Barometro dell’odio – Delegittimare il dissenso

ODIO IN RETE

AUMENTANO I CONTENUTI OFFENSIVI E DISCRIMINATORI, L’HATE SPEECH TRIPLICA

Dopo anni in cui i livelli di discriminazione e odio rilevati sui social media da Amnesty International restavano su livelli stabili, quest’anno registriamo un aumento dell’incidenza di contenuti offensivi, discriminatori o che incitano all’odio, con questi ultimi in particolare che arrivano a triplicare la propria presenza percentuale.

Focus di quest’anno il diritto di protesta: come sono raccontate sui social media le azioni di protesta e chi le compie? I risultati dell’analisi svolta confermano la presenza di toni e messaggi che delegittimano e criminalizzano le manifestazioni di dissenso e le persone attiviste. Le pagine di movimenti e organizzazioni ricevono un’incidenza di commenti che configurano hate speech maggiore di quella dei politici.

 

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IL RACCONTO DEI TG CONCORRE A DELEGITTIMARE E CRIMINALIZZARE IL DISSENSO

A plasmare l’opinione pubblica, che sempre più differenzia i propri canali d’informazione sulla base di età e competenze, non sono solo i social media, ma anche i media tradizionali. La notiziabilità delle azioni di protesta varia da tg a tg ed è talvolta annullata dalla presenza delle cosiddette soft news, notizie leggere che possono coprire un’ampia gamma di temi.

Spesso i servizi dei telegiornali in prima serata sulle azioni di protesta si soffermano sui danni alle cose – anche se solo temporanei – o sui disagi per le persone, oppure sull’ordine e la sicurezza pubblica, senza approfondire i temi oggetto di rivendicazione. Il caso dell’attivismo climatico è emblematico: si parla principalmente di danni a scapito della sostanza, dando di rado voce alle persone attiviste. In questo contesto non emergono le ragioni alla base della protesta, ma le sole modalità. La scarsa presenza di esperti chiamati a commentare contribuisce al mancato approfondimento degli argomenti.

 

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