tra Italia e Libia che non includono alcuna garanzia per i diritti di migranti e richiedenti asilo, tra cui il diritto di accedere alla protezione internazionale dalle persecuzioni. L’organizzazione per i diritti umani è anche, da tempo, preoccupata per la mancanza di informazioni trasparenti relative all’attuazione degli accordi e per la natura poco chiara di alcune disposizioni, tra cui quelle sulle regole d’ingaggio e sulla catena di comando applicabile sulle imbarcazioni a personale misto italo – libico; una situazione, questa, che può condurre a gravi violazioni dei diritti umani.

L’attacco a fuoco al peschereccio italiano rende più che mai reali queste preoccupazioni, che dovrebbero essere considerate con priorità dalle autorità italiane, se si intende evitare la perdita di vite e gravi violazioni dei diritti umani di migranti, richiedenti asilo e civili italiani che transitano nel tratto di mare coperto dagli accordi.

Amnesty International chiede un’urgente chiarificazione dei termini dell’accordo, in particolare per quanto riguarda la catena di comando e le regole d’ingaggio, anche con riferimento all’uso delle armi durante le operazioni di pattugliamento. A questo riguardo, ritiene urgente sapere se, secondo quanto è noto alle autorità italiane, le armi siano state utilizzate in altre occasioni contro i migranti da imbarcazioni libiche alla presenza di personale italiano, e quali siano le regole di condotta del personale italiano previste per tale circostanza.

Alla luce delle dichiarazioni del ministro dell’Interno Maroni, secondo cui l’attacco potrebbe essere avvenuto perché la motovedetta libica avrebbe confuso il peschereccio italiano con una barca di migranti, Amnesty International chiede al ministro di chiarire se la sua interpretazione dell’accordo è che l’uso delle armi sarebbe ammesso durante le operazioni di contrasto dell’immigrazione, e in quali circostanze.

Amnesty International chiede un’immediata revisione degli accordi con la Libia, per assicurare che essi tornino in linea con gli obblighi internazionali di Libia e Italia, tra cui il diritto d’asilo e il diritto alla vita di tutti coloro che sono interessati dalla loro attuazione. Nel frattempo, l’Italia dovrebbe sospendere l’applicazione dell’accordo.

FINE DEL COMUNICATO                                                          Roma, 16 settembre 2010
 
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