Ciad: salute materna a rischio

2 Ottobre 2018

Tempo di lettura stimato: 3'

di Tity Agbahey, Campaigner per l’Africa Centrale di Amnesty International

La macchina ha parcheggiato lentamente in un’area desolata vicino al centro sanitario di Bebedjia, un villaggio nella regione di Logone Orientale, nel sud del Ciad. Era la seconda settimana di una lunga missione sul campo e, dopo aver visitato diverse strutture sanitarie, eravamo pronti ad ascoltare storie ancora più devastanti.

A Bebedjia, il centro sanitario è molto piccolo. Non c’è acqua corrente né elettricità, nonostante la maggior parte dei parti avvenga di notte.

Abbiamo ingenuamente chiesto come lo staff medico riesca ad aiutare le donne a partorire senza elettricità nel cuore della notte. Un infermiere ha aggrottato la fronte e ci ha guardato come se la nostra domanda non avesse alcun senso: “Usiamo il telefono”. Deve aver capito dai nostri sguardi perplessi che avevamo bisogno di un’ulteriore spiegazione: “Proprio così… accendiamo la torcia del telefono, lo teniamo con la bocca per avere le mani libere e procedere con il parto. È semplice…”, ci ha detto sorridendo. Questa è la sua routine, è abituato.

Il centro medico, tuttavia, non è lontano dal nuovo ospedale di Bebedjia, “costruito con i soldi del petrolio”. Dal 2010, il governo aveva iniziato grandi progetti, per lo più per creare infrastrutture, come istituti sanitari specializzati, ospedali, centri medici, scuole e università. C’era un forte bisogno di queste strutture ma ormai pochi soldi per finanziarle.

Nell’ospedale di Bebedjia, grande e completamente nuovo, mancano gli equipaggiamenti medici di base. Una delle due sale operatorie è vuota, l’altra attrezzata in modo sommario.

L’abbiamo arredata noi, riutilizzando attrezzature di altri ospedali della zona”, ci ha detto uno dei membri dello staff.

Ancora più vicino all’ospedale, praticamente a lato dell’edificio principale, c’è un altro centro medico, che nel 2015 non è stato chiuso solo grazie a una donazione di medicinali da parte del Fornitore di farmaci regionale. Il giorno della nostra visita, abbiamo incontrato decine di donne incinte tra i 16 e i 36 anni, che venivano a fare il loro controllo prenatale. Arrivavano a piedi, alcune avevano percorso anche 15 chilometri.

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