Cina: misure repressive dopo i disordini nello Xinjiang

10 Luglio 2009

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Amnesty International ha affermato che le minacce del presidente cinese Hu Jintao di pene severe per coloro che hanno preso parte ai recenti scontri nello Xinjiang sono la prova del fallimento nell’affrontare le gravi violazioni dei diritti umani che sono alla base delle proteste degli uiguri.

Nella riunione, tenutasi la scorsa notte, il presidente Hu Jintao e gli altri leader hanno richiesto stabilità e unità per la Regione autonoma uigura dello Xinjiang e condannato le ‘tre forze’ che hanno ideato e organizzato i disordini: terrorismo, separatismo ed estremismo.

‘La leadership cinese dovrebbe concentrarsi sulle tristi condizioni che molti uiguri affrontano e dare una risposta con un’indagine credibile, veritiera e trasparente sulle recenti proteste‘ – ha dichiarato Roseann Rife, vicedirettrice del Programma Asia e Pacifico di Amnesty International.

Amnesty International è gravemente preoccupata per quanto espresso da Li Zhi, segretario del partito comunista di Urumqi che, in linea con la Televisione centrale di stato cinese, ha dichiarato nel corso della conferenza stampa dell’8 luglio che ‘brutali criminali saranno condannati a morte’.

 ‘Solo i tribunali sono autorizzati a emettere sentenze. I commenti riguardanti la pena di morte espressi da capi di partito locali al di fuori del sistema giudiziario dimostrano un completo disprezzo per il ruolo della legge e per l’indipendenza giudiziaria‘ – ha continuato Roseann Rife.

 Fonti provenienti dalla Cina hanno riferito ad Amnesty International che le autorità giudiziarie di Pechino hanno severamente ammonito gli avvocati per i diritti umani, attraverso gli studi legali dove lavorano, di non occuparsi di alcun caso relativo agli scontri nello Xinjiang. Coloro che hanno già preso casi relativi agli scontri dello scorso anno nella Regione autonoma del Tibet devono far ritorno nella capitale e riferire del loro lavoro alle autorità giudiziarie.

Intimare gli avvocati a non difendere le persone arrestate durante i recenti scontri ostacola il diritto a scegliere liberamente un avvocato e mina la possibilità di avere processi equi e imparziali‘- ha aggiunto Roseann Rife.

Le fonti hanno anche riferito ad Amnesty International che Ilham Tohti, redattore del sito ‘Uiguri on line’ (www.uighurbiz.cn) e professore di economia all’Università centrale per le nazionalità di Pechino, è stato arrestato dalle autorità cinesi la mattina dell’8 luglio. La polizia di Pechino lo aveva interrogato dal 5 al 7 luglio. Il suo luogo di detenzione è ancora sconosciuto. Il professor Tohti da anni esprime le sue opinioni sulla situazione degli uiguri in Cina e il suo blog è stato censurato dall’inizio delle proteste nella Regione autonoma del Tibet nel 2008.

 ‘Le misure repressive che estendono un livello inferiore di violenza oltre la Regione autonoma uigura dello Xinjiang e a persone non coinvolte non sono la risposta alle proteste‘, ha affermato Rife. ‘Chiediamo alle autorità di rendere immediatamente noto il luogo di detenzione di Ilham Tohti e di assicurare che egli non sia detenuto solo per aver pacificamente espresso le sue opinioni‘.

Amnesty International riconosce il dovere delle autorità cinesi di garantire la sicurezza di tutti di fronte al rischio della violenza e di portare davanti alla giustizia i responsabili di crimini violenti, commessi nel contesto dell’attuale protesta nello Xinjiang.

Tuttavia Amnesty International ha documentato situazioni nelle quali le autorità hanno dato inizio a  una dura repressione a seguito delle proteste nella Regione, incluse quella nel comune di Barren nel 1990 e nella città di Gulja nel 1997, che si sono concluse con la morte di manifestanti e con migliaia di arresti. L’organizzazione sollecita le autorità a non ripetere il comportamento tenuto in passato e a vietare un uso eccessivo di forza non necessaria nel ristabilire l’ordine, a permettere indagini imparziali e indipendenti sugli eventi e assicurare che ogni processo si svolga in modo equo, in linea con gli standard internazionali e senza ricorso alla pena di morte.

Amnesty International ribadisce la sua richiesta di indagini giuste e imparziali sulle proteste scoppiate nella Regione autonoma uigura dello Xinjiang a partire dal 5 luglio e sollecita le autorità a rispettare e proteggere il diritto alla vita e alla libertà dalla discriminazione sulla base dell’origine etnica, affrontando gli abusi e le violazioni di questi diritti da parte di attori statali e non statali.

Amnesty International inoltre chiede alle autorità cinesi di rendere pienamente conto di tutti coloro che sono morti e di coloro che sono stati arrestati.