Bahrein, un anno di rivolta: il governo non si assume le sue responsabilità

13 Febbraio 2012

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Alla vigilia delle manifestazioni indette per celebrare l’anniversario delle proteste di massa contro il governo, Amnesty International ha chiesto alle autorità del Bahrein di evitare il ricorso alla forza eccessiva e le ha richiamate al rispetto della scadenza di fine febbraio, da esse indicata, per attuare le raccomandazioni della Commissione indipendente d’inchiesta del Bahrein (Bici).

Amnesty International ha anche sollecitato il governo del Bahrein a rilasciare tutti i prigionieri condannati o agli arresti solo per aver promosso manifestazioni pacifiche e a chiamare a rispondere del loro operato tutti i responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani commesse nel corso dell’ultimo anno.

Nonostante le promesse del governo, le vittime e i familiari delle vittime di torture, detenzioni arbitrarie e uso eccessivo della forza attendono ancora giustizia‘ – ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. ‘Il governo ha più volte pubblicizzato cosa ha già fatto per migliorare la situazione dei diritti umani, ma la realtà è che i cambiamenti più importanti devono ancora aver luogo. Solo quando vedremo liberati i prigionieri di coscienza e portati di fronte alla giustizia i responsabili delle violazioni dei diritti umani, compresi coloro che le hanno ordinate, saremo in grado di valutare se le autorità saranno andate oltre il mero esercizio di pubbliche relazioni‘.

Nelle proteste di febbraio e marzo del 2011 morirono almeno 35 persone, compresi cinque agenti delle forze di sicurezza e cinque lavoratori migranti. In seguito, sono morte almeno altre 20 persone nel contesto delle continue proteste e a causa dell’uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza.

Secondo Amnesty International, dalla fine dello scorso giugno il governo ha adottato alcune limitate misure positive, tra le quali l’abolizione dello stato d’emergenza, l’istituzione di una commissione indipendente d’inchiesta (Bici) composta da cinque esperti internazionali, il rilascio di alcuni detenuti, il trasferimento di tutti i processi dalle corti marziali ai tribunali civili e il reintegro di centinaia di lavoratori.

Il 23 novembre, la Bici ha presentato il suo rapporto al re del Bahrein, insieme a una serie di raccomandazioni riguardanti le leggi e le procedure vigenti. Il rapporto ha confermato che fino ad allora erano state commesse gravi violazioni dei diritti umani.

Il re ha accettato le conclusioni del rapporto e ha nominato una commissione nazionale di 19 membri, per lo più persone favorevoli al governo, per supervisionare l’attuazione delle raccomandazioni. In molti hanno però denunciato che il processo di attuazione procede con grande lentezza e non prende in considerazione le questioni più importanti.

All’inizio del 2012 il governo ha comunicato l’avvio di indagini nei confronti di 48 membri delle forze di sicurezza per il ruolo avuto nella soppressione delle proteste. Finora solo otto poliziotti (cinque pachistani, uno yemenita e due bahreiniti) sono stati processati per violazioni dei diritti umani. Su queste indagini sono state rese pubbliche pochissime informazioni.

Il 2 febbraio, il ministro dell’Interno ha dichiarato che la maggior parte delle raccomandazioni relative al suo dicastero erano state attuate e che tutti i casi relativi a denunce contro la polizia per torture e altre violazioni dei diritti umani erano state trasferite all’Ufficio del procuratore per indagini e possibili incriminazioni.

Tuttavia, se le indagini sulle violazioni dei diritti umani rimarranno avvolte dal mistero, le promesse del governo di attuare le raccomandazioni della Bici resteranno parole vuote‘ – ha commentato Sahraoui.

Amnesty International continua a ricevere denunce di torture e maltrattamenti. Hassan ‘Oun, uno studente di 18 anni, è stato arrestato il 3 gennaio in un garage di Arad. Ha riferito al suo avvocato di essere stato costretto a rimanere in piedi per circa 11 ore e di essere stato picchiato con un tubo sulle piante dei piedi e di essere stato minacciato di stupro. È ancora in carcere, in attesa delle conclusioni dell’indagine nei suoi confronti.

Secondo i sindacati del Bahrein, oltre 1000 persone licenziate durante la rivolta non sono state ancora reintegrate nel posto di lavoro. Molti di coloro che hanno avuto il permesso di ritornare al lavoro hanno dovuto sottoscrivere un impegno a non prendere ulteriormente parte alle proteste, hanno ricevuto pressioni a lasciare il sindacato e, in alcuni casi, sono stati assegnati ad altri lavori e mansioni rispetto al passato.

Le forze di sicurezza continuano a ricorrere alla forza eccessiva durante la manifestazioni. Dalla fine di novembre, parecchi manifestanti sono morti come effetto diretto o indiretto dell’uso improprio dei gai lacrimogeni, lanciati persino dentro le abitazioni quando le forze di sicurezza irrompono nelle case di persone sospette.

Sayyed Hashem Saeed, 15 anni, è stato ucciso il 31 dicembre 2011 nel corso di una protesta a Sitra, a sud della capitale Manama, colpito da un candelotto di gas lacrimogeno esploso a corta distanza. Le forze di sicurezza hanno poi usato i gas lacrimogeni per disperdere la folla che stava partecipando ai suoi funerali.
Si ritiene che migliaia di persone, in grande maggioranza appartenenti alla maggioranza sciita, sfideranno le autorità domani, 14 febbraio, scendendo in strada per ricordare il primo anniversario dell’inizio della rivolta.

Amnesty International teme che possano esservi scontri tra i manifestanti e le forze di sicurezza, che ricorrono abitualmente alla forza eccessiva per sedare le proteste. Nelle ultime settimane, piccole proteste nei villaggi sciiti e alla periferia di Manama sono degenerate in scontri, tra accuse reciproche di aver provocato la violenza.

Oltre all’uso della forza eccessiva, vi sono stati casi in cui giovani bahreiniti col volto coperto hanno attaccato le forze di sicurezza, lanciato bombe molotov, ostruito le strade e dato fuoco a pneumatici.

Amnesty International ha chiesto alle autorità del Bahrein di consentire lo svolgimento delle manifestazioni pacifiche in programma il 14 febbraio. Pur riconoscendo che le autorità hanno la responsabilità di assicurare la pubblica sicurezza e mantenere la legge e l’ordine, anche ricorrendo alla forza quando assolutamente necessaria, giustificata e proporzionale, l’organizzazione per i diritti umani ha sottolineato che questo operato dev’essere in linea con quanto autorizzato dalle norme e dagli standard del diritto internazionale.

Amnesty International ha anche chiesto alle autorità del Bahrein di annullare tutte le restrizioni all’ingresso nel paese ai giornalisti stranieri e alle organizzazioni internazionali per i diritti umani. Molti giornalisti e operatori per i diritti umani si sono visti negare l’ingresso nel paese all’Aeroporto internazionale del Bahrein e ad altri è stato rifiutato il visto d’ingresso. Amnesty International teme che il governo, temendo manifestazioni di massa, voglia evitare controlli internazionali.

Ulteriori informazioni sulle violazioni dei diritti umani nel 2011

A febbraio e a marzo dello scorso anno decine di migliaia di bahreiniti, per lo più appartenenti alla comunità religiosa sciita, hanno protestato contro il governo e chiesto riforme politiche, giustizia sociale e la fine della discriminazione governativa percepita nei loro confronti.

Tra il 14 e il 21 febbraio sette manifestanti sono stati uccisi a causa dell’uso eccessivo della forza, mediante pallottole di gomma e altre munizioni letali. A metà marzo, truppe dell’Arabia Saudita sono entrate nel Bahrein e le autorità del paese hanno dichiarato lo stato d’emergenza.

Nei giorni e nelle settimane seguenti, sono state arrestate centinaia di attivisti (tra cui leader dell’opposizione, operatori sanitari, insegnanti, giornalisti e studenti). Molti di essi sono stati arrestati all’alba, senza mandato di cattura, portati in stazioni di polizia o negli uffici della Direzione per le indagini penali di Manama e qui tenuti in isolamento, senza contatti con avvocati e familiari. Sono pervenute numerose denunce di torture e maltrattamenti durante gli interrogatori e confessioni estorte in questo modo sono state usate in tribunale contro gli imputati.

Decine di persone sono state processate dal Tribunale di primo grado per la sicurezza nazionale, una corte marziale istituita in base allo stato d’emergenza, e condannate ad anni di carcere o all’ergastolo al termine di processi gravemente irregolari.

Oltre 4000 persone, tra cui insegnanti, studenti e personale sanitario, sono state licenziate dal lavoro o espulse dall’università per aver preso parte alle manifestazioni contro il governo.

Almeno 30 centri di preghiera sciiti sono stati demoliti dopo le proteste di febbraio e marzo, col pretesto che erano stati costruiti illegalmente. Secondo Amnesty International, si è trattato di una punizione collettiva.

AbdelHadi al-Khawaja, noto attivista per i diritti umani e militante dell’opposizione, è uno dei 14 leader delle proteste arrestati, processati e condannati per reati quali aver chiesto la fine della monarchia e la sua sostituzione con un sistema repubblicano. È stato condannato all’ergastolo ed è stato torturato così brutalmente cha ha dovuto subire un intervento chirurgico alla mascella. Durante il processo, la pubblica accusa militare non è stata in grado di fornire una sola prova che i 14 imputati avessero usato o invocato la violenza. Amnesty International continua a chiedere il loro rilascio, dal momento che la loro condanna si è basata solo sull’esercito del loro diritto alla libertà di espressione e di manifestazione.

FINE DEL COMUNICATO                                                  Roma, 13 febbraio 2012

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