Brasile: nella filiera di JBS, la più grande azienda di lavorazione della carne, anche allevamenti illegali dell’Amazzonia

15 Luglio 2020

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Brasile, denuncia di Amnesty International: nella filiera di JBS, la più grande azienda di lavorazione della carne, anche allevamenti illegali dell’Amazzonia

  • I dati del governo mostrano un grande aumento nell’allevamento illegale di bestiame a scopo commerciale in aree protette dell’Amazzonia brasiliana
  • L’allevamento illegale di bestiame a scopo commerciale è la principale causa di acquisizioni di terreni, violenze e minacce nei confronti delle popolazioni native e degli abitanti tradizionali delle riserve
  • È stato chiesto a JBS di attuare un sistema efficace di monitoraggio entro la fine del 2020

In un rapporto di 70 pagine dal titolo Da foresta a terra da pascolo diffuso oggi, Amnesty International ha denunciato che nella filiera di JBS, la più grande azienda mondiale di lavorazione della carne, è presente bestiame che pascola illegalmente in aree protette della foresta pluviali dell’Amazzonia brasiliana.

Non riuscendo a monitorare in maniera efficace l’ingresso di bestiame allevato illegalmente nella propria filiera, JBS non riesce a condurre verifiche con appropriata dovuta diligenza, come sancito dai Principi guida dell’Onu su imprese e diritti umani. L’organizzazione ha dichiarato che, in base a tali principi, JBS partecipa alle violazioni dei diritti umani delle popolazioni native e degli abitanti delle riserve perché beneficia dei vantaggi economici derivanti dal bestiame al pascolo in maniera illegale nelle aree protette.

JBS è consapevole, almeno dal 2009, del rischio che bestiame allevato in maniera illegale in aree protette possa entrare nella propria filiera“, ha dichiarato Richard Pearshouse, direttore del programma Crisi e ambiente di Amnesty International.

JBS non è stata in grado di attuare un sistema di monitoraggio efficace della propria filiera né dei fornitori indiretti. Deve provvedere a risarcire i danni causati e introdurre tempestivamente dei sistemi per evitare che ciò si ripeta“, ha proseguito Pearshouse.

Amnesty International non ha trovato prove del coinvolgimento diretto di JBS in violazioni dei diritti umani nelle tre aree interessate dalle ricerche, tuttavia è stato appurato che bestiame allevato illegalmente nelle aree protette è entrato nella filiera della società. L’associazione chiede a JBS di agire entro la fine del 2020 per porre rimedio a questa situazione.

Leader mondiale nell’esportazione di carne

In Brasile vengono allevati circa 214 milioni di capi di bestiame, una quota maggiore rispetto a qualsiasi altro paese. Nel paese l’industria della carne, del valore di 618 miliardi di real brasiliani (più di 100 miliardi di euro), rappresenta l’8 per cento del prodotto interno lordo.

Circa tre quarti della carne brasiliana viene consumata nel paese ma il restante 25 per cento entra nella filiera globale in quantità tali da rendere il Brasile il maggiore esportatore mondiale. Tra le principali destinazioni vi sono Cina, Hong Kong, Egitto, Cile, Unione Europea, Emirati Arabi Uniti e Russia.

L’industria dell’allevamento in Brasile ha registrato la maggiore crescita nella regione dell’Amazzonia. Dal 1988 il numero di capi di bestiame in quell’area è quasi quadruplicata raggiungendo quota 86 milioni nel 2018, il 40 per cento del totale nazionale. In parte, questa crescita corrisponde alla distruzione di ampie fasce della foresta pluviale protetta nei territori e nelle riserve native.

In totale, il 63 per cento dell’area deforestata dal 1988 al 2014 è divenuto terreno da pascolo per il bestiame, un’area grande cinque volte il Portogallo. Nel novembre 2019 Amnesty International ha dettagliatamente documentato questo processo in un rapporto.

Secondo i dati del governo, i territori nativi in Amazzonia hanno perso 497 km² di foresta pluviale tra agosto del 2018 e luglio del 2019, un incremento del 91 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Violazioni dei diritti umani in tre aree protette

In occasione delle sue ricerche, Amnesty International ha visitato tre aree: il territorio nativo Uru-Eu-Wau-Wau e le riserve di Rio Jacy-Paraná e Rio Ouro Preto, tutte situate nello stato di Rondônia.

L’organizzazione non ha trovato alcuna prova che indicasse il diretto coinvolgimento di JBS nelle violazioni dei diritti umani nelle tre aree visitate.

Tuttavia, in tutte e tre le zone, le ultime acquisizioni illegali di terre hanno portato a una perdita di terre tradizionali, protette dalle normative brasiliane. I diritti alla terra nativa sono protetti dal diritto umanitario internazionale. In queste tre aree l’allevamento di bestiame per fini commerciali è vietato dalla legge.

Minacce, intimidazioni e violenze spesso vanno di pari passo con queste acquisizioni illegali di terreni, che avvengono in un contesto più ampio di violenza nelle zone rurali. Secondo una stima, nel 2019 nell’Amazzonia brasiliana hanno avuto luogo sette uccisioni, sette tentati omicidi e 27 episodi di minacce di morte nei confronti di popolazioni native.

A dicembre 2019, durante un pattugliamento del proprio territorio, alcuni nativi Uru-Eu-Wau-Wau hanno scoperto che circa 200 ettari erano stati distrutti e bruciati da poco, secondo quanto riferito ad Amnesty International da Araruna, un giovane nativo Uru-Eu-Wau-Wau di circa 20 anni: “Siamo preoccupati per le ultime incursioni… perché stanno aumentando e si avvicinano sempre più ai villaggi. Abbiamo trovato un’ampia area appena deforestata. Abbiamo visto un elicottero seminare dell’erba così da poter portare il bestiame in futuro“.

A gennaio del 2019, un altro gruppo di nativi Uru-Eu-Wau-Wau ha raccontato di aver incontrato una quarantina di invasori armati, probabilmente dei grileiros, che distruggono aree di foresta per farne zone di pascolo, all’interno del territorio Uru-Eu-Wau-Wau, a soli due chilometri dal villaggio. Altri avevano già raccontato di aver sentito colpi di arma da fuoco di notte o di aver ricevuto minacce di morte nei confronti dei propri figli.

Altrove, intere comunità sono state sgomberate dalle proprie terre e temono di essere uccise in caso di loro ritorno. Negli ultimi vent’anni, la maggior parte degli abitanti della riserva di Rio Jacy-Paraná è stata mandata via per fare posto agli allevamenti di bestiame. Secondo una ex abitante sono rimaste solo tre persone delle circa 60 famiglie che vivevano prima nella riserva.

È diventato tutto un’area agricola“, ha detto ad Amnesty International Sara, altra ex residente della riserva che era stata cacciata dalla sua terra nel 2017.

Le analisi condotte da Amnesty International sulle immagini satellitari hanno confermato le testimonianze degli ex residenti: terre in precedenza ricchissime di vegetazione forestale adesso risultano deforestate ed è possibile vedere bestiame e abbeveratoi.

Il diavolo è nei dati

Secondo le norme brasiliane, le agenzie statali devono raccogliere dati completi sull’allevamento. Tra questi figurano: la posizione degli allevamenti, anche quelli nelle aree protette, il numero, la fascia d’età e il sesso dei capi di bestiame e i trasferimenti degli animali tra gli allevamenti. Sebbene questi dati siano di interesse collettivo, non sono pubblicamente a disposizione.

Amnesty International ha presentato sette richieste di informazioni alla Idaron, agenzia di controllo sanitario sugli animali dello stato di Rondônia.

I dati forniti dalla Idaron mostrano un aumento vertiginoso degli allevamenti di bestiame per fini commerciali nelle aree protette, dove la pratica non è legale. Da novembre 2018 ad aprile 2020 il numero di capi di bestiame è cresciuto del 22 per cento, passando da 125.560 a 153.566.

I dati della Idaron attestano anche che 89.406 animali erano stati trasferiti nel 2019 da allevamenti situati nelle aree protette, dove l’allevamento di bestiame per fini commerciali è vietato. La stragrande maggioranza viene trasferita in altri allevamenti prima di essere mandata al macello. Ciò significa che anche gli animali che provengono da allevamenti legali potrebbero essere stati precedentemente allevati in maniera illegale in aree protette.

Amnesty International constata che le agenzie statali per il controllo della salute degli animali come la Idaron permettono di fatto l’allevamento illegale di bestiame a uso commerciale. Lo fanno registrando allevamenti commerciali ed emettendo documenti per il trasferimento del bestiame, anche se l’allevamento si trova in una riserva o in un territorio nativo.

I dati analizzati a cui abbiamo avuto accesso dalle stesse agenzie governative brasiliane fanno scattare il campanello d’allarme. Queste informazioni non dovrebbero essere nascoste al pubblico“, ha osservato Richard Pearshouse.

Come mettere fine all’allevamento illegale di bestiame nell’Amazzonia brasiliana? Un buon inizio sarebbe smettere di registrare ufficialmente gli allevamenti in aree protette e di emettere autorizzazioni di trasferimento per gli animali che si spostano da quegli allevamenti“, ha aggiunto Richard Pearshouse.

La filiera contaminata di JBS

In Brasile, il bestiame spesso viene trasferito tra diversi allevamenti. Gli allevamenti che vendono animali alle aziende di confezionamento carni sono definiti fornitori diretti e gli altri allevamenti dove gli animali sono allevati precedentemente sono noti come fornitori indiretti. I ricercatori ritengono che fino al 91-95 per cento degli allevamenti acquistino animali provenienti da fornitori indiretti.

Amnesty International, in collaborazione con la Ong Repórter Brasil, ha analizzato i documenti ufficiali di controllo sanitario veterinario che dimostrano che JBS ha acquistato animali direttamente da un allevamento nella riserva di Rio Ouro Preto in due occasioni nel 2019.

Inoltre, nel 2019 JBS ha acquistato più volte da due allevatori che hanno sia allevamenti illegali in aree protette che allevamenti legali fuori dalle aree. Un allevatore pascola bestiame illegalmente nella riserva di Rio Jacy-Paraná e un altro nel territorio nativo di Uru-Eu-Wau-Wau.

In ciascun caso, gli allevatori hanno registrato i movimenti degli animali da un allevamento all’interno delle aree protette a un allevamento fuori dall’area protetta. Poi, hanno registrato separatamente il movimento degli animali dagli allevamenti legali a JBS.

In due casi, il secondo trasferimento è stato registrato dopo soli pochi minuti. Entrambi gli spostamenti hanno coinvolto un numero uguale di animali della stessa età e dello stesso sesso. In questi casi, si trattava di animali di oltre 36 mesi, età tipica per il trasferimento per la macellazione. Secondo gli esperti intervistati da Amnesty International, ciò potrebbe indicare la pratica del riciclaggio di animali.

Il riciclaggio di animali, ovvero la pratica di far passare gli animali attraverso allevamenti intermediari per farli sembrare legali, elude i sistemi di monitoraggio esistenti.

Amnesty International ha chiesto informazioni specifiche a JBS sulla possibilità che l’azienda avesse trasformato carne di animali provenienti dagli allevamenti situati nelle tre aree protette nel 2019. L’azienda ha risposto: “Non acquistiamo capi di bestiame da aziende coinvolte nel pascolo illegale all’interno di aree protette“. Ha aggiunto di avere “un inequivocabile approccio deforestazione zero in tutta la propria filiera“.

Ha inoltre dichiarato che “JBS monitora con estrema attenzione i propri fornitori riguardo tutti gli aspetti della nostra politica di acquisto responsabile e non ha riscontrato precedentemente problematiche relative alle violazioni dei diritti umani delle comunità native o di altri gruppi protetti“.

JBS non ha risposto alla domanda sul monitoraggio dei fornitori indiretti e ha invece sottolineato che “la tracciabilità dell’intera filiera è una sfida per l’intero settore e un lavoro complesso”.

JBS era a conoscenza del rischio che animali illegali potessero entrare nella propria filiera. Infatti, nel 2009, ha firmato due accordi per la non-deforestazione con la procura federale brasiliana e separatamente con Greenpeace. Tuttavia, ha preso delle misure non sufficienti a rimediare al problema. Controlli esterni hanno evidenziato che JBS non monitora i propri fornitori indiretti.

Amnesty International chiede a JBS di attuare con tempestività un sistema di monitoraggio efficace, anche per i propri fornitori indiretti e assicurare che gli animali allevati illegalmente in aree protette per una fase della loro vita non entrino nella filiera di JBS. Al più tardi, questo sistema dovrebbe essere attivato entro la fine del 2020.

Un pubblico ministero nello stato del Pará nel 2019 ha concluso che: “oggi nessuna azienda che compri in Amazzonia può dichiarare di non avere nella propria filiera bestiame proveniente dalla deforestazione (…), così come nessuna azienda di confezionamento di carni e nessun supermercato.”

Ora che la deforestazione in Amazzonia è ai livelli più alti negli ultimi dieci anni tocca a JBS e alle altre aziende di trasformazione carni in Brasile mettere in essere misure di opportuna verifica per garantire che i loro fornitori diretti e indiretti non contribuiscano alle violazioni dei diritti umani degli abitanti tradizionali e nativi dell’Amazzonia“, ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe.