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Amnesty International ha sollecitato il governo cinese ad aprire un’indagine indipendente su tutte le violazioni dei diritti umani commesse durante i disordini del luglio del 2009 a Urumqi, capitale della Regione autonoma dello Xinjiang uiguro, assicurando i responsabili alla giustizia e sottoponendoli a processi equi, in linea con gli standard internazionali.
La richiesta dell’organizzazione per i diritti umani fa seguito a nuove testimonianze di persone fuggite dalla Cina dopo i disordini dello scorso anno, che sollevano ulteriori dubbi sulla versione ufficiale degli eventi. Raccolte nel recente rapporto ‘Cina: giustizia, giustizia: le proteste nello Xinjiang, luglio 2009’, le testimonianze riferiscono del ricorso alla forza non necessaria e eccessiva, arresti di massa, sparizioni forzate, tortura e altri maltrattamenti durante i disordini e la repressione che ne seguì.
La versione ufficiale ha lasciato aperte diverse questioni, quali il numero di morti, l’identità degli esecutori materiali, il contesto in cui gli omicidi sono stati commessi e le loro motivazioni. All’indomani delle proteste, oltre 1000 persone furono arrestate e, con molta probabilità, centinaia sono state le vittime di sparizione forzata. Secondo i dati ufficiali, almeno 198 persone sono state condannate a seguito di processi non in linea con gli standard internazionali sui diritti umani. Nove persone sarebbero state messe a morte e almeno 26 condannate alla pena capitale.