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Una serie di grandi aziende – tra le quali Apple, Samsung Electronics, Dell, Microsoft, BMW, Renault e Tesla – sotto la lente di ingrandimento della nostra ricerca per il loro coinvolgimento nell’estrazione del cobalto, il raro minerale utilizzato per la produzione di batterie elettriche.
In base al lavoro condotto su 28 aziende, i principali produttori di apparecchi elettronici e veicoli alimentati da batterie elettriche non stanno ancora facendo abbastanza per fermare le violazioni dei diritti umani presenti nella catena dei fornitori di cobalto.
Questo lavoro di ricerca fa seguito a quello pubblicato nel 2016.
“A quasi due anni di distanza – ha dichiarato in una nota ufficiale Seema Joshi, direttrice del programma Economia e diritti umani di Amnesty International –, alcune delle più ricche e potenti aziende del mondo stanno ancora accampando scuse perché non hanno indagato sulla loro catena di fornitori. Persino quelle che lo hanno fatto, non rendono noti i rischi per i diritti umani e le violazioni che hanno riscontrato. Se le aziende non sanno da dove viene il cobalto, figuriamoci i loro clienti“.
Più della metà della produzione mondiale di cobalto, un componente fondamentale delle batterie al litio, proviene dalla Repubblica Democratica del Congo e nel 20 per cento dei casi è estratto a mano. I nostri ricercatori hanno documentato casi di minori e adulti impegnati a estrarre il cobalto in tunnel strettissimi, costantemente a rischio di subire incidenti mortali e di contrarre gravi malattie polmonari. Il cobalto estratto in questo modo viene lavorato da un’impresa cinese, la Huayou Cobalt, per finire nelle batterie usate per alimentare apparecchi e auto elettriche.
Il rapporto esamina gli eventuali progressi fatti dal gennaio 2016 dalla Huayou Cobalt e da 28 aziende potenzialmente in rapporti con l’azienda cinese o che comunque si ritiene acquistino cobalto estratto dalla Repubblica Democratica del Congo.
Le aziende sono state valutate sulla base di cinque criteri che riflettono standard internazionali, tra cui l’obbligo di svolgere i cosiddetti controlli di “due diligence” sulla catena dei fornitori e quello di essere trasparenti sui rischi collegati ai diritti umani.
Nessuna delle 29 aziende citate nel rapporto ha assunto azioni adeguate per rispettare gli standard internazionali, nonostante sapessero che i rischi per i diritti umani e le relative violazioni sono intrinsecamente associate all’estrazione del cobalto nella Repubblica Democratica del Congo.
“Questo è un momento fondamentale per cambiare le cose. Poiché il mercato delle batterie ricaricabili è in crescita, le aziende devono prendersi la responsabilità di dimostrare che non stanno facendo profitti sulla miseria di chi estrae il cobalto, in condizioni terribili, nella Repubblica Democratica del Congo“, ha sottolineato Joshi.
Nel corso del 2017 Apple è diventata la prima azienda ad aver pubblicato la lista dei suoi fornitori di cobalto. Secondo le ricerche è l’azienda leader in tema di fonti di cobalto responsabili. Dal 2016, Apple sollecita Huayou Cobalt a identificare e rimediare alle violazioni dei diritti umani lungo la catena dei fornitori.
Dell e Hp hanno mostrato qualche segnale, iniziando a indagare sui fornitori legati a Huayou Cobalt e hanno adottato politiche più rigorose per individuare i rischi per i diritti umani e le violazioni collegate nella catena di fornitori del cobalto.
È allarmante, invece, che altre grandi aziende abbiano fatto ben pochi progressi.
Microsoft, per esempio, è tra le 26 compagnie che non hanno messo a disposizione informazioni sui loro fornitori, come le aziende che fondono e raffinano il cobalto. Ciò significa che Microsoft non è in linea neanche con i minimi standard internazionali.
Lenovo ha svolto azioni veramente minime per identificare i rischi per i diritti umani o per chiarire i suoi rapporti con Huayou Cobalt e la Repubblica Democratica del Congo.
Complessivamente, si rivela una mancanza di trasparenza: le aziende non rendono note le loro valutazioni sui rischi di violazione dei diritti umani nella catena dei fornitori né sugli eventuali controlli di “due diligence” effettuati da questi ultimi.
Per esempio, mentre Apple e Samsung Sdi hanno identificato le aziende che fondono il cobalto, non hanno però valutato i rischi per i diritti umani collegati alle attività di questi ultimi. Questo rende impossibile valutare se le responsabilità in termini di diritti umani siano rispettate o meno.
I produttori di veicoli elettrici si comportano peggio rispetto a quelli di altri settori quando si tratta di “pulire” le loro batterie.
Renault e Daimler sono valutati molto male, non avendo soddisfatto neanche i requisiti minimi su trasparenza e “due diligence”.
BWM è il produttore che si comporta meglio tra quelli esaminati, avendo introdotto alcuni miglioramenti nelle politiche e nelle prassi relative al cobalto, ma non hanno ancora reso noti i nomi delle aziende che fondono e raffinano il cobalto né hanno intenzione di rivelare quali valutazioni siano state fatte sulle prassi di “due diligence” delle aziende che fondono il cobalto.
“Il cobalto è un componente fondamentale nello sviluppo della cosiddetta tecnologia verde. Con la domanda di auto elettriche in crescita, è più importante che mai che le aziende che le producono si comportino in modo trasparente. Devono essere coinvolti anche i governi, che dovrebbero assumere iniziative di rilievo sulle catene di fornitori etiche, una priorità quando si tratta di attuare politiche verdi“, ha dichiarato Joshua Rosenzweig, consulente di Amnesty International su Economia e diritti umani.
A seguito dell’attenzione generata dalla nostra ricerca del 2016, il governo della Repubblica Democratica del Congo ha creato una commissione sul lavoro minorile nel settore minerario e ha redatto una nuova strategia destinata a non avere più minori impiegati nelle miniere artigianali entro il 2025. Se è ancora troppo presto per valutare l’impatto di questi provvedimenti, va notato che la strategia manca di un calendario, non prevede l’assegnazione di responsabilità precise e manca di un piano operativo di attuazione.
Huayou Cobalt, l’attore fondamentale di collegamento tra le miniere della Repubblica Democratica del Congo e le aziende esaminate dal rapporto, ha fatto registrare alcuni passi avanti dal 2016 ed è diventato maggiormente trasparente. Tuttavia, resta difficile esaminare la qualità e l’efficacia dei suoi controlli di “due diligence”.
Le aziende hanno la responsabilità di identificare, prevenire, risolvere e rendere conto sulle violazioni dei diritti umani lungo la loro catena di fornitori.
La messa a disposizione delle valutazioni sui rischi per i diritti umani resta uno sviluppo fondamentale che nessuna delle aziende esaminate ha ancora intrapreso.
Laddove un’azienda abbia favorito il lavoro dei minori o degli adulti in condizioni terribili, o ne abbia tratto beneficio, essa dovrà rimediare al danno subito. Ciò significa agire insieme alle altre aziende e al governo locale per impedire le peggiori forme di lavoro minorile e sostenere la reintegrazione dei minori nella scuola, prendersi cura della loro salute e provvedere ai loro bisogni psicologici.
Amnesty International ha scritto alle 29 aziende e ha fornito loro l’opportunità di commentare le conclusioni preliminari. Le seguenti compagnie hanno espresso disaccordo per il punteggio loro assegnato su almeno uno dei cinque criteri-guida: Apple, BMW, Dell, Fiat-Chrysler, General Motors, HP, Hunan Shanshan, Microsoft, Sony, Tesla e Tianjin Lishen. Copie delle risposte integrali delle aziende sono a disposizione su richiesta.
Le domande rivolte alle aziende riflettono il quadro di riferimento in cinque punti sulla “due diligence” elaborato dall’Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo nelle sue “Linee-guida sulla due diligence sulla catena di fornitori responsabili di minerali provenienti da zone di conflitto e da aree ad alto rischio“.
Le cinque domande rivolte alle aziende: