Con la quarta edizione del Barometro dell’odio misuriamo l’impatto che le ripercussioni della pandemia sui diritti economici, sociali e culturali hanno avuto sulla discriminazione online.
Intersezionale e radicalizzato: queste le caratteristiche principali dell’“intolleranza pandemica” che abbiamo rilevato. 1 commento su 10 è offensivo, discriminatorio e/o hate speech, mentre i soli discorsi d’odio sono aumentati del 40%. È un odio che colpisce in modo trasversale: sessista, omobitransfobico, razzista e xenofobo, islamofobo, antisemita, antiziganista, classista. E che aumenta il rischio di esclusione e di discriminazione di chi è più vulnerabile.
La crisi sanitaria, sociale ed economica ha dato il via a una caccia alla strega ancora più frenetica e aggressiva: si scaglia contro chi ricopre la funzione di capro espiatorio ormai da tempo (migranti e rifugiati su tutti) e fa emergere la fragilità di altre identità e gruppi sociali. Sono gli untori, ma sono anche coloro che godono di presunti ed esclusivi benefici.
Durante una crisi sanitaria, sociale ed economica, le istituzioni dovrebbero fare di tutto per garantire un pieno accesso alle informazioni a tutta la popolazione, che consente una maggiore tutela e un più facile esercizio dei diritti. È stato fatto?
In “Pandemia, comunicazione, discriminazione” Amnesty International ha analizzato il basso livello di inclusività della comunicazione istituzionale che ha caratterizzato la fase 2: linguaggio, idioma e mezzi non accessibili a tutti, informazioni confuse, invisibilità di alcuni temi e gruppi fragili.
Significa, per quelle categorie sociali già marginalizzate, non venire a conoscenza o non comprendere informazioni essenziali per potere fruire dei propri diritti economici, sociali e culturali, anche in ambito sanitario. Cresce così il livello di esclusione e diminuisce quello di sicurezza.