Chi paga il prezzo dei conflitti

30 Gennaio 2020

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di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia

I conflitti di questo inizio di XXI secolo dovrebbero spingerci ad aggiornare la frase: “In guerra le prime vittime sono i civili“.

Negli spaventosi conflitti scoppiati in Siria e in Yemen, rispettivamente nel 2012 e nel 2015, che le prime vittime siano i civili è l’effetto sia di attacchi diretti e indiscriminati contro i centri abitati sia, ed è questo ciò che va sottolineato, di attacchi contro le infrastrutture civili: scuole, ospedali, sistemi fognari, centrali elettriche, magazzini di scorte alimentari e sanitarie, mercati, ponti e strade, porti e aeroporti.

In altre parole, si distruggono tutti i servizi, rendendo impossibile la vita dei civili. Assedi, posti di blocco, bombardamenti delle vie di comunicazione terrestri, ostruzione di quelle marittime completano l’opera, rendendo impossibile l’arrivo degli aiuti umanitari e dei soccorsi a chi ne ha terribilmente bisogno: donne e bambini in primo luogo. E poi le persone con disabilità.

Il nostro ultimo rapporto sullo Yemen, pubblicato lo scorso 3 dicembre, racconta il dramma di quattro milioni e mezzo (il 15 per cento della popolazione) di uomini, donne e bambini disabili. Sono quelli che a causa delle difficoltà motorie spesso non riescono a salvarsi dai bombardamenti; in un sistema sanitario collassato, devono cercare da soli stampelle, sedie a rotelle e altri ausili; nel caos della fuga, si perdono o vengono lasciati indietro. Lo Yemen, un paese dove una persona di 25 anni ha vissuto già 14 conflitti armati nella sua vita, è l’esempio perfetto delle crisi dimenticate: quelle che solo le organizzazioni non governative possono cercare di attenuare nell’immediato periodo e, in un arco di tempo più lungo, risolvere.

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