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‘La gente mi chiede: ‘Perché non lasci correre?’ – dice Tita Radilla Martìnez. ‘Perché non mi dicono che cosa hanno fatto a mio padre. È vivo o morto? Mi dicono: ‘Non riaprire la ferita’. Riaprirla? La ferita è aperta, non si è mai rimarginata.’
Tita Radilla aspetta la verità sulla sparizione forzata di suo padre, Rosendo Radilla, attivista della società civile, dal 1974. Come lei milioni di persone attendono che i responsabili dei peggiori crimini siano chiamati a rispondere del loro operato.
Questo bisogno globale di giustizia emerge forte dal Rapporto annuale di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani nel mondo. Passando in rassegna 159 paesi, il Rapporto documenta torture e altri maltrattamenti in almeno 111 paesi, processi iniqui in almeno 55 paesi, restrizioni alla libertà di parola in almeno 96 paesi e detenzioni di prigionieri di coscienza in almeno 48, ma anche sgomberi forzati di massa, violenza contro le donne, sfruttamento, razzismo e xenofobia. Racconta un 2009 in cui una giustizia effettiva per le violazioni dei diritti umani è sembrata ancora essere un traguardo lontano per molte persone, mentre la loro vita quotidiana ha continuato a essere dilaniata da repressioni, violenze, discriminazioni, conflitti, giochi di potere e battute d’arresto politiche.
Il Rapporto descrive la mancanza di equità e verità per chi è stato torturato o arrestato solo per aver espresso pacificamente le sue opinioni, per i civili bloccati nel fuoco incrociato dei belligeranti, per le vittime di sgomberi forzati, per i milioni di migranti in cerca di una vita migliore, per le donne e ragazze che hanno subito violenza di genere o che sono morte perché troppo povere per poter accedere a cure sanitarie, per le vittime di razzismo, xenofobia e intolleranza.
Nonostante questi gravi insuccessi registrati lo scorso anno nei tentativi di assicurare gisutizia, molti avvenimenti hanno fatto segnare dei progressi. Il mandato di cattura emesso nel 2009 nei confronti del presidente sudanese Omar Al Bashir, così come la condanna per crimini contro l’umanità emessa nei confronti dell’ex presidente del Perù, Alberto Fujimori, e quella più recente che ha stabilito 25 anni di carcere per l’ultimo presidente militare dell’Argentina Reynaldo Bignone per sequestri e torture, rivelano come sia sempre più difficile per gli autori di questi gravissimi crimini continuare a credere che eviteranno la giustizia.
Il Rapporto, inoltre, rende conto del coraggio di organizzazioni e singole persone che agiscono per difendere i diritti umani, lavorando incessantemente per ottenere solide leggi nazionali e internazionali e con ostinazione affinché queste siano usate per ottenere giustizia, garanzia imprescindibile per un mondo più stabile e sicuro, in cui l’umanità possa essere libera dal bisogno e dalla paura.