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Il 14 maggio una corte d’appello del Bahrein ha confermato la condanna a sei mesi di carcere inflitta il 20 gennaio a Nabeel Rajab, presidente del Centro per i diritti umani del Bahrein, per ‘offesa a una pubblica istituzione’.
A causare la condanna era stato un commento di Rajab su Twitter alla notizia che agenti delle forze di sicurezza del Bahrein si erano aggregati allo Stato islamico in Siria. Nel suo tweet Rajab aveva definito il sistema repressivo del paese ‘incubatrice ideologica’ dello Stato islamico.
In un ulteriore procedimento giudiziario nei suoi confronti, Rajab rischia addirittura 10 anni di carcere. All’alba del 2 aprile, infatti, Rajab è stato nuovamente arrestato, sempre a causa dei suoi tweet, stavolta riguardanti la crisi dello Yemen e il violento intervento delle guardie carcerarie, il 10 marzo, nei confronti di un gruppo di detenuti in sciopero della fame nella prigione di Jaw.
Tre giorni dopo, nel corso di una perquisizione nella sua abitazione di Bani Jamra, le forze di sicurezza gli hanno sequestrato il computer, altri dispositivi elettronici nonché videocamere appartenenti ad altri componenti della sua famiglia.
Secondo il ministero degli Interni, Rajab ‘è stato arrestato per aver pubblicato un messaggio che potrebbe costituire incitamento e mettere in pericolo la pace’, in violazione degli articoli 133 e 216 del codice penale. Pena prevista: fino a 10 anni di carcere.
Come recentemente documentato da un rapporto di Amnesty International, a quattro anni dalla rivolta del 2011 la repressione prosegue a tutto spiano. Qui, l’appello per chiedere un cambiamento nella situazione dei diritti umani e il rispetto della libertà d’espressione.