Bahrein, un anno di brutale repressione del dissenso

7 Settembre 2017

© REUTERS/Hamad I Mohammed

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Un nuovo rapporto pubblicato oggi da Amnesty International ha denunciato le tattiche repressive impiegate nell’ultimo anno per ridurre al silenzio la società civile e stroncare le proteste, tattiche che hanno anche causato la morte di sei persone tra cui un minorenne.

Dal giugno 2016 al giugno 2017 almeno 169 persone che avevano criticato il governo o parenti di queste ultime sono stati arrestati, torturati, minacciati o colpiti dal divieto di espatrio.

“Usando tutta una serie di strumenti repressivi, il governo del Bahrein ha colpito una società civile in precedenza assai vivace riducendola alle poche voci di coloro che ancora hanno il coraggio di prendere la parola”, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

La maggior parte di coloro che criticavano in modo pacifico il governo, tanto difensori dei diritti umani quanto attivisti politici, ora percepisce che il rischio da correre nell’esprimere un’opinione si è fatto troppo alto“, ha aggiunto Luther.

Il giro di vite nei confronti della libertà d’espressione

Dalla metà del 2016 le autorità del Bahrein hanno intrapreso una campagna sistematica per eliminare la libertà di parola nel paese. I principali bersagli sono stati i difensori dei diritti umani, gli attivisti politici, i giornalisti, i leader religiosi sciiti e i manifestanti pacifici. Minacce e intimidazioni sono arrivate persino agli attivisti che vivono all’estero.

Le autorità hanno sempre più spesso fatto ricorso alle norme del codice penale che criminalizzano la libertà d’espressione per processare decine di persone che avevano semplicemente reso note le loro opinioni.

Il noto difensore dei diritti umani Nabil Rajab, presidente del Centro per i diritti umani del Bahrein, è una delle persone più prese di mira. Questo prigioniero di coscienza sta scontando una condanna a due anni per aver rilasciato interviste e rischia altri 15 anni di carcere semplicemente per aver pubblicato dei tweet.

Poco prima di essere arrestato per l’ultima volta, nel giugno 2016, aveva detto ad Amnesty International:

Negli ultimi 12 mesi sono stato arrestato cinque volte. Per la maggior parte del tempo mi è stato vietato di viaggiare, sono stato imprigionato e torturato. Hanno attaccato la mia abitazione con proiettili di gomma e gas lacrimogeni. Hanno colpito i miei bambini, mia figlia, la mia famiglia intera… mia madre è deceduta mentre ero in cella e mi hanno impedito di vederla prima che morisse“.

La tortura

Tra giugno 2016 e giugno 2017, Amnesty International ha ricevuto informazioni su nove persone critiche verso il governo torturate in carcere, otto delle quali solo nel maggio 2017.

Tra loro, la difensora dei diritti umani Ebtisam al-Saegh. Ha raccontato che il 26 maggio è stata bendata, sottoposta ad aggressione sessuale, presa a bastonate e costretta a stare in piedi per gran parte delle sette ore d’interrogatorio da parte di funzionari dell’Agenzia per la sicurezza nazionale.

Mi hanno strappato l’umanità“, ha detto ad Amnesty International

Abbiamo appreso storie orribili di tortura. Le autorità del Bahrain devono indagare in modo rapido ed efficace e portare i responsabili di fronte alla giustizia“, ha sottolineato Luther.

Amnesty International chiede alle autorità del Bahrein anche di consentire l’ingresso nel paese al Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e alle organizzazioni internazionali per i diritti umani, compresa la stessa Amnesty International, per monitorare una situazione dei diritti umani in deterioramento.

Lo smantellamento dell’opposizione politica

Nei 12 mesi presi in considerazione da Amnesty International, il governo ha anche intrapreso una campagna a tutto tondo per smantellare l’opposizione politica. Sulla base di accuse infondate sono stati sciolti al-Wefaq, il principale gruppo d’opposizione, e Waad, un partito d’opposizione di ispirazione laica.

Leader politici ed esponenti dell’opposizione continuano a finire in carcere o sono presi di mira in altro modo. Nel maggio 2017 le autorità hanno arrestato diversi di loro per sottoporli a interrogatori durante i quali non sarebbero mancate minacce e torture.

La repressione del diritto di manifestazione

La situazione più grave si è verificata nel villaggio di Duraz, dove risiede il leader spirituale sciita Isa Qassem. Dopo che, nel giugno 2016, il governo aveva deciso di revocare la sua cittadinanza, manifestanti pacifici hanno organizzato sit-in quotidiani di fronte alla sua abitazione per 11 mesi consecutivi.

Le autorità del Bahrein hanno risposto applicando le leggi che vietano le manifestazioni pacifiche. Tra giugno e novembre del 2016 oltre 70 manifestanti, leader sciiti e attivisti sono stati incriminati per “manifestazione illegale“.

Dall’inizio del 2017 le forze di sicurezza del Bahrein, compresa l’Agenzia per la sicurezza nazionale, hanno sempre più fatto ricorso alla violenza nei confronti di proteste in larga parte pacifiche: gli agenti hanno picchiato manifestanti, gli hanno lanciato contro i gas lacrimogeni, li hanno colpiti con armi semi-automatiche e sono entrati nei cortei con veicoli blindati e auto private.

Nel gennaio 2017 Mustafa Hamdan è stato colpito mortalmente alle spalle da un proiettile mentre era in fuga, inseguito da uomini dal volto coperto. Altre cinque persone, tra cui un 17enne, sono state uccise nel maggio 2017 nel corso di scontri nel villaggio di Duraz. Centinaia di manifestanti e 31 membri delle forze di sicurezza sono stati feriti e 286 persone sono state arrestate.

Una risposta internazionale del tutto inadeguata

Nonostante la situazione dei diritti umani in Bahrein sia peggiorata e vengano commesse gravi violazioni, la maggior parte dei governi è rimasta in silenzio o ha abbassato i toni delle dichiarazioni pubbliche. Tra questi governi, i più influenti sono quelli degli Usa e della Gran Bretagna.

Il governo di Londra continua a elogiare il Bahrein per i “passi avanti nel suo programma di riforme” e ha rinunciato ai suoi già rari commenti sulla situazione dei diritti umani.

Gli Usa avevano pubblicamente criticato il Bahrein durante l’amministrazione Obama, annunciando nel settembre 2016 che i trasferimenti di aerei da guerra sarebbero dipesi dai “progressi nel campo dei diritti umani“. Dall’elezione del presidente Trump, tuttavia, la situazione è decisamente cambiata. Nel marzo 2017 ha eliminato la condizionalità sulla vendita degli aerei da guerra e due mesi dopo ha detto al re Hamad Khalifa che non ci sarebbero state “frizioni con la sua amministrazione“. A quanto pare, il Bahrein ha interpretato quelle parole come un segnale di via libera per proseguire nella repressione, stroncando le proteste di Duraz appena due giorni dopo.

La mancata presa di posizione di Usa, Gran Bretagna e altri paesi che possono influenzare il Bahrein sul disastroso declino dei diritti umani nel corso dell’ultimo anno ha di fatto incoraggiato il governo a intensificare la repressione nei confronti delle poche voci critiche rimaste“, ha commentato Luther.

Il futuro dei diritti umani in Bahrein appare tetro se le autorità proseguiranno nell’incontrastata repressione. È necessario che riportino sotto controllo le loro forze di sicurezza, scarcerino i prigionieri di coscienza, permettano alla società civile di tornare ad agire e assicurino giustizia a coloro che hanno subito la tortura e altre gravi violazioni dei diritti umani“, ha concluso Luther.

Scarica ora il report “No one can protect you“.