Cina dimostri che i processi per i disordini nello Xinjiang sono stati equi

18 Gennaio 2011

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Amnesty International ha chiesto alle autorità cinesi di dimostrare che tutti coloro che sono stati sottoposti a processi nella Regione autonoma dello Xinjiang uiguro in relazione alle proteste e violenze verificatesi nella capitale Urumqi nel luglio 2009, non siano stati puniti semplicemente per aver esercitato la loro libertà di espressione e che i processi siano stati equi.

Lunedì 17 gennaio, le autorità cinesi hanno annunciato che 376 persone sono state giudicate nel 2010 in relazione alle proteste.

Secondo le informazioni ottenute da Amnesty International, molti uiguri sono stati puniti con sentenze severe per ‘aver messo a repentaglio la sicurezza dello stato’, quando non hanno fatto niente di più che concedere interviste a organi di stampa o postare articoli su internet.

Ulteriori informazioni

I dati annunciati dalle autorità cinesi non includono il numero di persone messe a morte, condannate alla pena capitale, all’ergastolo o a lunghi periodi di detenzione. Il governo ha fornito poche informazioni sull’identità delle persone giudicate, sulle accuse a loro carico e sulle sentenze emesse.

È difficile reperire informazioni sui processi da fonti pubbliche. In molti casi addirittura i parenti degli imputati non vengono informati in modo tempestivo sui procedimenti o riescono ad assistervi.

Amnesty International evidenzia, tra gli altri, il caso di Hairat Niyaz, un giornalista uiguro condannato a 15 anni di carcere per ‘aver messo a repentaglio la sicurezza dello stato’ perché aveva esercitato la sua libertà di espressione rilasciando interviste a organi di stampa e postando online articoli sui disordini a Urumqi nel luglio 2009.

Amnesty International sollecita le autorità cinesi a celebrare processi in linea con gli standard internazionali sull’equo processo, che comprendono, tra l’altro, la possibilità per gli imputati di avere un avvocato liberamente scelto, di accedere alle famiglie e agli avvocati e, per i familiari, di essere opportunamente informati su arresti, accuse e processi.

Dagli eventi del luglio 2009, le autorità non hanno consentito indagini indipendenti sulle violenze, compreso l’uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza contro manifestanti pacifici.