Bagno di sangue a Jenin: ecco cosa comporta l’impunità di cui beneficia Israele

26 Gennaio 2023

©Photo by Issam Rimawi/Anadolu Agency via Getty Images

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La mattina del 26 gennaio almeno nove palestinesi, tra cui una donna di 61 anni, sono stati uccisi dalle forze israeliane durante un raid nel campo rifugiati di Jenin.

“Nello spazio di poche ore, i militari israeliani hanno ucciso nove palestinesi e ne hanno feriti altri 20, hanno impedito l’arrivo delle ambulanze per soccorrere i feriti e hanno esploso gas lacrimogeni contro un ospedale provocando danni da soffocamento ai bambini che vi erano ricoverati”, ha dichiarato Philip Luther, ricercatore di Amnesty International sul Medio Oriente e l’Africa del Nord.

Da quasi un anno il campo rifugiati di Jenin è sottoposto a una crescente repressione militare da parte di Israele. È lì che, nel maggio scorso, la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh, è stata uccisa. Gli abitanti del campo continuano a subire incessanti incursioni militari, che equivalgono a punizioni collettive”, ha aggiunto Luther.

“Nel frattempo, Israele beneficia di una completa impunità per il sistema di apartheid che impone nei confronti dei palestinesi: un sistema che in parte si mantiene attraverso violazioni dei diritti umani come le uccisioni illegali. Il numero dei palestinesi uccisi aumenta mentre la risposta internazionale consiste, nel migliore dei casi, in poco più che blande espressioni di condanna; nel peggiore dei casi, in un sostegno incondizionato a Israele”, ha sottolineato Luther.

Il bagno di sangue di Jenin ci ricorda il costo di questa vergognosa mancanza d’azione. Fino a quando le autorità israeliane non saranno chiamate a rispondere del loro operato, gli attacchi mortali contro i palestinesi nei Territori occupati non cesseranno”, ha concluso Luther.