Bangladesh: la generazione perduta dei bambini rohingya

29 Agosto 2019

AFP/Getty Images

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Due anni dopo la brutale campagna di pulizia etnica che costrinse circa 700.000 rohingya a fuggire da Myanmar e a riparare in Bangladesh, questi rifugiati sono ancora intrappolati, in condizioni insopportabili, in campi sovraffollati.

Lo ha denunciato oggi Amnesty International in un rapporto intitolato “Non so quale sarà il mio futuro”, che parla del timore di una generazione perduta di bambini rohingya a causa del sistematico diniego dell’accesso all’istruzione da parte delle autorità del Bangladesh, del senso d’incertezza e della perdita di speranza che dominano la vita di molti giovani nei campi rifugiati.

Amnesty International chiede al governo del Bangladesh di eliminare tutte le restrizioni che limitano l’esercizio dei diritti umani dei rifugiati rohingya e alla comunità internazionale di aiutare le autorità locali a cercare soluzioni a lungo termine perché possano ricostruire le loro vite.

Il rischio che si perda una generazione di bambini rifugiati rohingya è assai concreto. Il governo del Bangladesh rifiuta l’idea che i rifugiati non potranno rientrare in Myanmar per un periodo di tempo e pone restrizioni alla loro vita, impedendo loro di ricevere un’istruzione di qualità. Persino coloro che vivono in Bangladesh da decenni non possono mandare i loro figli a scuola o muoversi liberamente“, ha dichiarato Biraj Patnaik, direttore di Amnesty International per l’Asia meridionale.

Molte persone con cui abbiamo parlato vivono da quasi due anni in rifugi di fortuna che non offrono alcuna protezione dalle inondazioni monsoniche o dalle elevate temperature. Oltre alle difficoltà quotidiane determinate dalle precarie condizioni nei campi, i rifugiati sono costretti ad arrivare a un punto di rottura a causa della mancanza di opportunità e dell’incertezza sul loro futuro“, ha aggounto Patnaik.

Mentre la situazione dei rohingya rimasti in Myanmar è ancora terribile, per quelli rifugiati in Bangladesh è necessario che le autorità vadano oltre le misure di emergenza e sviluppino una risposta a lungo termine che rispetti e protegga i loro diritti.

I ricercatori di Amnesty International si sono recati in Bangladesh tra l’11 e il 24 febbraio 2019, hanno visitato nove campi nella zona di Cox’s Bazar e hanno intevistato 97 rifugiati.

Niente scuola per i bambini rohingya

Si stima che quasi la metà del milione di rifugiati rohingya residenti in Bangladesh abbia meno di 18 anni. Alcuni sono nati in Bangladesh, la maggior parte è fuggita da Myanmar con le famiglie dopo l’ondata di violenti attacchi contro i loro villaggi iniziata alla fine di agosto del 2017.

Per gli uni e gli altri, le opportunità di ricevere un’istruzione sono estremamente limitate, per quanto riguarda sia le strutture autorizzate a operare all’interno dei campi che i permessi per i rifugiati registrati di frequentare le scuole locali.

Nel gennaio 2019 il governo ha diffuso un elenco di studenti rohingya che sarebbero stati espulsi dalle scuole media di Cox’s Bazar.

Secondo il governo, consentire l’accesso all’istruzione incoraggerebbe i rifugiati rohingya a rimanere in Bangladesh anziché rientrare in Muanmar. Se si eccettuano gli “spazi amici dei bambini” e delle strutture che offrono opportunità di gioco e i primi rudimenti della scuola elementare, il diritto all’istruzione dei bambini rohingya nei campi e fuori è negato.

Si tratta di una grave violazione di uno dei più importanti diritti umani, quello all’istruzione, che avrà conseguenze inimmaginabili nella vita dei giovani rohingya. Molti di loro, incontrati da Amnesty International, pur grati al governo del Bangladesh e alla comunità internazionale per l’aiuto ricevuto, hanno detto di aver perso la speranza nel futuro.

La dipendenza dagli aiuti umanitari

Al mancato accesso all’istruzione si aggiunge il divieto, per i rifugiati rohingya in Bangladesh, di lavorare. Questo li rende interamente dipendenti dagli aiuti umanitari per la sopravvivenza quotidiana.

Amnesty International ha potuto osservare che, per quanto riguarda gli aspetti più importanti dell’assistenza umanitaria – rifugi, acqua, servizi igienico-sanitari, salute e cibo – la fornitura è inadeguata. I rifugiati hanno riferito di difficoltà riguardo all’acqua potabile, alle latrine, a strutture pulite ove cucinare e all’insufficiente variazione del cibo.

Alcune di queste difficoltà sono inevitabilmente dovute alla dimensione dei campi e al tempo necessario per migliorare i servizi. Ma è anche vero che l’intento del governo del Bangladesh di incoraggiare i rimpatri o i ricollocamenti ha prodotto politiche di corto respiro e ha favorito l’adozione di misure d’emergenza considerate provvisorie. Ad esempio, a causa delle limitazioni imposte ai rifugiati sui materiali da costruzione che possono utilizzare, durante la stagione dei monsoni essi rimangono nelle strutture temporanee, torride e scarsamente ventilate

Il sovraffollamento è un altro enorme problema: spesso famiglie numerose devono condividere una stanza singola. Vi sono poi difficoltà riguardo ai servizi igienico-sanitari: l’acqua da bere è frequentemente contaminata e le strutture per pompare l’acqua sono difficili da raggiungere.

Infine, le limitazioni alla libertà di movimento impediscono di uscire dai campi per cercare cure mediche. All’interno dei campi è disponibile solo un’assistenza di base.

Il progetto di trasferimento a Bhasar Char

Negli ultimi mesi si è parlato molto di un progetto che prevede il trasferimento di fino a 100.000 rifugiati rohingya a Bhasar Char, un’isola di 39 chilometri quadrati mai abitata del golfo del Bengala, a tre ore di viaggio dalla terra ferma, esposta a inondazioni e ad altre avversità climatiche.

Se non ci ha mai abitato nessun essere umano, perché dovrebbero mandarci noi? Siamo meno che umani?“, ha domandato un rifugiato di Kutupalong ad Amnesty International.

Il progetto di trasferimento a Bhasan Char presenta grandi rischi dal punto di vista dei diritti umani. Chiediamo che ogni trasferimento non isoli né segreghi i rifugiati e non limiti ulteriormente i loro diritti alla libertà di movimento, all’istruzione, alla salute e all’assistenza legale“, ha sottolineato Patnaik.

Per Amnesty International c’è urgente bisogno di piani e strategie a lungo termine basate sulla tutela dei diritti umani e che assicurino libertà di movimento, alloggi adeguati, accesso alle cure mediche e all’istruzione e che prevedano la possibilità di ricevere protezione per lunghi periodi di tempo in Bangladesh, secondo quanto dispone il diritto internazionale.

L’organizzazione per i diritti umani invita la comunità dei donatori internazionali a condividere le responsabilità col Bangladesh, aumentando e sostenendo l’assistenza tecnica e finanziaria per rispondere alle necessità della popolazione rifugiata rohingya.

Per generazioni, i rohingya si sono visti negare sistematicamente i diritti umani. Ora che molti di loro sono, almeno temporaneamente, al riparo da uccisioni e attacchi, è necessario che i loro bisogni in quanto esseri umani siano presi seriamente in considerazione“, ha aggiunto Patnaik.

Il governo del Bangladesh e la comunità internazionale devono capire che i rohingya non vogliono solo sopravvivere. Per questo, devono prendere tutte le misure necessarie per aiutare questa popolazione traumatizzata a vivere in condizioni di dignità e ad avere gli stessi diritti e le stesse opportunità di ogni essere umano“, ha concluso Patnaik.