Che succede a casa loro?

2 Ottobre 2018

© Marco Palombi

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di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia

Nel primo mese del 2018, due notizie collegate ai conflitti sono passate inosservate. Il 23 gennaio, un’imbarcazione con a bordo 152 migranti e rifugiati si capovolse dopo che uno dei trafficanti a bordo aveva aperto il fuoco, seminando il panico. Almeno 30 persone erano annegate.

L’imbarcazione non era partita dalla Libia e non era diretta in Italia. A bordo c’erano somali ed eritrei, fuggiti da casa loro: dal caos e dai signori della guerra della Somalia e da una furiosa repressione in Eritrea. Erano salpati dal porto di Aden, nello Yemen. Tornavano verso i loro paesi, perché per oltre due anni avevano trovato la vita in Yemen persino meno peggiore di quella dei loro paesi di origine. Poi le cose erano cambiate.

Pare assurdo ma all’inizio del 2018 in Yemen c’erano oltre 280.000 rifugiati e richiedenti asilo di altri paesi. Solo nel 2017, dal Corno d’Africa ne sono arrivati 87.000.

Ed ecco l’altra notizia. C’è un paese che accoglie. Non è in Europa ma in Africa. Sempre all’inizio dell’anno, il numero dei rifugiati entrati in Uganda ha superato il milione. A casa loro, nel Sud Sudan, è in corso dal 2015 una guerra furibonda, in cui i gruppi armati in conflitto (che rispondono dal punto di vista politico ed etnico a presidente e vicepresidente del paese) bruciano le case con i civili all’interno, donne e bambine subiscono violenze sessuali e i bambini vengono rapiti e costretti ad arruolarsi. Non è una novità.

Coloro che fuggono dai conflitti cercano riparo nei paesi confinanti: perché aver superato una frontiera dà una parvenza di sicurezza, perché sono allo stremo, perché non hanno denaro sufficiente per pagare gli onnipresenti profittatori delle disgrazie umane, perché sperano di poter tornare al più presto a casa loro.

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