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È previsto sabato 30 settembre il verdetto di un tribunale del Cairo nei confronti di 24 imputati accusati di aver offeso il potere giudiziario per aver legittimamente criticato la sua mancanza d’indipendenza e averlo definito una marionetta nelle mani dello stato.
Tra i 24 imputati, di cui Amnesty International chiede il proscioglimento da ogni accusa, figurano il noto blogger Alaa Abdel Fattah, attivista per i diritti umani e protagonista della rivolta del 2011, l’esponente politico Amr Hamzawy e l’ex parlamentare Essam Sultan.
“Questo processo è un tentativo di azzerare le critiche nei confronti di un potere, quello giudiziario, responsabile di violazioni dei diritti umani“, ha dichiarato Najia Bounaim, direttrice delle campagne sull’Africa del Nord di Amnesty International.
Le ricerche di Amnesty International hanno evidenziato una serie di problemi all’interno del potere giudiziario: condanne a morte di massa, lunghi periodi di carcere inflitti a migliaia di difensori dei diritti umani, attivisti, avvocati e giornalisti al termine di processi irregolari, impunità pressoché totale garantita alle forze di sicurezza responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Violazioni di cui l’ufficio del procuratore generale si rende complice chiudendo gli occhi di fronte alle sparizioni forzate e alla tortura.
“È ironico che le autorità egiziane perseguitino persone che criticano la magistratura proprio quando vi sono forti dubbi sulla sua indipendenza e imparzialità. Se Alaa Abdel Fattah e gli altri 23 imputati saranno condannati, verrà posta un’altra pietra tombale sulla giustizia in Egitto“, ha commentato Bounaim.
Dalle analisi di Amnesty International, è emerso che le accuse nei confronti dei 24 imputati si riferiscono a opinioni, rese pubbliche tramite gli organi d’informazione e i social media, che rientrano pienamente nell’esercizio del diritto alla libertà di espressione. Gli atti giudiziari non contengono prove d’incitamento all’odio, alla violenza o alla discriminazione.
Alaa Abdel Fattah è sotto processo per un tweet in cui aveva scritto che il potere giudiziario era “fazioso” e che i giudici prendevano “ordini dall’esercito“. Il tweet faceva riferimento a un controverso processo del 2013 in cui 43 operatori di Ong erano stati condannati a pene da uno a cinque anni di carcere.
L’esponente politico Amr Hamzawy è accusato per un tweet relativo allo stesso processo, il cui verdetto aveva definito “scioccante” e “privo di trasparenza”. L’ex parlamentare Essam Sultan è stato incriminato per aver definito, in un’intervista televisiva, il processo contro l’ex presidente Hosni Mubarak “una parodia della giustizia e un tradimento nei confronti dei manifestanti uccisi“. Gli altri 21 imputati devono rispondere di accuse simili.
Nel 2006 Alaa Abdel Fattah aveva trascorso 45 giorni in carcere per aver sostenuto la protesta dei giudici che rivendicavano l’indipendenza della magistratura dall’esecutivo di Mubarak.
“È agghiacciante che un uomo che, oltre 10 anni fa, è stato al fianco della magistratura per difenderne l’indipendenza ora rischi una condanna per aver criticato la stessa istituzione“, ha sottolineato Bounaim.
Alaa Abdel Fattah è attualmente nella prigione di al-Mazraa, all’interno del complesso penitenziario di Tora, dove sta scontando una condanna a cinque anni per aver sfidato le repressive leggi sulle proteste partecipando, nel 2013, a una manifestazione pacifica contro l’uso delle corti marziali per processare imputati civili.
Se confermata dalla Corte di cassazione il 19 ottobre, al termine della condanna scatteranno cinque anni di misure cautelari così eccessive da costituire di fatto una privazione della libertà personale.
Il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle detenzioni arbitrarie ha chiesto l’immediato rilascio di Alaa Abdel Fattah. Lo stesso chiedono Amnesty International e gli attivisti egiziani per i diritti umani, che hanno lanciato la campagna #FreeAlaa.
“Alaa è una delle migliaia di persone che stanno perdendo anni della loro vita in carcere, mentre il presidente al-Sisi è benevolmente accolto dai governi di ogni parte del mondo, che assai di rado sollevano il tema delle violazioni dei diritti umani commesse sotto il suo regime“, ha dichiarato Mona Seif, sorella di Alaa Abdel Fattah.
“Noi però sappiamo che tante persone, ovunque nel mondo, stanno dalla parte di Alaa e di chi è ingiustamente detenuto nelle prigioni egiziane: chiediamo loro di aderire alla nostra campagna e far sentire alta la loro voce per aiutarci a ottenere la libertà di Alaa“, ha aggiunto Mona Seif.
Mona Seif ha anche denunciato che in questi tre anni e mezzo di carcere, a suo fratello sono stati negati libri e quotidiani nel tentativo di isolarlo dagli avvenimenti in corso nel paese.