Cina, necessaria indagine sulla morte di ex prigioniero di coscienza

8 Giugno 2012

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Amnesty International ha sollecitato le autorità cinesi ad avviare un’indagine approfondita e indipendente sulla morte dell’ex prigioniero di coscienza Li Wangyang, avvenuta in un ospedale di Shaoyang, nella provincia dello Hunan, il 5 giugno.

Secondo la versione ufficiale, contestata dagli attivisti per i diritti umani della Cina e dai suoi familiari, Li Wangyang si sarebbe suicidato impiccandosi all’interno dell’ospedale.

La polizia ha impedito di scattare fotografie a distanza ravvicinata e non è chiaro se il corpo verrà sottoposto ad autopsia.

Ex prigioniero di coscienza adottato da Amnesty International, strenuo difensore dei diritti umani, Li Wangyang era stato scarcerato nel 2011, al termine di una condanna a 10 anni, e da allora aveva avuto numerosi problemi di salute.

Nel 1989, aveva contribuito a fondare la Federazione autonoma dei lavoratori di Shaoyang, un sindacato indipendente. Lo stesso anno, era stato condannato a 13 anni di carcere per aver preso parte al movimento per la democrazia, stroncato nella notte tra il 3 e il 4 giugno in piazza Tiananmen, a Pechino. Torturato fino a perdere la vista e quasi completamente l’udito, sottoposto a periodi d’isolamento, nel 1996 era stato ricoverato in ospedale per poi essere rimandato in prigione otto mesi dopo.

Rilasciato nel giugno 2000 a causa delle sue cattive condizioni di salute, aveva avviato una campagna per chiedere il rimborso delle cure mediche cui era stato sottoposto. Dopo essere entrato in sciopero della fame nel maggio 2001, era stato nuovamente arrestato e condannato a dieci anni di carcere.

Il 2 giugno di quest’anno, alla vigilia del 23° anniversario del massacro di Tiananmen, aveva raccontato alla stampa internazionale le torture che aveva subito e aveva annunciato che avrebbe proseguito a lottare per una Cina democratica.